LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
PASQUALE D’ASCOLA – Presidente Aggiunto –
FEUCE MANNA – Presidente di sezione –
RAFFAELE GAETANO ANTONIO FRASCA – Presidente di sezione –
MARGHERITA MARIA LEONE – Consigliere –
ALBERTO GIUSTI – Consigliere –
ALDO CARRATO – Consigliere –
ANNALISA DI PAOLANTONIO – Rel. Consigliere –
ANTONIO PIETRO LAMORGESE – Consigliere –
MARCO ROSSETTI – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
(omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), elettivamente domiciliate in Roma Via (omissis), presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che le rappresenta e difende;
-ricorrenti-
contro
SENATO DELLA REPUBBLICA, in persona del Presidente pro tempore, domiciliato ope legis in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO dalla quale é rappresentato e difeso;
– controricorrente –
per la risoluzione del conflitto negativo di giurisdizione tra la sentenza n. 6448/2022 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 08/07/2022 e le decisioni nn. 232 e 241 rispettivamente del 21 ottobre e dell’11 novembre 2020 del Consiglio di Garanzia del Senato della Repubblica.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2023 dal Consigliere, dott.ssa ANNALISA DI PAOLANTONIO;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale, dott. STEFANO VISONÁ, il quale conclude per il dichiararsi il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario per essere la controversia devoluta alla cognizione degli organi di autodichia del Senato della Repubblica.
FATTI DI CAUSA
1. (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), hanno proposto ricorso per conflitto reale negativo di giurisdizione, ai sensi dell’art. 362, comma 2, n. 2, cod. proc. civ., con riferimento, da un lato, alle decisioni nn. 232 e 241 del 2020 del Consiglio di Garanzia del Senato della Repubblica, che hanno confermato le pronunce nn. 648, 649, 650, 652 del 18 settembre 2019 rese dalla Commissione Contenziosa, la quale si era espressa per l’inammissibilità dei ricorsi; dall’altro alla successiva sentenza del Tribunale di Roma n. 6448 dell’8 luglio 2022 che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
2. Hanno esposto le ricorrenti di avere prestato per decenni attività lavorativa in favore del Senato della Repubblica (la (omissis) (omissis) dall’ottobre 1989 al marzo 2018; la (omissis) (omissis) dall’aprile 1994 al marzo 2018; la (omissis) (omissis) dal luglio 1985 al marzo 2018; la (omissis) (omissis) dall’aprile 2005 al dicembre 2015 e, poi, dal settembre 2016 al novembre 2017), sulla base di contratti di collaborazione coordinata e continuativa e di impiego a tempo determinato, formalmente conclusi con i Presidenti succedutisi nel tempo.
Hanno dedotto che le prestazioni, in realtà, erano state rese in regime di subordinazione ed hanno precisato che i compiti assegnati non erano di tipo fiduciario e personalistico, perché le mansioni, seppure svolte all’interno del Gabinetto di Presidenza, non differivano in alcun modo dalle attività di segreteria, di smistamento delle telefonate, di cura dell’archivio, di elaborazione di testi, tipiche del coadiutore parlamentare.
Hanno evidenziato di essere state pienamente inserite nell’organizzazione del Senato, tanto che tutte le comunicazioni riguardanti la gestione del rapporto erano inviate o provenivano dall’Ufficio del Personale e dai funzionari che, nel tempo, avevano ricoperto l’incarico di direttore del gabinetto di presidenza.
Hanno allegato, in sintesi, di essere state sottoposte al potere direttivo, gerarchico e disciplinare del Senato della Repubblica, che aveva anche direttamente adempiuto gli obblighi retributivi e contributivi.
