La Cassazione sancisce la non trascrivibilità della sentenza islamica di ripudio nei registri dello stato civile italiano (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 14 agosto 2020, n. 17170).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

MARIA CRISTINA GIANCOLA         Presidente

MARIA GIOVANNA C. SAMBITO    Consigliere

CLOTILDE PARISE                            Consigliere

MARCO MARULLI                            Consigliere – Rel.

ANTONIO PIETRO LAMORGESE    Consigliere

ORDINANZA

sul ricorso 7531/2017 proposto da:

(omissis) (omissis), domiciliato in Roma, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis), giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(omissis) (omissis), elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis), rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis) (omissis), giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata ii 28/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/06/2020 dal cons. dott. MARULLI MARCO.

FATTI DI CAUSA

1.1. (omissis) (omissis) ricorre a questa Corte onde sentir cassare l’impugnata ordinanza con la quale la Corte d’Appello di Bari, in accoglimento del ricorso spiegato da (omissis) (omissis) ha ordinato all’ufficiale dello Stato civile di Bari la cancellazione della trascrizione dai relativi registri della sentenza di divorzio pronunciata tra predetti dalla I Sezione della Corte Suprema di Teheran il 24.11.2014.

1.2. Nell’accogliere il ricorso la Corte decidente, ricordato che il riconoscimento e la diretta efficacia nell’ordinamento interno delle sentenze straniere postulano che esse non contrastino con limiti derivanti dall’ordine pubblico, ha affermato che «non v’e dubbio alcuno che la sentenza iraniana trascritta contrasti con i principi fondamentali del nostro ordinamento, considerate che in Iran il marito ha la possibilità di divorziare senza che la moglie possa paralizzare la volontà del consorte» e che «dalla sentenza iraniana de qua emerge in tutta la sua evidenza la violazione dei principi di parità coniugale é tra i sessi, atteso che la decisione adottata in quella sede (divorzio del genere rojee) e sussumibile nella disposizione dell’art. 1133 del locale codice civile» che abilita il marito a divorziare dalla moglie quante volte lo vorrà.

In sintesi, la normativa iraniana «sancisce una fattispecie di divorzio che per il suo carattere unilaterale ed arbitrario, non si discosta dall’istituto del ripudio», già oggetto di giudiziale repulsa per contrasto con l’ordinamento interno ed internazionale.

1.3. Il mezzo proposto fa leva su due motivi di ricorso, seguiti da memoria, ai quali resiste l’intimata con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con ii primo motivo di ricorso – alla cui disamina non ostano le pregiudiziali della controricorrente, l’una (inammissibilità ex 366, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.), poiché gli antefatti di causa sono esposti in modo da offrire al giudice una chiara e completa visione dell’oggetto dell’impugnazione, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, l’altra (inammissibilità ex art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.), poiché il rilevato vizio di autosufficienza non travolge le doglianze in diritto, le altre ancora (inammissibilità ex art. 360-bis cod. proc. civ.), poiché non ne ricorrono i presupposti – l'(omissis) lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 13, 14, 15 e 16, nonché 31, 64 e 67 I. 31 maggio 1995, n. 218 oltre che degli artt. 1133 e 1143 del codice civile iraniano in uno con l’omesso esame di fatti decisivi, posto che la Corte d’Appello, nell’accogliere il ricorso dell'(omissis), in luogo di ponderare gli effetti della sentenza trascritta onde accertarne la sua contrarietà all’ordine pubblico come impasto dall’art. 64, comma 1, lett. g), I. 218/95, avrebbe esteso la propria cognizione alla normativa iraniana senza previamente acclararne il tenore dispositivo e l’interpretazione corrente e senza prestare la dovuta attenzione a fatti di decisiva rilevanza che, oltre ad attestare l’assoluta parità tra le parti sul terreno processuale, rendevano inconfutabile l’irrimediabile disfacimento della comunione familiare, come attestato dalla Corte della Famiglia di Teheran, e l’erroneità del convincimento espresso circa la condizione privilegiata goduta dal marito nei procedimenti divorzili svolgentisi in quell’ordinamento.

3. II motivo – sfrondato dei gravami in fatto poiché essi involgono la valutazione di profili istruttori, estranei, come é noto, all’attuale assetto del vizio motivazionale – é quanta alle residue doglianze fondato e meritevole di accoglimento con conseguente cassazione dell’impugnata decisione ed assorbimento del secondo motivo di ricorso.

4. Gli enunciati di cui si é fatta scudo la Corte d’Appello per accogliere l’impugnativa dell'(omissis) tradiscono un approccio al tema specifico, oggetto di indagine, non solo caratterizzato da un’oggettiva debolezza argomentativa; e non solo foriero, come pur si deduce, di una critica – che si vorrebbe esiziale, quantunque essa esuli dal procedimento di delibazione che non ha ad oggetto l’applicazione di norme straniere – che censura ii deliberato opposto per non aver debitamente approfondito la cognizione delle fonti normative straniere direttamente conferenti con la vicenda, così incorrendo nella denunciata violazione degli artt. 14 e 15, I. 218/95.

