L’atto di permuta non trascritto e non eseguito è inopponibile alle parti e non è utilizzabile ai fini della regolamentazione dei confini (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 20 maggio 2022, n. 16356).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BELLINI Ubaldo – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. MARCHEIS Chiara Besso – Consigliere –

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 35580/2018) proposto da:

(OMISSIS) Giovanna (C.F.: CH(OMISSIS)9Q), rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dall’Avv. Giacomo (OMISSIS), nel cui studio in Roma, via (OMISSIS) n. 121, ha eletto domicilio;

– ricorrente –

contro

Arcidiocesi di NAPOLI (C.F.: 80(OMISSIS)39), in persona del suo legale rappresentante pro – tempore, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del controricorso, dall’Avv. Prospero (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma, viale (OMISSIS) n. 38, presso lo studio dell’Avv. Giuseppe (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza parziale n. 1654/2014, pubblicata il 10 aprile 2014, e la sentenza definitiva n. 4874/2017, pubblicata il 27 novembre 2017, della Corte d’appello di Napoli;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8 aprile 2022 dal Consigliere relatore dott. Cesare Trapuzzano;

lette le memorie depositate nell’interesse delle parti ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.

FATTI DI CAUSA

1.- Con ricorso depositato il 4 ottobre 1991, l’Arcidiocesi di Napoli, adiva il Pretore di (OMISSIS), lamentando l’abbattimento, ad opera di (OMISSIS) Mario, di un muro di confine che insisteva nel fondo – di cui era proprietaria e possessore -, sito in (OMISSIS), via San Gennaro-Agnano, e chiedeva, per l’effetto, che fosse reintegrata nel possesso.

(OMISSIS) Mario resisteva alla domanda di spoglio, deducendo che il muro ricadeva nella sua proprietà.

Con ordinanza del 31 marzo 1992, il Pretore adito reintegrava l’Arcidiocesi nel possesso del terreno, ordinando al (OMISSIS) di ricostruire il muro preesistente.

Il giudizio proseguiva per il merito possessorio.

All’udienza del 15 novembre 1996 era dichiarata l’interruzione del processo per la morte di (OMISSIS) Mario.

All’esito, con ricorso depositato il 14 maggio 1997, l’Arcidiocesi riassumeva il giudizio possessorio nei confronti di (OMISSIS) Giovanna e (OMISSIS) Maria, in qualità di eredi di (OMISSIS) Mario.

Si costituiva (OMISSIS) Giovanna mentre rimaneva contumace (OMISSIS) Maria.

Quindi, con sentenza n. 9443/2003 del 12 settembre 2003, il Tribunale di Napoli, subentrato alla soppressa Pretura, dichiarava estinto il giudizio, sul rilievo che l’atto di riassunzione verso la (OMISSIS) era stato notificato successivamente alla scadenza del termine all’uopo concesso.

2.- Avverso questa decisione interponeva gravame, davanti alla Corte d’appello di Napoli, l’Arcidiocesi di Napoli, chiedendo che fosse riformata la declaratoria di estinzione del giudizio possessorio, in ragione dell’errore materiale perpetrato dal Giudice di prime cure nell’individuazione dell’esatta data entro cui doveva essere rinnovata la notificazione del ricorso in riassunzione, con istanza di rimessione della causa al primo giudice per il prosieguo del giudizio possessorio.

Si costituivano nel giudizio d’appello (OMISSIS) Giovanna e (OMISSIS) Maria, chiedendo che la dichiarazione di estinzione del giudizio possessorio fosse confermata per omessa o irregolare riassunzione nel termine fissato.

3.- Contestualmente, con citazione notificata il 14 gennaio 1992, (OMISSIS) Mario conveniva, davanti al Tribunale di Napoli, l’Arcidiocesi di Napoli, chiedendo che fossero accertati i confini tra i fondi limitrofi.

Al riguardo, esponeva che era proprietario, in virtù di decreto di aggiudicazione del 13 gennaio 1958, del fondo rustico, con annesso fabbricato rurale, sito in (OMISSIS), contrada San Gennaro, confinante con il fondo dell’Arcidiocesi.

Sosteneva, ancora, che il muro che aveva abbattuto insisteva per intero sulla sua proprietà e non aveva la funzione di delimitazione del confine.

L’Arcidiocesi di Napoli resisteva alla domanda petitoria, eccependone in via preliminare l’improponibilità, per violazione del divieto per il convenuto nel giudizio possessorio di intraprendere un giudizio petitorio, finché non fosse stato definito il giudizio sul possesso.

Nel merito, chiedeva che la domanda di regolamento di confini fosse disattesa, poiché i confini non erano incerti, né oggettivamente né soggettivamente, bensì determinati amichevolmente tra le parti sin dal 1984.

In via riconvenzionale, domandava comunque che fosse accertato l’acquisto per usucapione della proprietà sulla zona di terreno posta a ridosso del confine delimitato dal muro abbattuto.

Il Tribunale adito, con sentenza parziale n. 6668/2000 del 12 maggio 2000, dichiarava l’improponibilità, in pendenza di giudizio possessorio, della domanda di regolamento di confini limitatamente alla zona di terreno interessata dalla ricostruzione del muro e rigettava la domanda riconvenzionale di usucapione spiegata dall’Arcidiocesi.

Disponeva, quindi, la prosecuzione del giudizio ai fini di accertare il confine tra le particelle non interessate dalla ricostruzione del muro.

Avverso questa decisione l’Arcidiocesi formulava riserva di appello.

Nell’ulteriore prosieguo del giudizio, era espletata consulenza tecnica d’ufficio.

Quindi, l’Arcidiocesi produceva, all’udienza del 5 febbraio 2003, atto di permuta per notar (OMISSIS) del 15 giugno 1916, rep. n. 12431.

Con sentenza definitiva n. 5925/2004 del 21 aprile 2004, il Tribunale di Napoli dichiarava l’improponibilità della domanda di regolamento di confini anche relativamente alla zona di terreno non interessata dalla ricostruzione del muro.

4.- Con citazione notificata il 2 luglio 2005, l’Arcidiocesi di Napoli interponeva gravame, davanti alla Corte d’appello di Napoli, avverso la sentenza parziale n. 6668/2000, chiedendo:

a) che fosse revocata la pronuncia di rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione, dovendo questa essere qualificata come mera eccezione, assorbita dalla declaratoria di improponibilità della domanda attorea, e comunque per intervenuto assorbimento nell’improponibilità della domanda principale, quand’anche essa fosse stata considerata quale domanda riconvenzionale, attesa la sua formulazione condizionata;

b) e, in subordine, che fosse dichiarata l’usucapione della zona di terreno al confine con la proprietà (OMISSIS).

Con comparsa di costituzione depositata il 3 novembre 2005, (OMISSIS) Giovanna e (OMISSIS) Maria, quali eredi di (OMISSIS) Mario, chiedevano il rigetto dell’appello principale e spiegavano appello incidentale avverso la sentenza definitiva n. 5925/2004, insistendo nell’accoglimento della domanda di regolamento di confini secondo le risultanze della disposta consulenza tecnica d’ufficio.