3. Nel riassumere la vicenda processuale, le ricorrenti hanno, poi, dedotto di avere proposto in data 15 ottobre 2018 distinti ricorsi alla Commissione Contenziosa del Senato, con i quali, sul presupposto dell’avvenuto instaurazione di un rapporto di fatto con l’Amministrazione, avevano domandato:
– l’accertamento del rapporto;
– la condanna del Senato al pagamento delle differenze retributive fra quanto spettante al coadiutore parlamentare e quanto percepito, differenze dovute ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 Cost. e 2099 cod. civ.;
– la condanna dell’amministrazione al risanamento del «danno comunitario», nella misura massima di dodici mensilità, per l’abusiva reiterazione dei «contratti precari succedutisi».
4. La Commissione ha dichiarato inammissibili i ricorsi, rilevando che «la controversia … si colloca fuori del perimetro della giurisdizione della Commissione contenziosa, quale organo di autodichia(1) giacché «é di tutta evidenza che il rapporto di collaborazione sul quale si fonda il ricorso, in quanto non afferente alle funzioni proprie dell’organo sovrano e, quindi, estraneo all’attività dell’amministrazione ad esse preordinata abbia avuto quale esclusiva controparte negoziale la persona del Presidente in carica».
5. Le richiamate conclusioni sono state condivise dal Consiglio di Garanzia del Senato con le pronunce indicate in premessa, che hanno respinto gli appelli sul rilievo che l’autodichia opera esclusivamente per i rapporti di impiego instaurati dal Senato all’esito di concorso pubblico, rapporti non configurabili nella fattispecie perché i Presidenti succedutisi nel tempo avevano agito a titolo personale e non in rappresentanza dell’amministrazione.
6. Le ricorrenti hanno quindi adito il Tribunale di Roma, con ricorso depositato il 6 ottobre 2021 con il quale, sulla base delle medesime allegazioni sopra riassunte, invocando anche l’applicazione dell’art. 2126 cod. civ., hanno convenuto in giudizio il Senato della Repubblica e chiesto l’accoglimento delle domande precisate al punto 3.
7. Con sentenza del 6 luglio 2022 il giudice ordinario adito ha declinato la giurisdizione ed ha rilevato che, ai sensi dell’art. 72, comma 1, T.U. delle norme regolamentari riguardanti il personale del Senato della Repubblica, rientra nella giurisdizione dell’organo di autodichia la domanda con la quale si prospetta l’instaurazione di fatto del rapporto di lavoro subordinato, perché la disposizione regolamentare é riferita a qualsiasi rivendicazione che tragga origine dal rapporto di impiego, a prescindere dalle modalità attraverso le quali lo stesso si costituisce.
Ha aggiunto il Tribunale, richiamando la motivazione della pronuncia della Corte Costituzionale n. 262/2017, che l’affidamento a collegi interni del compito di interpretare e applicare le norme relative al rapporto di lavoro dei dipendenti con gli organi costituzionali é un riflesso dell’autonomia di detti organi, che sarebbe compromessa qualora si consentisse alla giurisdizione comune di interpretare ed applicare la disciplina che regola l’assetto e il funzionamento degli apparati serventi, dei quali gli organi costituzionali si dotano.
Ha precisato che le ragioni che stanno a fondamento della giurisdizione domestica non consentono di differenziare dal rapporto formalmente instaurato con l’organo costituzionale, quello che, secondo la prospettazione della domanda, si assume realizzato in via di fatto.
8. II ricorso domanda alla Corte di cassazione, ex art. 362, comma 2, cod. proc. civ., «di risolvere il denunciato conflitto reale negativo di giurisdizione creatosi tra la giurisdizione domestica del Senato della Repubblica e il Giudice Ordinario, in funzione di Giudice del Lavoro, con ogni conseguente provvedimento».
9. II Senato della Repubblica ha notificato controricorso ed ha concluso per l’infondatezza del ricorso e per il riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario.
10. L’Ufficio della Procura Generale ha depositato memoria, con la quale, ritenuto ammissibile il conflitto, ha concluso per la dichiarazione del «difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario per essere la controversia devoluta alla cognizione degli organi di autodichia del Senato della Repubblica».
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. II ricorso é inammissibile.
