L’aggressore gli prende la testa con violenza e lui, per difendersi, estrae un coltello ferendolo all’addome. E’ legittima difesa (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 13 luglio 2020, n. 20741).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefania – Presidente –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere –

Dott. SARACENO Rosa Anna – Rel. Consigliere –

Dott. CASA Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

DIANA FABIO nato a ALESSANDRIA il 16/01/1975;

avverso la sentenza del 11/01/2019 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Rosa Anna SARACENO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Paolo CANEVELLI che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore l’avvocato GIOVINAZZO Vincenzo sostituto processuale in difesa di DIANA Fabio insiste nei motivi e ne chiede l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe la Corte di appello di Torino confermava la sentenza emessa in data 8 novembre 2017, con cui il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Alessandria, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato Fabio Diana responsabile di rissa aggravata (contestata in concorso con Tiberiu Catalin Dumitrache, Costantin Agache e Alin Radu Vlad), di tentato omicidio e di porto ingiustificato di un coltello, commessi in Alessandria il 25 agosto 2016, condannandolo, ritenuta la continuazione e in concorso dell’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. equivalente alla recidiva, alla pena di 5 anni e 10 giorni di reclusione, con pene accessorie di legge e condanna, altresì, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore della parte civile costituita, cui veniva riconosciuta provvisionale immediatamente esecutiva dell’importo di 40.000,00 euro.

Secondo la contestazione, nel corso di una rissa, Diana aveva sferrato una coltellata al costato di Catalin Tiberiu Dumitrache, cagionandogli lesioni personali (emoperitoneo da ferita penetrante da arma bianca con lacerazione profonda e sanguinamento attivo del III segmento epatico), per le quali la vittima era stata ricoverata in prognosi riservata presso il reparto di terapia intensiva e sottoposta a intervento chirurgico in via d’urgenza che aveva consentito di scongiurarne il decesso.

1.1. La vicenda era scaturita, secondo quanto riferito dai giudici di merito, da un alterco insorto tra i tre stranieri e l’italiano; Dumitrache si era staccato dai compagni e si era avvicinato a Diana che gli aveva sferrato un fendente all’addome; la vittima era tornata dagli amici, i quali, perseverando Diana nel suo atteggiamento di sfida, lo avevano raggiunto e violentemente colpito, buttandolo a terra, disarmandolo e cagionandogli lesioni al capo (trauma cranico con ferita lacero contusa al sopracciglio sinistro).

1.2. A ragione della decisione la Corte di appello, riassunto il contenuto delle fonti di prova (costituite dalle dichiarazioni dei coimputati e del teste oculare, Marmol Jimenez), condivideva l’approdo decisorio del primo decidente, confutando le deduzioni difensive articolate nei motivi di appello – che non avevano posto in discussione la materiale commissione dell’azione lesiva ad opera dell’imputato, ma che facevano questione esclusivamente della sussistenza della legittima difesa, reale o putativa, della difesa eccedente e della qualificazione giuridica del fatto – sul rilievo che la tesi difensiva dell’aggressione subita dall’imputato ad opera della vittima era stata riferita dal teste oculare nelle sommarie informazioni del 25/8/2016, ma non confermata nel corso dell’esame testimoniale e che, in ogni caso, era stato l’imputato ad innescare la sfida; gli elementi acquisiti non consentivano, pertanto, di ritenere che Diana si fosse trovato a fronteggiare un pericolo, reale o presunto, e che la sua reazione armata fosse stata ineluttabile o necessitata.

Le caratteristiche, la direzione e la profondità della ferita, l’improvvisa estrazione del coltello e la notevole forza viva di penetrazione della lama, il colpo sferrato da distanza ravvicinata dimostravano l’idoneità e l’univocità degli atti realizzati e il dolo d’omicidio, precludendo la qualificazione del fatto alla stregua del reato di lesioni.

Nè rilevava valorizzare lo stato psichico dell’imputato, stante la compatibilità del vizio parziale di mente con il dolo omicidiario.

2. Ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del difensore avvocato Cesare Sandro Strozzi, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata, denunziando:

– 2.1. inosservanza o erronea applicazione della legge penale (in relazione agli artt. 43, 56, 575 cod. pen.), con riguardo all’affermata responsabilità per il reato di tentato omicidio.