In corso di causa decedeva (OMISSIS) Maria e il processo era proseguito dalla sola (OMISSIS) Giovanna, in qualità di erede anche della (OMISSIS).

5.- All’esito della riunione dei due giudizi d’appello intrapresi, sul gravame interposto dall’Arcidiocesi di Napoli avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 9443/2003 del 12 settembre 2003 – che aveva dichiarato estinto il giudizio possessorio – nonché avverso la sentenza parziale n. 6668/2000 del 12 maggio 2000 – nella parte in cui aveva rigettato la domanda riconvenzionale di usucapione -, la Corte d’appello di Napoli, con la sentenza parziale n. 1654/2014 di cui in epigrafe, in riforma della sentenza impugnata n. 9443/2003, accoglieva l’appello e, per l’effetto, condannava (OMISSIS) Giovanna a manutenere l’Arcidiocesi nel possesso del muro e del fondo oggetto di causa, mediante la ricostruzione di detto muro.

Per converso, respingeva l’appello proposto dall’Arcidiocesi avverso la sentenza parziale n. 6668/2000, confermando il rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava:

a) che il ricorso in riassunzione del giudizio dichiarato interrotto era stato tempestivamente depositato, sicché i vizi della notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza non avrebbero potuto implicare l’estinzione del giudizio, ma avrebbero potuto dar luogo ad un mero ordine di rinnovazione;

b) che, essendo stata l’estinzione pronunciata con sentenza, dopo che la causa era stata assunta in decisione, ai sensi dell’art. 307, ultimo comma, c.p.c. – e non già con sentenza all’esito del reclamo avverso ordinanza dichiarativa dell’estinzione, ai sensi dell’art. 308, secondo comma, c.p.c. -, in conseguenza della sua riforma, non avrebbe potuto essere disposta la rimessione del giudizio al giudice di prime cure, stante la natura eccezionale e tassativa della previsione di cui all’art. 354, secondo comma, c.p.c. sulla rimessione;

c) che l’istanza dell’appellante di rimessione della causa al primo giudice palesava l’interesse ad ottenere una declaratoria di merito sulla domanda possessoria originariamente proposta;

d) che la domanda possessoria doveva essere qualificata come azione di manutenzione nel possesso avverso una molestia di diritto perpetrata da (OMISSIS) Mario, sia sul muro sia sul fondo, poiché l’Arcidiocesi non aveva dedotto che, in conseguenza dell’abbattimento del muro, il (OMISSIS) si fosse impossessato del terreno;

e) che, qualificata in questi termini, la domanda era comunque ammissibile, costituendo la turbativa un minus rispetto allo spoglio;

f) che, dalle informazioni e dalle testimonianze raccolte, era emerso che la porzione di fondo adiacente al muro abbattuto era coltivata per conto dell’Arcidiocesi e che il muro era stato costruito negli anni 1984/1985 dalla stessa Arcidiocesi per impedire l’accesso di estranei;

g) che la costruzione del muro era stata concordata con il (OMISSIS);

h) che, quand’anche vi fosse stato il compossesso del muro, comunque la tutela possessoria poteva essere accordata contro il compossessore;

i) che, in ordine all’impugnazione proposta contro la declaratoria di rigetto dell’usucapione, l’Arcidiocesi aveva proposto un’espressa domanda riconvenzionale, avente ad oggetto l’accertamento dell’acquisto della proprietà a titolo originario sulla porzione di fondo posta a ridosso del muro, nient’affatto subordinata alla procedibilità dell’avversa domanda di regolamento di confini;

I) che, quanto all’appello incidentale interposto da (OMISSIS) Giovanna avverso la sentenza n. 5925/2004, nella parte in cui aveva dichiarato improponibile la domanda di regolamento di confini anche relativamente alla zona di terreno non interessata dalla ricostruzione del muro, era necessario chiedere al consulente d’ufficio ulteriori indagini tecniche, sicché doveva essere disposta la separazione del giudizio relativo all’appello avverso la citata sentenza n. 5925/2004, con differimento della regolazione delle spese alla pronuncia definitiva.

Avverso detta pronuncia faceva riserva di ricorso in cassazione (OMISSIS) Giovanna.

6.- Espletate le disposte indagini peritali integrative, sul gravame incidentale interposto da (OMISSIS) Giovanna avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 5925/2004 del 21 aprile 2004 – che aveva dichiarato l’improponibilità della domanda di regolamento di confini anche relativamente alla zona di terreno non interessata dalla ricostruzione del muro -, la Corte d’appello di Napoli, con la sentenza definitiva n. 4874/2017 di cui in epigrafe, in riforma della sentenza impugnata, accoglieva l’appello e, per l’effetto, accertava il confine sulla base dell’atto di permuta per notar (OMISSIS) del 15 giugno 1916, nei termini indicati dal consulente tecnico d’ufficio nella sua seconda perizia e materializzati in loco tramite apposizione di picchetti in ferro o lignei, con la sommità colorata in rosso, condannando (OMISSIS) Giovanna al rilascio delle porzioni di terreno occupate per effetto dell’errata delimitazione della linea di confine tra i fondi.

La motivazione dell’adottata pronuncia della Corte territoriale esponeva:

a) che era inammissibile ogni prospettazione della domanda in termini diversi dalla proposta azione di regolamento di confini e, in particolare, era tardiva l’introduzione, con la comparsa conclusionale della (OMISSIS), della pretesa rivendicazione delle porzioni immobiliari poste al confine tra i fondi e della connessa esigenza di osservare il regime probatorio prescritto per tale nuova azione;

b) che, all’esito del gravame interposto dall’Arcidiocesi sulla sentenza parziale di rigetto dell’usucapione, rispetto alla quale era stata formulata riserva di appello, era stato integrato il presupposto della reciproca soccombenza, idoneo a giustificare l’impugnazione incidentale tardiva della (OMISSIS) sulla sentenza definitiva;

c) che la domanda proposta doveva essere qualificata come actio finium regundorum, poiché non erano stati messi in discussione ì rispettivi titoli di proprietà;

d) che, quanto ai titoli di provenienza delle rispettive proprietà, come risultava dalle risultanze peritali, a fronte di un fondo originariamente unico di proprietà di (OMISSIS) Raffaele e (OMISSIS) Maria Grazia, (OMISSIS) Mario aveva acquisito il titolo dominicale sui terreni all’esito dei seguenti passaggi:

con atto del 1928 (OMISSIS) Domenico acquistava da (OMISSIS) Raffaele, a (OMISSIS) Domenico succedevano mortis causa nel 1947 (OMISSIS) Sofia, Elena, Giulia e Aurora, quindi con decreto di aggiudicazione del 1958 (OMISSIS) Mario diveniva aggiudicatario definitivo dalle esecutate (OMISSIS) Sofia, Elena, Giulia e Aurora; mentre i passaggi di proprietà che si erano succeduti, sino all’acquisto in favore dell’Arcidiocesi di Napoli, erano i seguenti: con atto del 1913 l’impresa (OMISSIS)-(OMISSIS) acquistava da (OMISSIS) Raffaele e (OMISSIS) Maria Grazia, con atto del 1927 (OMISSIS) Paolina acquistava dalla società in liquidazione (OMISSIS)-(OMISSIS), con ulteriore atto del 1928 (OMISSIS) Paolina acquistava altra parte di terreno da (OMISSIS) Raffaele, con aggiudicazione d’asta del 1935 i beni di (OMISSIS) Paolina passavano a (OMISSIS) Alfredo, con atto del 1952 (OMISSIS) Gaetano acquistava da (OMISSIS) Alfredo, quindi (OMISSIS) Gaetano lasciava con testamento i beni alla Diocesi Cittadella apostolica di (OMISSIS);

e) che, con atto di permuta del 1916, non trascritto e non denunciato presso il catasto terreni, prodotto dall’Arcidiocesi in corso di causa, vi era stato un reciproco trasferimento della proprietà di terreni fra l’impresa (OMISSIS)-(OMISSIS) e i coniugi (OMISSIS)-(OMISSIS), con espressa indicazione della linea di confine, secondo l’allegata rappresentazione grafica, e con impegno a fissarla sui luoghi mediante appositi segni lapidei;

f) che tale linea di confine era delimitata anche sulla cartografia catastale dell’epoca;

g) che le parti avevano acquistato i rispettivi fondi sulla base della precedente individuazione catastale, tanto per la parte grafica che descrittiva, che si era ripetuta in tutti i progressivi passaggi di proprietà, senza tenere conto delle risultanze della permuta;

h) che la (OMISSIS) obiettava che la permuta del 1916 era inutilizzabile, poiché era stata dimostrata la consistenza della sua proprietà attraverso atti successivi alla permuta, a partire dai quali era ampiamente decorso il termine utile perché potesse configurarsi l’acquisto a titolo originario;

i) che tale ultima obiezione non poteva avere seguito, in quanto l’allegazione della successione degli atti nel ventennio era comunque insufficiente a dimostrare la proprietà, in assenza della prova della maturata usucapione;

l) che il relativo onere probatorio si sarebbe attenuato solo ove fosse risultata comprovata, o non specificamente contestata, l’originaria appartenenza del bene rivendicato ad un unico comune dante causa;

m) che, benché nei successivi passaggi di proprietà non si fosse tenuto conto della permuta, per cui si erano perfezionati parziali acquisti a non domino, la linea di confine tra i fondi doveva essere comunque determinata riconoscendo le sole proprietà acquistate dalle parti nei confronti degli effettivi proprietari, ossia per un verso tenendo conto della permuta del 15 giugno 1916 e per altro verso escludendo la rilevanza degli acquisti a non domino;

n) che, infatti, nel regolamento di confini tra lotti separati di un fondo originariamente unico la fonte di valutazione primaria era rappresentata dall’esame dei titoli e dei frazionamenti ad essi allegati;

o) che nessuna rilevanza avrebbe avuto la mancata trascrizione della permuta, posto che, nell’ipotesi di conflitto fra acquisto a domino e acquisto a non domino del medesimo bene, non avrebbe avuto valenza dirimente la pubblicità legale, intesa a risolvere il solo conflitto tra più acquirenti dallo stesso dante causa;

p) che tale conclusione non sarebbe mutata allorché nella serie di acquisti si fosse innestata l’aggiudicazione a definizione di una procedura di esecuzione forzata, integrando anch’essa un acquisto a titolo derivativo;

q) che l’attuale rappresentazione grafica risultava profondamente diversa da quella vigente alla data della permuta, avendo ciascun fondo subito profonde modificazioni a causa dei frazionamenti delle diverse particelle;

r) che anche il segmento su cui era stato eretto il muro abbattuto non seguiva la linea di confine individuata dall’atto di permuta;

s) che il confine secondo la permuta era stato raffigurato nell’allegato alla consulenza tecnica d’ufficio con una linea di colore rosso che univa più punti;

t) che la (OMISSIS) doveva essere condannata al rilascio delle porzioni di terreno occupate per effetto dell’errata delimitazione del confine tra i fondi, quale statuizione logicamente connessa all’accoglimento dell’azione di regolamento di confini.

7.- Avverso entrambe le sentenze d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, (OMISSIS) Giovanna.

L’intimata Arcidiocesi di Napoli ha resistito con controricorso.

8.- Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- In via pregiudiziale, la controricorrente ha sollevato eccezione di inammissibilità del ricorso in cassazione avverso la sentenza parziale n. 1654/2014, depositata il 10 aprile 2014, per asserita tardività dell’impugnazione, trattandosi – a suo dire – di sentenza definitiva cui non sarebbe applicabile il dettato dell’art. 361 c.p.c.

1.1.- L’eccezione pregiudiziale è priva di pregio.

A fronte della riunione degli appelli proposti contro le decisioni conclusive dei due autonomi giudizi di primo grado, vertenti tra le stesse parti – uno avente ad oggetto un’azione possessoria e l’altro avente ad oggetto un’azione petitoria di regolamento di confini -, il Giudice del gravame ha dapprima definito l’impugnazione contro la decisione possessoria, confermando, altresì, il rigetto della domanda di usucapione, e ha poi disposto la prosecuzione del giudizio quanto all’azione petitoria di regolamento di confini, decisa con successiva sentenza definitiva.

All’esito dell’emissione della prima sentenza, l’odierna ricorrente ha tempestivamente avanzato riserva di ricorso differito in cassazione.

Ora, siffatta pronuncia n. 1654/2014, per un verso, nella parte motiva, ha disposto la separazione del gravame, dopo aver deciso la causa possessoria e la congiunta impugnazione sul rigetto della pretesa di acquisto della proprietà per usucapione, allo scopo di consentire l’ulteriore istruttoria della causa petitoria di delimitazione della linea di confine – il che sembrerebbe far propendere per la definitività della pronuncia conclusiva del processo possessorio separato dal processo petitorio – e, per altro verso, ha rinviato per le spese al definitivo – argomento, questo, che invece parrebbe privilegiare la natura parziale della pronuncia -.

Ne discende che, in ragione del dubbio ingenerato da siffatti riferimenti contrapposti ai requisiti propri della pronuncia definitiva e ai requisiti propri della pronuncia parziale – dubbio che non può essere altrimenti sciolto avendo riguardo ad ulteriori elementi dirimenti -, è ammissibile il ricorso in cassazione in concreto proposto mediante riserva, ai sensi dell’art. 361 c.p.c.

