LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
composta dai signori magistrati:
dott. Giacomo TRAVAGLINO – Presidente –
dott. Chiara GRAZIOSI – Consigliere –
dott. Enzo VINCENTI – Consigliere –
dott. Augusto TATANGELO – Consigliere Relatore –
dott. Marilena GORGONI – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 16847 del ruolo generale dell’anno 2022, proposto da
(OMISSIS) (OMISSIS); (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) rappresentatie difesi dagli avvocati (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS);
-ricorrenti-
nei confronti di
(OMISSIS) (OMISSIS) rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 202/2022, pubblicatain data 20 gennaio 2022;
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 27 gennaio 2025 dal consigliere dott. Augusto Tatangelo.
Fatti di causa
L’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) si è costituita parte civile nel processo penale svolto nei confronti (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) per il reato di falso giuramento, commesso da questi ultimi nell’ambito di un giudizio civile promosso dalla stessa (OMISSIS) nei loro confronti.
Tale giudizio aveva avuto inizio con ricorso monitorio, aveva dato luogo a successivo giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ed aveva ad oggetto il pagamento di competenze professionali. Esso era stato definito con l’accoglimento dell’opposizione ed il rigetto della domanda della (OMISSIS), in virtù del giuramento reso dai convenuti con riguardo all’avvenuto pagamento delle suddette competenze professionali.
Il processo penale, dopo l’assoluzione degli imputati in grado di appello, è stato definito in sede di legittimità (in virtù di sentenza della VI Sezione Penale della Corte di Cassazione n. 33172/2019, depositata il 23 luglio 2019) con la dichiarazione di prescrizione del reato, l’annullamento della sentenza di merito ai fini degli effetti civili ed il rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., per lo svolgimento dell’azione civile.
Riassunto il giudizio davanti alla Corte d’appello civile di Napoli, quest’ultima ha accolto parzialmente la domanda della (OMISSIS), condannando l’(OMISSIS) e la (OMISSIS), in solido, al pagamento dell’importo di € 49.155,67, oltre accessori, in suo favore.
Ricorrono l’(OMISSIS) e la (OMISSIS), sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso la (OMISSIS).
Èstata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c. .
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia « Violazione e falsa applicazione degli articoli 622 c.p.p. e 2043 c.c. (art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c.) nella ricostruzione della condotta dei ricorrenti.
– Nullità della sentenza per difetto della motivazione imposta dagli articoli 111, 6° comma, Cost. e 132, n. 4, c.p.c. (art. 360, 1° comma, n. 4, c.p.c.) e Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti (art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c.) in ordine alla ritenuta illiceità della medesima condotta».
I ricorrenti deducono:
a) che il giuramento, nel giudizio civile di opposizione a decreto ingiuntivo, era stato loro deferito su due capi distinti («1) giuro e giurando affermo di aver pagato all’avv. (OMISSIS) (OMISSIS) le somme richieste con il decreto ingiuntivo opposto; 2) giuro e giurando affermo di aver estinto il debito nei confronti dell’avv. (OMISSIS) (OMISSIS) per l’opera prestata nel procedimento penale recante il n. 840/97 … presso la Procura della Repubblica di Vallo della Lucania»);
b) che la controversia civile era stata decisa sulla base della considerazione assorbente dell’avvenuto giuramento sul secondo capo (relativo all’estinzione del debito per l’opera prestata dall’avvocato (OMISSIS), senza uno specifico riferimento all’importo pagato a tale titolo);
c) che il capo di imputazione nel processo penale aveva, invece, riguardo esclusivamente al giuramento sul primo capo (relativo all’avvenuto pagamento degli importi specificamente richiesti con il decreto ingiuntivo opposto), e che solo in relazione a tale imputazione la sentenza di assoluzione, pronunciata per difetto dell’elemento soggettivo, era stata annullata in sede di legittimità;
d) che la corte d’appello civile, in sede di rinvio ai sensi dell’art. 622 c.p.p., avrebbe genericamente dato atto che, in sede penale, era stata annullata la sentenza di assoluzione, per difetto dell’elemento soggettivo, dall’imputazione di falso giuramento, ma senza tener conto di tutte le indicate circostanze, rilevanti per il nuovo accertamento sulla sussistenza del predetto reato, ai fini della responsabilità civile.
Tanto premesso, sostengono che «in sintesi, la sentenza impugnata ha ritenuto illecita la condotta dei signori (OMISSIS) – (OMISSIS) sull’unico presupposto dell’affermata prescrizione del reato di falso giuramento e sulla valutazione dell’elemento soggettivo del reato, senza procedere a un’autonoma valutazione e senza prendere in considerazione gli altri elementi della fattispecie».
Il motivo è infondato.
1.1 A giudizio di questa Corte, dalla motivazione della decisione impugnata, valutata nel suo complesso, emerge chiaramente che la corte d’appello ha operato un autonomo accertamento (quanto meno implicito) in ordine alla sussistenza del reato di falso giuramento.