La Corte territoriale, erroneamente trincerandosi dietro al rilievo che la responsabilità per il reato di rissa non era oggetto dei motivi di appello, era incorsa in duplice errore, innanzitutto dando per scontata la sussistenza del tentativo di omicidio, contestata invece quanto ad aspetto soggettivo e a scriminanti;

quindi, valorizzando l’idoneità della ferita provocata e l’offensività dello strumento utilizzato, senza adeguatamente considerare che, nella fase immediatamente antecedente il ferimento, nessun elemento suggeriva l’esistenza di un animus necandi: non v’era movente;

l’incontro con i rumeni era stato del tutto casuale; tra gli stranieri e l’imputato, tutti in stato di alterazione alcolica, vi era stata esclusivamente una discussione verbale, a distanza e con scambio di reciproci insulti, finché Dumitrache era passato dalle parole ai fatti, raggiungendo Diana e afferrandolo violentemente per il capo, così come dedotto in contestazione e ritenuto provato dalla sentenza di primo grado;

solo in quel frangente l’imputato, esclusivamente per difendersi, aveva estratto il coltello mentre era in corso l’aggressione e aveva inferto un solo colpo, d’impeto e senza prendere la mira;

una volta ottenuta la desistenza dell’aggressore, tornato dai suoi compagni, si era difatti allontanato.

Il comportamento complessivamente tenuto non era compatibile, dunque, con la fattispecie contestata;

– 2.2. erronea applicazione della legge penale sostanziale e vizio di motivazione per l’omesso riconoscimento della legittima difesa, anche putativa, negata con argomenti non convincenti e contraddittori, incentrati:- sulla ritenuta assenza obiettiva del pericolo imminente di un’offesa ingiusta, basata, da un lato, su una lettura travisante delle dichiarazioni del teste oculare e cioè sull’asserita omessa conferma del particolare riferito nell’immediatezza dei fatti, ossia che era stato il rumeno ad avvicinarsi all’italiano e ad afferrargli con violenza la testa; dall’altro sulla contraddittoria considerazione che l’aggressione era, comunque, durata pochi istanti e non v’era prova che avesse determinato un’effettiva immobilizzazione e neutralizzazione dell’imputato;

– sulla volontaria esposizione al pericolo e sulla deliberazione di un’azione difensiva evitabile; affermazioni prive di riscontri e illogicamente ricondotte al precedente “battibecco”, del tutto casuale, né configurabile alla stregua di una provocazione o di una sfida lanciata dal Diana;

– sugli arbitrari apprezzamenti sulla personalità dell’imputato, dai tratti narcisistici, istrionici e antisociali, indicativi di una capacità aggressiva anche al cospetto di più soggetti e sulla considerazione, priva di base fattuale, che Diana avesse deliberatamente tenuto occultata l’arma sino al momento del suo utilizzo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare, alla luce del complesso delle motivazioni offerte dalla sentenza impugnata, meritevole di accoglimento.

2. Va innanzitutto rilevato che le sentenze dei due gradi di merito sono pervenute a decisioni uniformi, di condanna, ma risultano difformi quanto a ricostruzione fattuale.

2.1. La sentenza di primo grado ha affermato che la vicenda si era svolta in due fasi:

– in un primo momento, Diana aveva “infastidito i tre stranieri inducendoli ad allontanarsi”;

– Dunnitrache era ritornato indietro e, raggiunto l’imputato, lo aveva aggredito, afferrandolo per la testa, ma “aveva avuto la peggio” perché Diana aveva colpito l’aggressore con una violenta coltellata all’addome;

– in un secondo momento erano intervenuti gli altri coimputati, i quali, dopo aver soccorso Dumitrache, avevano raggiunto Diana, buttandolo al suolo, disarmandolo e colpendolo al volto.

Alla luce di siffatta ricostruzione, non era revocabile in dubbio la sussistenza del reato di rissa, essendosi in presenza di un’azione sviluppatasi in varie fasi e frazionatasi in distinti episodi, tra i quali non vi era stata alcuna apprezzabile soluzione di continuità, essendosi tutti seguiti in rapida successione, in modo da saldarsi in un’unica sequenza di eventi; di conseguenza, era da escludersi la configurabilità della scriminante della legittima difesa, inapplicabile al reato di rissa e a quelli commessi nel corso di essa, in quanto i corrissanti sono animati dall’intento reciproco di offendersi e di accettare la situazione di pericolo nella quale volontariamente si sono posti, sicché la loro difesa non può dirsi necessitata; la condotta tenuta da Diana in danno della vittima era stata correttamente qualificata alla stregua di tentato omicidio perché mezzo utilizzato e violenza del colpo inferto erano indicativi di una volontà omicida, quanto meno nella forma del dolo alternativo.