E ciò in adesione all’insegnamento in forza del quale, ai fini dell’individuazione della natura definitiva o non definitiva di una sentenza che abbia deciso su una delle domande cumulativamente proposte dalle parti stesse, deve aversi riguardo agli indici di carattere formale desumibili dal contenuto intrinseco della stessa sentenza, quali la separazione della causa e la liquidazione delle spese di lite in relazione alla causa decisa.

E qualora il giudice, con la pronuncia intervenuta su una delle domande cumulativamente proposte, abbia liquidato le spese e disposto per il prosieguo del giudizio in relazione alle altre domande, al contempo qualificando come non definitiva la sentenza emessa, ovvero – come nel caso di specie – abbia disposto la separazione delle cause e, al contempo, abbia rinviato per la regolamentazione delle spese di lite alla pronuncia della sentenza definitiva -, in ragione dell’ambiguità derivante dall’irriducibile contrasto tra indici di carattere formale che siffatta qualificazione determina e al fine di non comprimere il pieno esercizio del diritto di impugnazione, deve ritenersi ammissibile l’impugnazione (appello o ricorso in cassazione) in concreto proposta mediante riserva (Cass. Sez. U, Sentenza n. 10242 del 19/04/2021; Sez. U, Sentenza n. 9441 del 28/04/2011; Sez. U, Sentenza n. 390 del 11/01/2011; Sez. U, Sentenze nn. 711 e 712 del 08/10/1999; Sez. U, Sentenza n. 1577 del 01/03/1990).

Tanto premesso, devono essere analizzate le singole censure proposte, precisando, sin da ora, che la prima critica investe la sentenza parziale n. 1654/2014, depositata il 10 aprile 2014, mentre le quattro ulteriori doglianze sono indirizzate verso la sentenza definitiva n. 4874/2017, depositata il 27 novembre 2017.

2.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 273, 274 c.p.c. nonché degli artt. 112, 113, 115, 116, 703 e 705 c.p.c. e dell’art. 1170 c.c., per contraddittorietà della motivazione della sentenza n. 1654/2014 in ordine alla proposta azione possessoria.

Sul punto, si evidenzia che, ove si sia trattato di sentenza definitiva, il dedotto possesso sarebbe stato inequivocabilmente contrastato dagli accertamenti esperiti, così da non essere tutelabile e da imporre il rigetto della domanda.

Nell’ipotesi in cui si sia trattato di sentenza parziale, la ricorrente espone che sarebbe censurabile sia la disposizione della separazione dei due giudizi sia l’ordine di ripristino del muro all’esito della qualificazione della domanda possessoria come azione di manutenzione, peraltro con la contestuale condanna a manutenere l’Arcidiocesi del “fondo oggetto di causa”, non meglio identificato.

Ancora, su tale aspetto si osserva che la disposta separazione della causa petitoria dalla causa possessoria sarebbe avvenuta pur non operando il divieto di intraprendere la causa petitoria nel corso della causa possessoria, all’esito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 705, primo comma, c.p.c., poiché vi sarebbe stata tra í due procedimenti un’ipotesi di inscindibilità sostanziale, derivante dal fatto che, a fronte di una lunghezza di poco più di ml. 10 del muro oggetto dell’azione possessoria, il confine tra i due predi avrebbe avuto una lunghezza di circa ml. 500.

Né vi sarebbe stato un possesso tutelabile, in difetto di alcuna funzione di delimitazione del confine assunta dal muro.

Si obietta, in ultimo, che indebitamente la domanda possessoria sarebbe stata qualificata come azione di manutenzione, a fronte della proposta domanda di reintegrazione nel possesso, senza peraltro che dalle risultanze istruttorie – e in specie dall’espletata consulenza tecnica d’ufficio – emergesse che tale muro assolveva alla funzione di separazione dei fondi e di protezione dall’invasione di terzi.

2.1.- Il motivo si articola in plurime censure, che devono essere esaminate disgiuntamente.

2.1.1.- La critica è inammissibile nella parte in cui si chiede la rivalutazione dei mezzi di prova che hanno indotto il Giudice ad accogliere la domanda possessoria. Indipendentemente dalla qualificazione della sentenza come pronuncia parziale ovvero definitiva, attesa l’ambiguità delle espressioni in proposito adoperate, l’apprezzamento delle risultanze probatorie acquisite, e in particolare delle assunte deposizioni testimoniali, non può essere sindacato in sede di legittimità, non integrando un vizio di violazione di legge, né sostanziale, né processuale.

2.1.2.- Altrettanto inammissibile è l’impugnazione avverso la statuizione del Giudice d’appello che ha disposto la separazione della causa possessoria dalla causa petitoria.

Infatti, il provvedimento di separazione delle cause riunite ha carattere meramente ordinatorio ed è privo di qualsiasi rilevanza ai fini della decisione dell’una o dell’altra causa.

Pertanto, il potere discrezionale di cui tale provvedimento costituisce espressione, sia che la separazione venga negata, sia che la separazione venga disposta, non è suscettibile di impugnazione davanti al giudice superiore, il quale, anche se riformi la sentenza emessa in una delle cause, non può mai revocarlo (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 4890 del 23/02/2021; Sez. 1, Sentenza n. 29772 del 29/12/2020; Sez. 3, Ordinanza n. 8446 del 27/03/2019; Sez. L, Sentenza n. 11831 del 05/08/2003; Sez. 3, Sentenza n. 6363 del 28/11/1981; Sez. 3, Sentenza n. 3197 del 26/11/1973).

2.1.3.- È invece infondato il motivo con cui si lamenta che l’accoglimento dell’azione possessoria non avrebbe tenuto conto delle ragioni petitorie dedotte.

In primis si evidenzia che, ove ne ricorrano le condizioni, le ragioni petitorie fatte valere dal convenuto possono avere una portata meramente inibitoria della tutela possessoria invocata dall’attore, e non già giustificare la prevalenza funzionale e sincronica, sulle lamentate lesioni della signoria di fatto sulla res, dell’autonoma difesa petitoria articolata in un separato giudizio, con la conseguente denegata, potenziale idoneità della decisione petitoria ad assumere efficacia di giudicato in pendenza del giudizio possessorio.

Ad avviso della giurisprudenza di legittimità più recente, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 25 del 3 febbraio 1992 – che ha dichiarato l’illegittimità, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 705 c.p.c., nella parte in cui subordina la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria e alla esecuzione della relativa decisione anche quando da tale esecuzione possa derivare al convenuto pregiudizio irreparabile -, il convenuto in giudizio possessorio può opporre le sue ragioni petitorie quando dalla esecuzione della decisione sulla domanda possessoria potrebbe derivargli un danno irreparabile, purché l’eccezione sia finalizzata solo al rigetto della domanda possessoria (e non anche ad una pronuncia sul diritto con efficacia di giudicato) e non implichi, quindi, una deroga delle ordinarie regole sulla competenza (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16000 del 18/06/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 6236 del 14/03/2018; Sez. 2, Sentenza n. 10862 del 30/10/1998; Sez. 2, Sentenza n. 12579 del 06/12/1995; Sez. 2, Sentenza n. 3825 del 22/04/1994).