Da tempo queste Sezioni Unite hanno affermato che la denuncia di un conflitto negativo di giurisdizione presuppone che le contrapposte pronunzie si caratterizzino per la comune delibazione della questione pregiudiziale sulla potestas Judicandi in relazione all’oggetto della domanda, inteso come petitum sostanziale, ossia non solo e non tanto in funzione della particolare statuizione che si chiede al giudice, bensì anche e soprattutto in funzione della causa petendi, vale a dire dell’intrinseca natura del rapporto dedotto dall’attore a fondamento delle sue pretese, come individuata dal giudice adito.
Prendendo le mosse da detta premessa e stato, poi, precisato che, poiché la decisione sulla giurisdizione e caratterizzata dal fatto che l’apprezzamento affidato al giudice, col correlativo potere di qualificazione giuridica, deve essere esercitato in riferimento agli elementi dedotti ed allegati dalla parte, ed a prescindere da ogni accertamento sulla loro effettiva sussistenza e sulla fondatezza della domanda, un reale conflitto si può configurare solo allorquando le decisioni contrastanti conseguano a valutazioni di dati omogenei, nel senso che entrambe presuppongano l’esercizio del potere in modo astratto e con esclusivo riferimento a quelle deduzioni ed allegazioni.
A detta situazione, si e precisato, non può essere assimilata quella nella quale uno dei giudici emetta una pronuncia declinatoria della propria potestas Judicandi mentre l’altro, al di là della formula utilizzata in dispositivo, provveda nella sostanza all’accertamento richiesto dalla domanda e, all’esito di esso, neghi in concreto l’esistenza di quel medesimo rapporto la cui configurabilità astratta (cioè in base alla domanda) sia stata posta a fondamento dell’anzidetta pronuncia (Cass. S.U. 12 marzo 2001 n. 102; Cass. S.U. nn. 27401 e 27402 del 13 dicembre 2005; cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16540; cass. S.U. 4 luglio 2016 n. 13576).
1.1. Quest’ultima evenienza e quella che ricorre nella fattispecie, atteso che se, da un lato, la pronuncia declinatoria della giurisdizione da parte del Tribunale di Roma si riferisce al rapporto di impiego instaurato di fatto con il Senato della Repubblica, in relazione al quale il giudice ordinario ha affermato la riserva di giurisdizione in favore dell’organo di autodichia, non altrettanto può dirsi quanto alle decisioni del Consiglio di Garanzia che, nel rigettare l’impugnazione proposta avverso le pronunce della Commissione contenzioso, hanno escluso che quel rapporto potesse essere configurato e da ciò hanno tratto, quale ulteriore conseguenza, che ogni eventuale rivendicazione doveva essere fatta valere nei confronti dell’effettivo titolare del rapporto di impiego, di natura privatistica, ossia delle persone fisiche che avevano rivestito negli anni la carica di Presidente del Senato ed avevano, dapprima, conferito alle ricorrenti incarichi di collaborazione e successivamente stipulato i contratti a tempo determinato posti a fondamento del ricorso.
1.2. Si legge, infatti, nelle motivazioni, sovrapponibili, del Consiglio di Garanzia:
«l’autodichia opera esclusivamente per quei rapporti instaurati dall’Amministrazione del Senato. E’ di palmare evidenza che nella fattispecie, il rapporto di collaborazione ed i successivi contratti di lavoro a termine sono intercorsi tra le appellanti ed i diversi Presidenti pro tempore del Senato, i quali agivano a titolo personale e non in rappresentanza dell’Amministrazione; potere che compete esclusivamente al Segretario Generale. Ne consegue l’inapplicabilità sia della normativa prevista in tema di pubblico impiego in quanto espressamente esclusa dal Senato della Repubblica in virtù dell’autonomia normativa riservatagli dalla Costituzione; sia del richiamo all’articolo 36 della Costituzione che richiede espressamente il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro del quale si chiede la tutela: subordinazione che non si evince in alcun modo nel caso di specie».