Nella suddetta decisione, infatti, è espressamente formulato il rilievo che, nel giudizio penale, era stato accertato che le circostanze di fatto oggetto del giuramento reso dagli imputati erano effettivamente false, quanto meno con riguardo all’avvenuto pagamento delle somme pretese dall’avvocato (OMISSIS) in sede monitoria, e che l’assoluzione (nel giudizio di appello penale) era stata pronunciata esclusivamente per la ritenuta insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, essendosi ritenuto che il giuramento, pur oggettivamente falso, era stato operato dagli stessi imputati «… “in buona fede” perché confusi dal tenore della formula del giuramento deferito e dalle incertezze provocate dalle molteplici richieste che la (OMISSIS), loro patrocinatore in altra precedente vicenda giudiziaria, aveva loro rivolto nel tempo», mentre, in sede di legittimità, era stato escluso che tale pretesa situazione soggettiva di “buona fede” potesse avere rilievo esimente in relazione alla fattispecie incriminatrice.
La corte territoriale ne ha dedotto, in questo modo di fatto valutando gli atti del processo penale, che in quella sede era stato accertato che il giuramento reso era oggettivamente falso.
Ha, di conseguenza, ritenuto, in base a tale valutazione,che sussistessero tutti gli elementi del reato contestato e, per l’effetto, della condotta illecita dannosa, anche sul piano civile.
In definitiva, dunque, deve ritenersi infondato l’assunto dei ricorrenti per cui la corte d’appello civile avrebbe omesso l’accertamento della condotta illecita dei convenuti sul piano civile, come imposto dall’art. 622 c.p.p., in quanto essa ha semplicemente tratto il suo convincimento in proposito dalle risultanze del giudizio penale, il che è certamente consentito.
D’altronde, le conclusioni della corte d’appello risultano addirittura condivisibili in concreto, in quanto, effettivamente, nel giudizio penale era rimasto oggettivamente accertato che i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano falsamento giurato di avere pagato alla (OMISSIS) le somme da questa pretese con il ricorso monitorio e che la loro eventuale “buona fede” nel giurare il falso non poteva avere rilievo esimente.
Sotto tale profilo, pertanto, le censure di violazione degli artt. 622 c.p.p. e 2043 c.c. sono infondate.
1.2 Va, inoltre, ribadito che la motivazione a sostegno della statuizione impugnata in ordine all’accertamento della oggettiva falsità delle circostanze di fatto oggetto del giuramento, desunta dalle risultanze del giudizio penale, contrariamente a quanto affermano i ricorrenti, risulta del tutto adeguata, non meramente apparente, né insanabilmente contradditoria sul piano logico.
1.3 Non può, d’altronde, ritenersi che, nell’ambito del suddetto accertamento, sia stato omesso l’esame di fatti decisivi.
Secondo i ricorrenti, la corte d’appello, se avesse tenuto conto delle circostanze di fatto rilevanti, «avrebbe dovuto escludere l’illiceità del comportamento dei coniugi, visto che la dichiarazione (non di aver versato la somma chiesta col decreto ingiuntivo, ma di aver estinto l’obbligazione verso l’avv. (OMISSIS) non era stata dichiarata falsa; avrebbe anche dovuto ritenere che il compenso (inferiore) richiesto dall’avv. (OMISSIS) prima del decreto ingiuntivo e le somme versate e/o comunque incassate dalla professionista spiegavano le dichiarazioni dei coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS)».
In realtà, la corte d’appello hachiaramente dato atto dell’avvenuta considerazione delle circostanze di fatto indicate dai ricorrenti e non ne ha, pertanto, affatto omesso l’esame: essa ha, in verità, semplicemente ritenuto – contrariamente a quanto preteso dai ricorrenti stessi – che tali circostanze non escludessero la loro responsabilità, sia sul piano civile che su quello penale, avendo essi falsamente giurato di avere corrisposto le somme pretese dall’avvocato (OMISSIS) in sede monitoria (il cui importo, ha precisato, non era stato contestato nel quantum e, pertanto, di fatto costituiva l’importo effettivamente dovuto), senza che potesse ritenersi circostanza esimente, in proposito, né il fatto che prima dell’avvio del giudizio civile vi fossero state diverse richieste di pagamento, per diversi importi né, più in generale, la formula poco chiara del giuramento deferito.
2. Con il secondo motivo si denunzia « Violazione e falsa applicazionedegli articoli 622 c.p.p., 2043 c.c. e 40 c.p. nell’errata affermazione del nesso di causalità (art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c.).
– Nullità della sentenza per mancanza della motivazione imposta dagli articoli 111, 6° comma, Cost. e 132, n. 4, c.p.c.) e Omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione fra le parti (art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c.) in ordine al medesimo nesso di causalità».