Se così non fosse, sarebbe irrimediabilmente sovvertita la ratio della regola prevista dall’art. 705, primo comma, c.p.c., riassunta nel brocardo latino spoliatus ante omnia restituendus, di cui – invece – si può determinare una ben più circoscritta deroga o attenuazione allorché ricorra un pregiudizio irreparabile al titolo dominicale vantato dallo spoliante: un conto è, infatti, perseguire il solo scopo di paralizzare, in via di eccezione, l’azione spiegata a salvaguardia del potere di fatto, in presenza delle menzionate emergenze; altro conto è prospettare, con valenza surrogatoria, la preminenza del diritto dominicale sulla cosa, attraverso la proposizione di un’autonoma domanda, anche in via riconvenzionale, in spregio alle ragioni di ordine pubblico e di garanzia della pace sociale sottese alla tutela, in via di principio temporalmente prioritaria, della situazione del soggetto che abbia la disponibilità della cosa.

Riconoscere, in presenza di un pregiudizio irreparabile, la separata tutelabilità delle pretese petitorie ha, infatti, conseguenze ben più invasive del mero riconoscimento della facoltà di far valere tale pregiudizio esclusivamente in chiave inibitoria all’interno del giudizio sul possesso.

Senonché l’odierno ricorrente ha fatto valere le proprie ragioni petitorie non già nel giudizio possessorio, ma intraprendendo un’autonoma azione di regolamento di confini a giudizio possessorio in corso.

In secondo luogo – e ciò varrebbe quand’anche si aderisse all’orientamento minoritario e più risalente secondo cui il danno irreparabile al diritto dominicale del preteso spoliante infrange “soltanto” il divieto, per il convenuto in possessorio, di agire separatamente in petitorio finché il primo giudizio non sia finito o la decisione non sia stata eseguita (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1795 del 29/01/2007; Sez. 2, Sentenza n. 9285 del 20/04/2006; Sez. 2, Sentenza n. 15753 del 13/08/2004) -, non risulta affatto che in entrambi i giudizi di merito la (OMISSIS) abbia prospettato che dall’attuazione della tutela possessoria sarebbe derivato un pregiudizio irreparabile alle sue ragioni petitorie, proprio alla stregua dell’esposta, limitata lunghezza del muro, a fronte della più ampia estensione del confine.

E segnatamente non è per nulla dedotto che l’invocato ripristino del muro abbattuto, per una lunghezza di ml. 10, avrebbe leso in modo irreparabile il diritto di proprietà vantato dalla (OMISSIS) sul suo fondo.

Né a tale nocumento insanabile è equiparabile l’asserita inscindibilità tra l’oggetto della domanda possessoria e l’oggetto della domanda petitoria, stante che il presupposto della deroga, nei ristretti termini anzidetti, al principio della priorità della tutela del possesso sulla tutela della proprietà attiene ad un requisito di natura sostanziale e non ad una condizione processuale di correlazione tra i beni della vita sottesi alle due azioni intraprese.

2.1.4.- Anche la doglianza con cui si deduce l’integrazione di un vizio di ultrapetizione è priva di fondamento.

Detto vizio non ricorre laddove la più ampia domanda di spoglio spiegata sia qualificata quale domanda di manutenzione nel possesso, basata sugli stessi fatti. Nella fattispecie, a fronte del contestato abbattimento del muro, la Corte di merito si è limitata a osservare che lo stesso fatto allegato importa una molestia “di diritto” e non uno spoglio, appunto perché (OMISSIS) Mario, nel realizzare tale intervento, non ha inteso appropriarsi del possesso di una porzione di fondo su cui aveva la signoria di fatto l’Arcidiocesi.

E ciò anche nel caso in cui si ipotizzi un compossesso di detto muro.

In conseguenza, non viola il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice che, nell’esercizio del potere di interpretazione della domanda, senza mutare gli elementi obiettivi fissati dall’attore, dispone la cessazione della turbativa anziché la reintegrazione nel possesso, dato che la mera turbativa costituisce un minus rispetto allo spoglio e nella domanda di reintegrazione nel possesso è ricompresa o implicita quella di manutenzione dello stesso (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6246 del 04/03/2019; Sez. 2, Sentenza n. 20459 del 11/10/2016; Sez. 2, Sentenza n. 19586 del 30/09/2016; Sez. 2, Sentenza n. 10624 del 23/05/2016; Sez. 2, Sentenza n. 23718 del 11/11/2011).

Né il fatto che la Corte di merito non abbia specificamente identificato il fondo oggetto di manutenzione ha comportato l’indeterminatezza della statuizione contenuta nel provvedimento giudiziale adottato.

E ciò perché testualmente la Corte d’appello ha disposto la manutenzione nel possesso del muro e del fondo mediante la sola ricostruzione del primo.

Al contempo, l’estensione dell’ordine giudiziale di astensione dall’attuazione di turbative, oltre che alla ricostruzione del muro demolito, anche alla garanzia del pieno potere sull’annesso fondo, ai fini di non renderne disagevole o scomoda la disponibilità, non importa una petizione ultronea rispetto all’oggetto della pretesa, attenendo comunque la declaratoria adottata all’esigenza di non consentire aggravamenti futuri analoghi a quelli denunciati (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1800 del 16/03/1984; Sez. 2, Sentenza n. 3811 del 12/11/1975; Sez. 2, Sentenza n. 38 del 08/01/1969).

3.- Con il secondo motivo la ricorrente rileva, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 950 e 1159 c.c. nonché degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., quanto all’impugnata sentenza n. 4847/2017, per avere la Corte territoriale ritenuto che l’originaria domanda petitoria di regolamento di confini sia stata illegittimamente prospettata dalla (OMISSIS) in termini di rivendica.

In particolare, ad avviso della ricorrente, la ricostruzione del Giudice del gravame sarebbe erronea nella parte in cui non avrebbe tenuto conto del fatto che, per effetto della disposta utilizzazione della permuta non trascritta del 1916 per la determinazione del confine, in opposizione al titolo dominicale vantato dalla (OMISSIS), rappresentato dal decreto di aggiudicazione del 1958, la controversia avrebbe avuto ad oggetto non più un contrasto tra fondi ma tra titoli.

Sennonché, soggiunge l’istante, la Corte di merito avrebbe dovuto considerare ammissibile l’eccezione sollevata dalla (OMISSIS) – all’esito dell’incarico conferito al consulente tecnico d’ufficio di procedere alla demarcazione dei confini in base ai soli acquisti a domino, avuto riguardo alla permuta del 1916 -, con la quale si chiedeva che il confine fosse accertato in base ai titoli opponibili per effetto dell’applicazione della fattispecie acquisitiva dell’usucapione decennale di cui all’art. 1159 c.c., eccezione ribadita con la comparsa conclusionale, che non avrebbe costituito un ampliamento dell’originaria domanda avanzata di regolamento di confini, vertendosi in tema di diritti autodeterminati ed essendo tale prospettazione derivata dall’avversa prospettazione recepita nel giudizio d’appello con la citata ordinanza istruttoria.