Analogamente la Commissione contenziosa, nelle pronunce poi confermate dal Consiglio di Garanzia, aveva escluso che i rapporti fossero intercorsi con l’amministrazione del Senato ed aveva richiamato l’art. 18 del decreto del Presidente del Senato n. 11437 del 2010 osservando che lo stesso «chiarisce in termini inequivoci che tale relazione intercorre tra i componenti delle segreterie particolari ed i consulenti da un lato e il Presidente del Senato e i senatori o ex senatori dall’altro ed ha natura fiduciaria …».
Aveva, altresì, ritenuto non condivisibili i dubbi di sospetta incostituzionalità prospettati dalle ricorrenti, rilevando che «lo scopo della disciplina é quello di assicurare al Presidente ed ai senatori componenti del Consiglio di Presidenza ed agli altri senatori aventi titolo l’adeguata provvista di personale di Segreteria, in qualità di collaboratori fiduciari, per lo svolgimento di attività di rilievo politico istituzionale estranee allo svolgimento delle funzioni tipiche. Da ciò l’esclusiva rilevanza privatistica de/la relazione così instaurata, vigente solo tra la persona fisica de/ parlamentare ed ii soggetto da lui prescelto, senza alcun ruolo attivo da parte dell’amministrazione al di fuori de/le attività pratiche ad essa delegabili in conformità a quanto previsto negli atti regolamentari interni. ».
L’organo di autodichia, quindi, a fronte della domanda formulata sul presupposto che si fosse instaurato, in via di fatto, un rapporto di impiego con l’amministrazione del Senato, ha, nella sostanza e sulla base di plurime argomentazioni, ritenuto che detta domanda non fosse fondata, e, ravvisata l’esclusiva legittimazione delle persone fisiche che il rapporto avevano instaurato nonché la natura privatistica del medesimo, ha declinato la giurisdizione sulle pretese scaturenti da detto ultimo rapporto, non da quello, prospettato dalle ricorrenti ma non ravvisato dall’organo giudicante, asseritamente intercorso con il Senato, rapporto al quale si riferisce, invece, la sentenza del giudice ordinario, dinanzi al quale le ricorrenti hanno convenuto l’amministrazione del Senato, non i Presidenti succedutesi nel tempo, nei cui confronti, secondo l’organa dell’autodichia, le pretese dovevano essere fatte valere.
1.3. In altri termini non si ravvisa alcun contrasto, quanto alla giurisdizione ed ai limiti dell’autodichia, fra le pronunce asseritamente confliggenti perché l’una, quella del Tribunale, ha correttamente escluso che il giudice ordinario possa statuire sull’instaurazione o meno di un rapporto di impiego con l’amministrazione del Senato; l’altra, quella dell’organo di autodichia, ha negato che quel rapporto si fosse instaurato, pronunciando sul merito della domanda, aggiungendo, poi, che ogni rivendicazione doveva essere fatta valere dalle ricorrenti nei confronti delle persone fisiche con le quali il rapporto privatistico si era instaurato, persone che non sono state evocate in giudizio dinanzi al Tribunale, il quale, quindi, non ha reso alcuna statuizione sulla giurisdizione inerente al rapporto con le stesse instaurato.
1.4. In via conclusiva il denunciato conflitto va escluso alla radice per le ragioni innanzi esposte e ciò esime queste Sezioni Unite dal pronunciare sull’ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 362 cod. proc. civ. nei casi in cui una delle due pronunce asseritamente confliggenti sia resa dall’organo di autodichia.
2. Le spese del giudizio di cassazione devono essere integralmente compensate fra le parti in ragione della assoluta peculiarità della fattispecie e della complessità della vicenda processuale.
3. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalle ricorrenti.
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile ii ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater da atto della sussistenza dei presupposti processuali per ii versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per ii ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 5 dicembre 2023
Il Presidente
Pasquale D’Ascola
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2024.
SENTENZA – copia non ufficiale -.
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(1)Autodichia (dir. cost.) Particolare prerogativa dei due rami del Parlamento di risolvere, attraverso un organismo giurisdizionale interno, le controversie insorte con i propri dipendenti.