É invece, piuttosto, nel modo in cui l’impugnata decisione si rapportata al quadro di riferimento, sotteso alla specie in giudizio, che si annida il vulnus che ne giustifica la cassazione.

5. Per intenderci ciò che si rende censurabile nel ragionamento della Corte d’Appello barese non e, a dire il vero, ii fatto che essa, misurando la  compatibilità  della  sentenza  straniera  con ii  limite dell’ordine pubblico previsto dall’art. 64, comma 1, lett. g), I. 218/95, abbia sposato una nozione di ordine pubblico che, facendo leva sul «complesso dei principi, ivi compresi quelli fondamentali della Carta Costituzionale che formano il cardine della struttura economico-sociale della comunità nazionale in un determinate momento storico, nonché quelle regole inderogabili e fondamentali immanenti ai più importanti istituti giuridici nazionali», sembra ignorare gli effetti dell’evoluzione in atto, che hanno indotto la giurisprudenza di questa Corte, sotto la spinta della progressiva apertura dell’ordinamento interno al diritto sovranazionale, a modificare sensibilmente ii proprio pensiero nel segno di un crescente  riferimento ai valori giuridici condivisi dalla comunità internazionale e alla tutela dei diritti fondamentali, senza tuttavia, nel contempo, smarrire la consapevolezza che, se in tal modo l’assetto dei valori che si delinea acquista più ampio respiro, nondimeno, allorché di debba identificare ii limite dell’ordine pubblico, occorre pur sempre guardare, con l’avvertenza che in ogni caso la valutazione di compatibilità non può dipendere dalla consonanza tra istituti stranieri ed istituti nazionali, a come essi si siano concretamente incarnati nell’ordinamento interno per mezzo della disciplina ordinaria e dell’opera chiarificatrice della giurisprudenza (Cass., Sez. U, 5/07/2017, n. 16601; Cass., Sez. U, 8/05/2019, n. 12193).

Che, anzi, se mai si fosse mossa in questa direzione ed avesse, in sintonia con la mutata percezione del concetto, colto ii suggerimento ad indagare i profili della vicenda al suo esame sotto la luce dei principi che rispondono all’esigenza di carattere universale di assicurare la più ampia tutela ai diritti fondamentali, la Corte d’Appello avrebbe avuto, ragionevolmente, più di un argomento a propria disposizione per conferire maggior solidità a quanto da essa sostenuto e, comunque, per motivare in modo più compiuto le proprie conclusioni.

6. Se ciò, dunque, concreta un primo rilievo che, quantunque provvisto di indubbia criticità, rivela a pieno la sua pregnanza in chiave principalmente propedeutica, allorché, cioè cassandosi la decisione da essa assunta, la Corte territoriale dovrà tornare nuovamente ad interrogarsi sulla questione, dove il ragionamento decisorio mostra più nitidamente la corda e si espone ad una critica più severa e nel recepimento, e sin’anco nella manifesta obliterazione, di alcuni punti fermi che emergono dallo stato dell’arte in materia di delibazione.

Giova, intanto, rammentare, secondo quanto da tempo si ripete da questa Corte – in ciò sollecitati dall’affermazione che, a riprova della disparita tra uomo e donna vigente nell’ordinamento iraniano anche sotto ii profilo processuale, si legge nell’ordinanza circa ii fatto che la moglie non possa «paralizzare» l’iniziativa divorzile del marito – che, quando si affronti ii tema del riconoscimento interno delle sentenze straniere, il giudice della delibazione, debba «verificare se siano stati soddisfatti i principi fondamentali dell’ordinamento, anche relativi al procedimento formativo della decisione» (Cass., Sez. I, 03/09/2015, n. 17519) e, sia pur con la precisazione che non ogni violazione processuale assume portata ostativa (Cass., Sez. I, 17/02/2010, n. 3823), non possa perciò prescindere dal considerare, tra l’altro, alla stregua del criterio indicato dall’art. 64, comma 1, lettera b), I. 218/1995, se nell’ambito del processo svoltosi dinanzi al giudice straniero siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa, l’indagine al riguardo richiesta comportando «un controllo di regolarità dell’intero processo alla stregua dei principi di ordine pubblico sanciti dall’ordinamento interno a salvaguardia del contraddittorio e del diritto di difesa in ambito processuale» (Cass., Sez. I, 22/07/2004, n. 13662).

La preoccupazione che al riguardo, come visto, filtra dalla motivazione dell’ordinanza non é sviluppata in modo coerente rispetto alla necessita, enunciata dalla norma, che non siano violati i diritti essenziali della difesa, di talché essa non si sottrae alla denunciata violazione di legge laddove mostra di regolare la specie al suo esame anche alla luce dell’enunciato principio di diritto senza tuttavia aver proceduto ad un’esatta ricognizione della fattispecie concreta.