3.1.- Sempre all’interno di tale motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 950 e 1159 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., per error in iudicando derivante dalla non corretta applicazione della norma regolatrice dell’azione di regolamento di confini, avente anche funzione ricognitiva, e per error in procedendo conseguente all’omessa valutazione delle prove, con riguardo agli elementi sussidiari.

Sostiene, al riguardo, che l’azione di regolamento di confini potrebbe assumere valenza ricognitiva allorché si contestino i titoli, e di fatto avrebbe assunto tale veste nel momento in cui la Corte di merito ha disposto che l’accertamento dei confini avvenisse lungo la linea del tracciato allegato all’atto di permuta del 1916, ignorando però i titoli opponibili in base ad una serie continua di trascrizioni.

Si aggiunge che, in base ai riferiti presupposti, nella determinazione del confine si sarebbe dovuto tenere conto, sia degli avvenuti acquisti a titolo originario, per effetto dell’esistenza di atti traslativi della proprietà astrattamente idonei, benché avvenuti a non domino, cui era seguita la disponibilità di fatto in buona fede per oltre un decennio, sia della mutata situazione dei luoghi da tempo risalente ai fini della demarcazione della separazione di fatto, sia dei frazionamenti, sia delle planimetrie catastali, sia della presenza di segni strutturali di un confine apparente osservato e accertato dalle parti, di cui aveva dato atto il consulente tecnico d’ufficio.

3.2.- Nell’ambito dello stesso secondo motivo la parte istante contesta l’error in iudicando conseguente alla negata declaratoria di accertamento della linea di confine anche sulla base del titolo originario, per avere la Corte territoriale dichiarato l’inammissibilità dell’eccezione di usucapione decennale, spiegata a seguito della nuova prospettazione avversa di contestazione dei titoli, ossia del deposito all’udienza del 5 febbraio 2003 dell’atto di permuta del 1916 ai fini dell’accertamento del confine, precisando che dall’inammissibilità di tale eccezione sarebbe discesa un’irrimediabile violazione del diritto di difesa.

3.3.- Ed ancora, sempre con riferimento a detto motivo, la ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello di Napoli abbia ritenuto carente la prova della continuità del possesso ai fini di applicare l’art. 1159 c.c. per error in procedendo compiuto in relazione all’eccepito titolo originario in base al quale accertare il confine, avendo negato l’integrazione dell’usucapione alla stregua del difetto di un possesso continuato ventennale.

In specie, obietta che, pur considerando la permuta del 1916, (OMISSIS) Mario sarebbe divenuto pieno proprietario in virtù di decreto di aggiudicazione del 14 ottobre 1958, proveniente a domino e dunque opponibile, per avere il suo dante causa (OMISSIS) Domenico acquistato con atto in parte a non domino del 3 ottobre 1928 da (OMISSIS) Raffaele ed avere maturato l’acquisto per usucapione decennale conseguente al possesso esercitato dal 1928 al 1938.

E, in subordine, quand’anche il decreto di aggiudicazione in favore di (OMISSIS) Mario fosse considerato atto di acquisto a non domino, lo stesso avrebbe comunque maturato l’acquisto a titolo originario per usucapione, per effetto del possesso decennale attuato ininterrottamente a decorrere dall’aggiudicazione medesima.

Rileva, poi, che la continuità del possesso ai fini dell’usucapione decennale sarebbe emersa in modo chiaro e incontestabile dagli atti di causa, e in specie dalle esperite consulenze tecniche d’ufficio, di cui vengono citati i più significativi passi, quali elementi oggettivi in tesi trascurati dalla sentenza impugnata.

4.- Attraverso la terza critica è enunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 950 c.c. e degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. sotto altro profilo rispetto a quello già dedotto.

In ordine a questo mezzo, si lamenta che la Corte territoriale avrebbe inteso disporre la materializzazione del confine in base alla permuta del 1916, senza che la relativa linea fosse segnata e delimitata dalla cartografia catastale dell’epoca, come sarebbe stato accertato dal consulente tecnico d’ufficio, secondo cui tutti i censimenti catastali, frazionamenti e trascrizioni avrebbero fatto riferimento all’atto precedente del 1913.

4.1.- In ogni caso, sempre nell’ambito di tale motivo, la ricorrente deduce che la materializzazione di un segno di separazione tra i due fondi sarebbe stata disposta senza tenere conto dell’effettiva situazione dei luoghi, dalla quale si sarebbe desunta l’esistenza di un confine apparente sempre osservato dalle parti quantomeno dal 1913 al 1991, confine sostanziato sia da elementi strutturali risalenti nel tempo, sia dalla situazione orografica tra i due fondi, come delineata dalla consulenza tecnica d’ufficio, il che avrebbe impedito la separazione strutturale secondo le indicazioni della sentenza impugnata.

Si afferma altresì che la mancata considerazione del confine apparente avrebbe violato il principio nomofilattico secondo cui, in presenza di segni risalenti nel tempo idonei a separare i fondi, incontestabilmente e oggettivamente adottati quale tracciato di demarcazione della linea di confine, la determinazione giudiziale avrebbe dovuto attenersi a tale situazione oggettiva, come richiesto dalla ricorrente.

5.- Il quarto motivo investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione dell’art. 950 c.c. sotto un ulteriore profilo nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 340, secondo comma, c.p.c., con conseguente travisamento, contraddittorietà e illegittimità della condanna restitutoria disposta.

Secondo la ricorrente, la Corte di merito avrebbe ritenuto ammissibile e fondata la domanda riconvenzionale di restituzione asseritamente contenuta nell’azione di regolamento di confini proposta dall’Arcidiocesi, benché la domanda di usucapione fosse stata rigettata, con sentenza parziale del Tribunale di Napoli n. 6668/2000, divenuta definitiva per difetto di tempestivo appello avverso la sentenza definitiva n. 5925/2004, con il conseguente giudicato sugli effetti restitutori.

E ciò a fronte della dichiarata inammissibilità dell’eccezione di usucapione decennale, sollevata dall’odierna ricorrente per la natura autodeterminata del diritto tutelato e per la reciprocità dell’onere probatorio nell’azione di regolamento di confini, sebbene – in base al rito applicabile ratione temporis – il termine entro cui sarebbe stato possibile proporre domande riconvenzionali non era prescritto a pena di decadenza.

Peraltro, precisa la ricorrente, gli effetti restitutori conseguenti alla determinazione della linea astratta di confine sarebbero reciproci ad entrambe le parti, senza che di ciò la sentenza impugnata abbia tenuto conto, essendo stata disposta la sola restituzione in favore dell’Arcidiocesi.