2.2. La Corte di appello non ha approfondito il tema della rissa, osservando che i motivi di appello erano stati modulati esclusivamente con riferimento al reato di tentato omicidio; ha ritenuto necessario disporre, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., l’esame del teste Jimenez, onde ricostruire con maggiore precisione i dettagli dell’azione delittuosa nel suo complesso e poter “ricercare, nella condotta dell’imputato, gli elementi scriminanti evocati nell’atto di appello”; ha, quindi, confermato la condanna per tentato omicidio del ricorrente sulla base dei seguenti argomenti:

– l’antefatto della vicenda era sicuramente avvenuto all’interno del locale El Sitio ove era insorta una discussione tra l’italiano e i rumeni;

– il diverbio era proseguito all’esterno del locale con “intuitivo scambio di parole pesanti”;

– Dumitrache, di corporatura assai più robusta rispetto a quella del Diana, gli si era avvicinato e in tale frangente il secondo non aveva ancora appalesato di essere armato, anche perché era illogico supporre il contrario, ossia che il rumeno, disarmato, “si sarebbe scagliato contro l’imputato che brandiva un coltello”;

– sussistevano gli estremi, oggettivo e soggettivo del tentato omicidio, tanto ricavandosi dall’impiego di uno strumento idoneo a cagionare la morte; dal distretto corporeo attinto (fascia addominale); dall’entità delle lesioni provocate che avevano reso necessario l’intervento chirurgico salvifico; dalle modalità della condotta, essendo stato il fendente “sferrato al buio e senza controllo dell’azione”, da distanza ravvicinata, con gesto repentino, nella consapevolezza che agire in quel contesto avrebbe significato dirigere il coltello in una parte vitale del corpo e, in tal modo, “volendo provocare il rischio, come in effetti accaduto, di attingere parti interne”;

– era da escludere che l’azione dolosa potesse essere collocata in un contesto di aggressione subita dall’imputato: la prospettazione difensiva, secondo la quale Dumitrache, una volta raggiunto Diana lo aveva afferrato per il collo, così determinandone la reazione difensiva, era stata riferita dal teste Marmol Jimenez nel verbale di s.i.t. del 25.8.2016, ma non era stata confermata nel corso dell’esame testimoniale; più semplicemente poteva ritenersi che Dumitrache, “confidando sulla sua prestanza e superiorità fisica (avesse) cercato di immobilizzare il Diana, forse anche al fine di fargliela pagare per il suo precedente comportamento di sfida”, ma non poteva affermarsi che tale azione, durata pochi secondi, avesse “determinato un’immobilizzazione con successiva neutralizzazione” dell’imputato;

– non sussistevano i presupposti per l’operatività della scriminante della legittima difesa sia perché la presunta aggressione era stata determinata dal comportamento provocatorio del Diana e l’esimente non è invocabile da parte di colui che abbia innescato o accettato un duello o una sfida, ovvero abbia attuato una spedizione punitiva nei confronti dei propri avversari (Sez. 1, n. 37289 del 21/06/2018, Fantini, Rv. 273861), sia perché Diana aveva colpito l’antagonista in modo inaspettato con il coltello volutamente occultato sino a quel momento, tanto dimostrando che lo scopo dell’azione non era quello di difendersi “ma di fare fuori i tre rumeni che lo avevano in qualche modo offeso”;

– nemmeno vi era spazio per l’esimente putativa; l’erronea percezione di un pericolo di aggressione poteva essere esclusa con tranquillante certezza, in quanto i tre rumeni non gli si erano “rivolti contro” simultaneamente e, “quando Dumitrache, accettando la sfida, gli si era avvicinato, gli altri erano rimasti a distanza, evidentemente non animati, almeno nell’immediatezza, a dare manforte all’amico”;

– l’assenza dei presupposti dell’esimente reale o putativa precludeva la riconduzione del fatto nel perimetro della difesa colposamente eccedente.

3. Ora quando, come nel caso in esame, il giudice di appello ritenga di non poter condividere la ricostruzione della vicenda offerta dal primo giudice e proponga un diverso scenario fattuale, ha l’onere di fornire una motivazione completamente convincente e rigorosa nella verifica e spiegazione dei fatti, sì da dimostrare che le possibilità che la vicenda si sia svolta in modo tale da ritenere che la responsabilità dell’imputato andrebbe esclusa o ritenuta minore, siano, con certezza o quasi certezza, irragionevoli.

Senonché, come a ragione ha osservato la difesa allegando al ricorso i verbali delle prove dichiarative richiamate in sentenza, l’articolazione delle ragioni della decisione presenta effettivamente indubbi profili di criticità sul piano della logica, dei principi di diritto, non correttamente evocati, e della fedele aderenza ai dati probatori acquisiti.