7. Va da sé, poi – anche qui attingendo al vasto catalogo dell’elaborazione giurisprudenziale in materia – che quando ii giudizio di delibazione si incentri sul requisito dell’ordine pubblico, la valutazione che si richiede al giudice deve mantenersi fedelmente aderente al dettato normative dell’art. 64, comma 1, lett. g), I. 218/1995, secondo cui ii riconoscimento della sentenza straniera non può avere luogo se le sue disposizioni producono «effetti contrari all’ordine pubblico» e, di conseguenza, occorre che ii giudice, senza estendere la propria cognizione aliunde, valuti <<gli “effetti” della decisione nel nostro ordinamento e non la correttezza della soluzione adottata alla luce dell’ordinamento straniero o della legge italiana, non essendo consentita un’indagine sul merito del rapporto giuridico dedotto» (Cass., Sez. I, 18/04/2013, n. 9483).

Ciò comporta, come pure si è precisato, che dovendo avere esclusivo riguardo «agli effetti» che le disposizioni del provvedimento straniero possono produrre nell’ordinamento interno, va esclusa «ogni possibilità di sottoporlo ad un sindacato di tipo contenutistico o di merito né di correttezza della soluzione adottata alla luce dell’ordinamento straniero o di quello italiano» (Cass., Sez. I. 25/07/2016, n. 15343), sicché non è compito del giudice della delibazione, quando della sentenza straniera compulsi il tasso di compatibilità con il limite dell’ordine pubblico, soppesare se, in disparte dal modo in cui ne sia avvenuta la formazione, le determinazioni che vi sono contenute si prestino o meno a contestazioni di tipo meritale.

Diversamente da ciò, l’ordinanza impugnata non rifugge, per vero, anche da una lettura di merito della vicenda, tanto da sottolineare che, per come é regolata dalle norme iraniane, la fattispecie divorzile oggetto di disamina «per il suo carattere unilaterale ed arbitrario, non si discosta dall’istituto del ripudio», come tale generalmente riprovato; in tal modo essa mostra di dar corpo ad un giudizio che non ha propriamente ad oggetto gli effetti dell’atto, ma né sindaca più apertamente il contenuto.

8. In questa direzione – che guarda adesivamente agli «effetti» dell’atto – merita di essere inoltre rinnovata anche un’altra avvertenza corrente nella giurisprudenza di questa Corte e da ultimo pure condivisa dalle SS.UU.

Poiché, si é detto, che l’individuazione del limite rappresentato dall’ordine pubblico deve avere riguardo esclusivamente agli effetti dell’atto nell’ordinamento interno, una volta che, come si é dianzi precisato, l’ordine pubblico, nell’attuale fase storico-sociale, si identifica nel complesso dei valori discendenti dalla Costituzione e dalle fonti internazionali e sovranazionali dettati a tutela dei diritti fondamentali per il modo in cui essi si attuano attraverso il diritto vivente, non può, di conseguenza, costituire ostacolo in linea di principio al riconoscimento dell’efficacia interna della sentenza straniera il fatto che essa «applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto a più norme interne benché imperative o inderogabili» (Cass., Sez. I, 30/09/2016, n. 19599), poiché, diversamente – e qui sta l’avvertenza che si vuole ricordare al giudice del rinvio – «le norme di conflitto sarebbero operanti solo ove conducessero all’applicazione di norme materiali aventi contenuto simile a quelle italiane, cancellando la diversità tra sistemi giuridici e rendendo inutili le regole del diritto internazionale privato» (Cass., Sez. IV, 04/05/2007, n. 10215).

9. Anche sotto questa angolazione l’ordinanza in contestazione non va, infatti, esente da critica.

Nel sondare l’istituto al suo esame la Corte d’Appello non ha fatto mistero di ritenere che, per ii fatto, in particolare, di riconoscere una condizione di privilegio del marito rispetto alla moglie, posto che ii primo può divorziare dalla seconda senza che questa ne possa «paralizzare» la volontà, il divorzio iraniano realizzi un modello giuridico inconciliabile con le «regole inderogabili e fondamentali immanenti ai più importanti istituti giuridici nazionali».

Cosi ragionando non solo mostra di far propria una convinzione in materia di ordine pubblico che non trova più riscontro nel diritto vivente, ma quel che più conta mostra di coltivare un’esegesi del limite concretamente operante nel giudizio di delibazione che non era praticabile, per quanto si e poc’anzi detto, neppure prima che la nozione di ordine pubblico fosse oggetto dell’evoluzione in senso estensivo di cui si e dato sopra conto.

10. Va dunque accolto il primo motivo di ricorso, ed assorbito il secondo motivo e cassata l’impugnata ordinanza, la causa va rinviata avanti al giudice a quo per un nuovo giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa l’impugnata ordinanza nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Bari che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Si ordina, d’ufficio, l’oscuramento dei dati identificativi riportati in sentenza.

Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I^ sezione civile il giorno 22.6.2020.

Il Presidente

Dott.ssa Cristina Giancola

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2020.

SENTENZA