6.- Con il quinto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2643 e 2644 c.c., per non avere la Corte territoriale attribuito rilevanza dirimente alla trascrizione degli atti di acquisto della proprietà immobiliare, ai fini di stabilirne la priorità e quindi la validità.

Ad avviso della parte istante, la sentenza impugnata avrebbe impropriamente recepito le risultanze della permuta dell’anno 1916, non trascritta e non eseguita, senza considerare che le parti non avrebbero acquistato gli stessi diritti, bensì diritti di proprietà indicati con distinte particelle e frazionamenti.

Specifica, sul punto, che gli originari proprietari (OMISSIS)-(OMISSIS) e (OMISSIS), ciascuno per i propri diritti, avrebbero posto in essere le vendite che parallelamente si sono susseguite, rispettivamente in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS) e in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), con l’effetto che le parti in causa sarebbero state terzi rispetto alle suddette vendite, il che avrebbe presupposto la loro trascrizione ai fini di reputarle valide.

In questa prospettiva, l’atto di permuta del 1916, non trascritto e non eseguito, sarebbe stato inopponibile, oltre che inefficace e invalido, ai fini di stabilire un’azione ricognitiva in seno all’azione di regolamento di confini, dovendo invece farsi riferimento al titolo più risalente del 1913 oppure al titolo del 1928 per la (OMISSIS) e al titolo del 1952 per l’Arcidiocesi, entrambi trascritti e opponibili.

E ciò avuto riguardo alla continuità degli acquisti trascritti, che avrebbe potuto essere interrotta o dalla mancata trascrizione o dalla formazione di un titolo originario di acquisto ai sensi dell’art. 1159 c.c.

6.1.- L’esame di tale ultima doglianza è preliminare alle altre censure.

6.2.- La critica è fondata.

6.3.- Conviene anzitutto riprendere i punti più significativi della motivazione della sentenza impugnata, che ha considerato dirimente, nella ricostruzione dei titoli rilevanti per la determinazione dei confini, la permuta del 1916, non trascritta e non eseguita.

Al riguardo, la Corte di merito ha sostenuto che le parti in causa hanno acquistato i rispettivi fondi sulla base dell’individuazione catastale precedente a tale atto di permuta, tanto per la parte grafica che descrittiva, che si era ripetuta in tutti i progressivi passaggi di proprietà, senza tenere conto delle risultanze della permuta.

Ha, inoltre, evidenziato che il relativo onere probatorio si sarebbe attenuato solo ove fosse risultata comprovata, o non specificamente contestata, l’originaria appartenenza del bene rivendicato ad un unico comune dante causa.

Quindi, ha ritenuto che, benché nei successivi passaggi di proprietà non si fosse tenuto conto della permuta, per cui si erano perfezionati parziali acquisti a non domino, la linea di confine tra i fondi doveva essere comunque determinata riconoscendo le sole proprietà acquistate dalle parti nei confronti degli effettivi proprietari, ossia, per un verso, tenendo conto della permuta del 15 giugno 1916 e, per altro verso, escludendo la rilevanza degli acquisti a non domino.

Ha altresì precisato che nessuna rilevanza avrebbe avuto la mancata trascrizione della permuta, posto che, nell’ipotesi di conflitto fra acquisto a domino e acquisto a non domino del medesimo bene, non avrebbe avuto valenza dirimente la pubblicità legale, intesa a risolvere il solo conflitto tra più acquirenti dallo stesso dante causa.

Ha, in ultimo, affermato che l’attuale rappresentazione grafica risultava profondamente diversa da quella vigente alla data della permuta, avendo ciascun fondo subito profonde modificazioni a causa dei frazionamenti delle diverse particelle, e ciò anche con riferimento al segmento su cui era stato eretto il muro abbattuto, che non seguiva la linea di confine individuata dall’atto di permuta.

6.4.- Senonché, sul piano fattuale, dalla descrizione resa dalla sentenza n. 4874/2017 della Corte d’appello di Napoli emerge che, all’origine, il fondo da cui sono derivate le proprietà delle parti in causa era un unico appezzamento di più ampie dimensioni, di proprietà di (OMISSIS) Raffaele e (OMISSIS) Maria Grazia.

Risulta ancora che la successione degli acquisti sino a (OMISSIS) Mario è avvenuta secondo la seguente progressione:

con atto del 1928 (OMISSIS) Domenico acquistava da (OMISSIS) Raffaele, a (OMISSIS) Domenico succedevano nel 1947 (OMISSIS) Sofia, Elena, Giulia e Aurora, con decreto di aggiudicazione del 1958 (OMISSIS) Mario diveniva aggiudicatario definitivo dalle esecutate (OMISSIS) Sofia, Elena, Giulia e Aurora.

Per converso, la successione degli acquisti sino all’Arcidiocesi di Napoli ha seguito il seguente percorso:

con atto del 1913 l’impresa (OMISSIS)-(OMISSIS) acquistava da (OMISSIS) Raffaele e (OMISSIS) Maria Grazia, con atto del 1927 (OMISSIS) Paolina acquistava dalla società in liquidazione (OMISSIS)-(OMISSIS), con ulteriore atto del 1928 (OMISSIS) Paolina acquistava altra parte di terreno di (OMISSIS) Raffaele, con aggiudicazione d’asta del 1935 i beni di (OMISSIS) Paolina passavano a (OMISSIS) Alfredo, con atto del 1952 (OMISSIS) Gaetano acquistava da (OMISSIS) Alfredo, infine (OMISSIS) Gaetano lasciava con testamento i beni alla Diocesi Cittadella apostolica di (OMISSIS).

Tale doppia serie di acquisti derivativi di terreni limitrofi, originariamente appartenenti ad un comune dante causa, ha trascurato le risultanze dell’atto intermedio di permuta del 1916, non trascritto, attraverso cui avveniva uno scambio delle proprietà di terreni tra l’impresa (OMISSIS)-(OMISSIS) e i coniugi (OMISSIS)-(OMISSIS).

6.5.- Pertanto, muovendo dai passaggi di proprietà relativi ai titoli primari delle due sequenze o catene di atti derivativi, si ricava che tutti gli acquisti hanno avuto inizio dal medesimo autore (OMISSIS)-(OMISSIS).

Tanto legittima l’operatività del principio di priorità della trascrizione ex art. 2644 c.c., unitamente al principio di continuità delle trascrizioni ex art. 2650 c.c.