3.1. In primo luogo la decisione impugnata appare implicitamente dissentire da quella di primo grado quanto alla collocazione del tentativo di omicidio in un contesto di rissa, tanto desumendosi all’evidenza dalle giustificazioni addotte per escludere la configurabilità dell’esimente, laddove, per pacifico arresto, la legittima difesa è inapplicabile al reato di rissa e a quelli commessi nel corso di essa, potendo essere eccezionalmente riconosciuta solo nell’ipotesi in cui, nella sussistenza degli altri requisiti voluti dalla legge, vi sia stata un’azione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia un’offesa diversa e più grave di quella accettata, quindi, nuova, autonoma e in tal senso ingiusta (tra le molte e da ultimo: Sez. 5, n. 36143 del 11/04/2019, Lepre, Rv. 277030; Sez. 5, Sentenza n. 32381 del 19/02/2015, D’Alesio, Rv. 265304).

Del resto l’art. 588 cod. pen. delinea una fattispecie di reato plurisoggettivo che necessita per la sua esistenza una violenta contesa tra gruppi contrapposti che si fronteggino, scambiandosi, in maniera reciproca e contestuale, atti di violenza fisica con vicendevole intenzione offensiva dell’altrui incolumità personale, solo in siffatto contesto essendo irrilevante individuare chi per primo sia passato a vie di fatto.

Mentre la sentenza ha escluso, nella ricostruzione offerta, che, prima che Dumitrache si avvicinasse al Diana, fosse in corso una colluttazione o una zuffa, con azioni scambievoli di offesa o di difesa, ritenendo provato un mero alterco verbale con scambio reciproco di insulti tra i rumeni, da un lato, e il solo Diana, dall’altro.

3.2. Ha dato per pacificamente dimostrato -alla stregua delle stesse dichiarazioni dei coimputati- che era stato Dumitrache ad avvicinarsi a Diana e ne ha rimarcato le intenzioni aggressive, segnatamente affermando che lo straniero, forte della sua prestanza e superiorità fisica, aveva tentato di immobilizzare l’italiano “anche al fine di fargliela pagare per il suo precedente comportamento di sfida”.

3.3. Ha confutato poi, l’assunto difensivo, ossia che l’imputato aveva estratto e utilizzato il coltello solo quando Dumitrache, una volta raggiuntolo, lo aveva afferrato per il collo, evidenziando che tale particolare, riferito dal teste oculare nell’immediatezza del fatto, non era stato confermato nel corso dell’esame testimoniale, pur avendo, a p. 7, dato atto che il racconto sul contatto fisico tra l’imputato e il rumeno era stato impreciso, ma che “l’afferramento” non era stato escluso (“Questo non me lo ricordo. Però se è quello che ho dichiarato… Tutto quello che ho dichiarato è la verità”), così incorrendo in un travisamento della prova, come correttamente dedotto nel ricorso, del tutto autosufficiente sul punto.

E, nondimeno, ha ritenuto che un’azione aggressiva si fosse verificata, anche se durata pochi secondi “tanto da venire rimossa da Marmol Jimenez…dai suoi ricordi”, ma che non poteva meglio essere definita, posto che anche dal verbale di s.i.t. non emergeva affatto che detta azione avesse sortito l’effetto di neutralizzare l’imputato.

3.4. E, ancora, ha ritenuto inattendibile il teste laddove aveva aggiunto un particolare inedito, ossia che, nel corso del diverbio all’esterno del locale, l’italiano aveva estratto il coltello e aveva incitato i rumeni a farsi avanti, osservando che tale particolare non era stato riferito nemmeno dagli stranieri e che appariva illogico supporre che “Dumitrache si (fosse) scagliato contro l’imputato che brandiva un coltello, atteso che egli era disarmato”.

3.5. Ha, però, escluso i presupposti per la configurabilità dell’esimente, evidenziando che “l’azione omicidiaria era stata determinata dall’atteggiamento provocatorio del Diana” che aveva innescato la sfida, accettata da Dumitrache, per poi concludere che il fendente, sferrato in modo inaspettato, e il fatto che lo strumento offensivo fosse stato volutamente occultato sino a quel momento portavano a ritenere che lo scopo dell’imputato fosse quello “non di difendersi, ma di fare fuori! tre rumeni che lo avevano in qualche modo offeso”.