Segnatamente, nel conflitto tra gli atti traslativi della proprietà dei medesimi cespiti ha prevalso l’atto trascritto per primo: cosicché nel conflitto tra l’atto di permuta del 1916, intervenuto tra l’impresa Pantaleo- Gritti e i coniugi Fiorentino-Morgante, non trascritto, e l’atto di vendita del 1928, da Fiorentino Raffaele a Giustino Domenico, debitamente trascritto, ha prevalso, ai sensi dell’art. 2644, secondo comma, c.c., il secondo atto, con l’effetto che tutti gli atti successivi della serie, debitamente trascritti, sino all’ultimo acquisto in favore di (OMISSIS) Mario, cui è succeduta (OMISSIS) Giovanna, sono atti a domino opponibili ai terzi; allo stesso modo, gli atti traslativi in favore di Bonito Paolina – rispettivamente l’atto del 1927, con cui questa acquistava dalla società in liquidazione (OMISSIS) – (OMISSIS), e l’atto del 1928, con cui la stessa acquistava altra parte di terreno di (OMISSIS) Raffaele – hanno prevalso sulla permuta non trascritta del 1916, con la conseguenza che tutti gli atti derivativi successivi della serie, debitamente trascritti, sino all’ultimo acquisto in favore dell’Arcidiocesi, sono atti a domino e opponibili ai terzi.

Per contro, la prevalenza, nel conflitto tra acquisti a domino e acquisti a non domino, degli acquirenti che abbiano acquistato a domino anche se non abbiano trascritto, rispetto agli acquirenti che abbiano acquistato a non domino, anche se abbiano trascritto, vale solo in ordine agli acquisti degli stessi beni che non siano risalenti ad un comune dante causa (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18193 del 02/09/2020; Sez. 2, Sentenza n. 23127 del 14/11/2016; Sez. 2, Sentenza n. 2162 del 03/02/2005; Sez. 2, Sentenza n. 955 del 10/05/1967).

E ciò perché la mancata trascrizione dell’atto di acquisto di diritti – dominicali non impedisce che tali diritti possano essere incondizionatamente azionati nei confronti di chiunque li contesti solo allorché non ricorra un’ipotesi di conflitto fra acquirenti dello stesso diritto dal medesimo autore, ipotesi, questa, in cui prevale la concorrenza degli atti trascritti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10811 del 26/05/2015; Sez. 3, Sentenza n. 19058 del 12/12/2003; Sez. 2, Sentenza n. 6152 del 05/07/1996; Sez. 2, Sentenza n. 6159 del 02/06/1993).

Pertanto, nell’ipotesi in cui, a fronte di un primo acquisto non trascritto (o trascritto tardivamente), segua l’acquisto del medesimo bene da parte di un terzo dallo stesso autore, con tempestiva trascrizione del suo titolo di acquisto, i successivi trasferimenti del bene derivati dall’acquisto trascritto anteriormente, a loro volta debitamente trascritti, prevalgono sull’acquisto non trascritto (o trascritto posteriormente) e sugli ulteriori acquisti degli eventuali aventi causa di tale ultimo acquirente, in base ai principi di risoluzione dei conflitti degli acquisti immobiliari tra più aventi causa dallo stesso dante causa e di continuità delle trascrizioni (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2516 del 10/08/1962).

Ne consegue che l’atto di permuta non trascritto e non eseguito è inopponibile alle parti e non è utilizzabile ai fini della regolamentazione dei confini, dovendo, invece, attribuirsi rilevanza, nell’accertamento del confine tra due fondi limitrofi costituenti lotti separati di un appezzamento originariamente unico, ai tipi di frazionamento allegati ai singoli atti di acquisto – ovvero, nel caso di specie, al decreto di aggiudicazione del 14 ottobre 1958 e all’atto di compravendita del 22 marzo 1952 – e, nel caso in cui i dati sul confine siano discordanti e gli acquisti siano stati effettuati in tempi diversi, al confine indicato nel tipo di frazionamento allegato al titolo di acquisto formatosi e trascritto in epoca più risalente – ossia all’atto di compravendita del 3 ottobre 1928 e agli atti di compravendita del 22 luglio 1913 e del 12 giugno 1928 – (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 12322 del 23/06/2020; Sez. 2, Sentenza n. 17756 del 08/09/2015; Sez. 2, Sentenza n. 512 del 13/01/2006).

7.- L’accoglimento del quinto motivo implica l’assorbimento del secondo e del terzo motivo.

Infatti, i profili attinenti:

a) alla maturazione della fattispecie complessa di acquisto della proprietà per effetto del perfezionamento di atti traslativi astrattamente idonei e del possesso in buona fede di durata ultra-decennale;

b) alla prevalenza del confine di fatto consolidatosi nel tempo, sulla scorta degli atti traslativi succedutisi, sono travolti dal rilievo dell’inopponibilità della permuta non trascritta e non eseguita.

8.- Resta da esaminare il quarto motivo, che va disatteso.

In proposito, la ricorrente (OMISSIS) Giovanna contesta la statuizione della sentenza impugnata, secondo cui, all’esito della determinazione del confine, deve essere disposta la condanna al rilascio delle porzioni di terreno occupate per effetto dell’errata delimitazione del confine tra i fondi, quale statuizione logicamente connessa all’accoglimento dell’azione di regolamento di confini.

Senonché non si tratta di domanda di usucapione che viola il giudicato, ma di effetto recuperatorio delle porzioni di terreno conseguente all’accertamento del confine. Nell’azione di regolamento di confini, compatibile con quella di rivendica, tanto da essere configurata come una vindicatio incertae partis, l’attore è dispensato dall’avanzare un’espressa domanda di rilascio della porzione di terreno indebitamente occupata dalla controparte, giacché implicita nella proposizione di detta azione, rappresentando un corollario del relativo accertamento (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24830 del 06/11/2020; Sez. 6-2, Ordinanza n. 31377 del 05/12/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 25753 del 15/10/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 22645 del 25/09/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 19234 del 17/07/2019; Sez. 2, Sentenza n. 6148 del 30/03/2016; Sez. 2, Sentenza n. 4288 del 22/02/2011; Sez. 2, Sentenza n. 12573 del 22/09/2000).

Per contro, un identico effetto recuperatorio non può essere disposto d’ufficio verso il convenuto.

E ciò perché nell’azione di regolamento di confini, mentre l’attore è dispensato dall’avanzare un’espressa domanda di rilascio della porzione di terreno indebitamente occupata dalla controparte, giacché implicita nella proposizione dell’azione, il convenuto che, oltre a resistere alla domanda altrui, intenda anche ottenere la restituzione del terreno ingiustificatamente occupato in eccedenza, ha l’onere di formulare tempestivamente apposita domanda riconvenzionale che, anche sotto il profilo probatorio, ha contenuto analogo e reciproco a quella proposta dall’attore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 852 del 19/01/2016; Sez. 2, Sentenza n. 8178 del 23/05/2012; Sez. 2, Sentenza n. 17131 del 09/08/2011; Sez. 2, Sentenza n. 858 del 16/01/2007).

9.- Alle considerazioni innanzi espresse consegue il rigetto del primo e del quarto motivo, l’accoglimento, nei sensi di cui motivazione, del quinto motivo del ricorso nonché l’assorbimento dei rimanenti motivi.

La sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai principi di diritto enunciati e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronunzia sulle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione

rigetta il primo e quarto motivo, accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il quinto motivo, dichiara assorbiti i rimanenti motivi, cassa in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, in data 8 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria, Roma 20 maggio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.