4. Ed allora ha ragione il ricorrente quando afferma che la motivazione contenuta nella sentenza impugnata appare disancorata dalle reali emergenze processuali, formula ipotesi apoditticamente rappresentate come circostanze pacifiche, presenta profili di evidente illogicità, se solo si consideri:

– che se è vero che l’esimente della legittima difesa non è applicabile a chi abbia agito nella ragionevole previsione di determinare una risposta aggressiva, la sentenza non solo non chiarisce quale sia stato l’atteggiamento provocatorio o di sfida tenuto dall’imputato, partecipe, al pari dei rumeni, ad un alterco svoltosi a distanza e consistito in un reciproco scambio di insulti, ma nega espressamente che egli avesse, nel corso di esso, lanciato una sfida agli avversari, estraendo e brandendo il coltello;

– che una mera discussione, poco importa da chi originata, non è motivo sufficiente a giustificare un’aggressione fisica, né vale a configurare l’innesco di una sfida o la volontaria provocazione di una situazione di pericolo, cui si accompagni non solo la previsione ma addirittura il proposito, secondo quanto apoditticamente si afferma, di fronteggiare l’avversario con un’arma opportunamente tenuta celata;

– che non appare rispettoso della stessa ricostruzione dei fatti operata in sentenza non tener conto che la condotta reattiva dell’imputato era seguita non già allo scambio di ingiurie, ma a un comportamento del Dumitrache che aveva spostato la contesa verbale sul piano del confronto fisico: era stata la vittima a staccarsi dagli amici e ad avvinarsi, anzi a “scagliarsi” contro l’imputato con “l’intenzione di fargliela pagare”, scrivono i giudici di appello, così mostrando non solo e non tanto la superfluità della -contestuale e peraltro erronea- sottolineatura dell’omessa conferma, da parte del teste oculare, delle già riferite modalità dell’aggressione, ma implicitamente ammettendo che un’aggressione fisica vi era stata ad opera dello straniero, del quale si rimarcava la superiorità fisica rispetto all’avversario.

E pare opportuno ribadire che l’attualità del pericolo, richiesta per la configurabilità della scriminante, implica un effettivo, preciso contegno del soggetto antagonista prodromico di una determinata offesa ingiusta, la quale si prospetti come concreta e imminente, così da rendere necessaria la reazione difensiva, restando estranea all’area di applicazione della scriminante ogni ipotesi di difesa preventiva o anticipata; ma tale non sarebbe certamente la condotta tenuta dall’imputato che, secondo la ricostruzione offerta, ha estratto il coltello solo quando l’antagonista era passato al contatto fisico.

Potendosi qui solo aggiungere che quando vi sia il dubbio sulla esistenza di una causa di giustificazione, in presenza di un principio di prova o di una prova incompleta, esso non può che giovare all’imputato (Sez. 1, n. 9708 del 7 luglio 1992, Giacometti, Rv. 191886; Sez. 5, n. 10332 del 5 settembre 1995, Lajacona, Rv. n. 202658; Sez. 1, n. 8983 del 8 luglio 1997, Boiardi, Rv. n. 208473; Sez. 2, n. 32859 del 4 luglio 2007, Pagliaro, Rv. 237758); e lo stesso vale con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo, quando emergano circostanze di fatto che giustifichino la ragionevole persuasione di una situazione di pericolo e sorreggano l’erroneo convincimento di versare nella necessità di difesa, poiché tali circostanze, anche se considerate non del tutto certe, portano ugualmente a ritenere sussistente la legittima difesa putativa (Sez. 4, n. 4474 del 15/11/1990, P.M. in proc. Abate, Rv. 187319).

E ogni volta che sia ipotizzabile (anche come conseguenza dell’applicazione del canone in dubio pro reo) la difesa legittima, non basta una oggettiva sproporzione del mezzo usato e delle conseguenze prodotte a fare ritenere comunque sussistente la responsabilità di chi reagisce a titolo di colpa.

L’adeguatezza della reazione va verificata con riferimento alle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non astratto, in relazione a tutti gli elementi di fatto – oggettivi e soggettivi – che connotano l’aggressione, sicché quando l’aggredito, fisicamente e psicologicamente più debole, abbia realmente un solo mezzo a disposizione per difendersi e l’aggressione subita non sia altrimenti arrestabile, l’uso di tale strumento, può risultare non eccessivo, se, usato con modalità diverse, poteva ritenersi adeguato.

5. Alla luce delle superiori riflessioni, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino perché proceda, in piena libertà cognitiva, a nuovo giudizio, calibrato sulla globale considerazione di tutti gli elementi della situazione di specie e aderente ai dati probatori acquisiti, attenendosi ai principi enunciati, senza incorrere nelle evidenziate illogicità e colmando le segnalate carenze di valutazione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.