I ricorrenti deducno che « la ratio decidendi della sentenza di revoca dell’opposto decreto ingiuntivo è costituita dalla risposta positiva (ritenuta dalla Corte di merito assorbente) data dai coniugi al capo 2 del deferito giuramento, con l’affermazione di aver estinto il debito nei confronti dell’avv. (OMISSIS) (OMISSIS), perciò “a prescindere da quale fosse il suo ammontare”» e che «poiché –come si è più volte constatato … … il giudizio penale (e la conseguente valutazione di falsità) hanno avuto unicamente a oggetto il capo n. 1 del giuramento (concernente il pagamento della somma oggetto del decreto ingiuntivo opposto), l’esito del giudizio civile non è stato conseguenza della dichiarazione resa dai signori (OMISSIS) – (OMISSIS) sul capo 1, considerata – ai fini del giudizio civile –falsa» onde «la Corte di merito ha pertanto violato l’art. 40, 1° comma, c.p., in relazione all’art. 2043 c.c., avendo posto in rapporto di causalità necessaria la dichiarazione ritenuta falsa e l’esito del giudizio civile, ignorando la ratio decidendi di quest’ultimo».
Il motivo è infondato.
I ricorrenti non colgono adeguatamente il senso e la effettiva ratio decidendi della pronuncia resa in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, correttamente intesa, invece, dalla corte d’appello, nella statuizione impugnata nella presente sede.
L’opposizione a decreto ingiuntivo non era, infatti, stata affatto rigettata esclusivamente in ragione dell’assorbente considerazione che era stato reso il giuramento sul secondo capo di giuramento deferito e, soprattutto, non era stato affatto ritenuto, in quella sede, del tutto irrilevante, ai fini della decisione, il giuramento sul primo capo.
Al contrario, per quello che emerge chiaramente dalla sentenza impugnata, che contiene puntuali riferimenti alla motivazione della decisione definitiva resa nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (riferimenti confermati dall’esposizione contenuta nello stesso ricorso), in tale ultima sede era stato affermato che il giuramento era stato validamente reso in relazione ad entrambi i capi deferiti, in quanto le precisazioni rese dai coniugi nel rendere quello sul primo capo (segnatamente: l’(OMISSIS) aveva dichiarato che la somma richiesta in sede monitoria era stata pagata in parte in contanti e in parte mediante assegni, la (OMISSIS) che non ne ricordava con precisione l’esatto ammontare, ma che esso era prossimo a quello di cui al decreto ingiuntivo) non erano tali da modificare sostanzialmente il senso della formula originaria oggetto del deferimento.
Dunque, semplicemente, la conclusione sull’esito positivo del giuramento sul primo capo deferito derivava anche dalla considerazione dell’avvenuto giuramento (senza alcuna precisazione) in relazione al secondo capo.
In sostanza, tenuto anche conto che nella decisione impugnata si dà chiaramente atto che in sede di opposizione a decreto in- giuntivo non vi erano state contestazioni sul quantum preteso dall’avvocato (OMISSIS), ma era stata avanzata esclusivamente l’eccezione di prescrizione presuntiva in relazione alla sua pretesa, deve concludersi che sia stato ritenuto decisivo il giuramento prestato su entrambi i capi deferiti, sostanzialmente ritenuti (in mancanza di specifiche contestazioni sull’importo dovuto al legale) come aventi un concreto oggetto nella sostanza non diverso e, anzi, di fatto coincidente.
Ne consegue che deve ritenersi correttamente accertato, nella sentenza in questa sede impugnata, il nesso di causa tra il falso giuramento oggetto dell’imputazione penale (in relazione all’avvenuto pagamento delle somme di cui al ricorso monitorio, costituenti il debito per le competenze professionali dovute all’avvocato (OMISSIS)) e l’esito della controversia civile di opposizione a decreto ingiuntivo, sulla base della indicata corretta ricostruzione della ratio decidendi della sentenza che ha definito tale ultima controversia.
Né il ricorso contiene uno specifico richiamo al contenuto delle difese svolte dai ricorrenti nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, con riguardo alla eventuale avvenuta espressa e specifica contestazione del quantum delle pretese avanzate dall’avvocato (OMISSIS) per le proprie competenze professionali, in violazione, per tale profilo, dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c..
In definitiva, tutte le censure di cui al motivo di ricorso in esame, essendo fondate su una erronea interpretazione della ratio decidendi della sentenza che ha deciso la controversia civile di opposizione al decreto ingiuntivo, devono ritenersi infondate, ivi incluse quelle di difetto di motivazione (essendo la motivazione a sostegno del provvedimento impugnato del tutto adeguata a dare conto del percorso logico seguito dalla corte territoriale), nonché quelle di omesso esame di fatti decisivi (dal momento che i fatti effettivamente rilevanti risultano tutti presi in considerazione, nella corretta ottica fin qui esposta).
3. Con il terzo motivo si denunzia « Violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2056, 2697, 1° comma, c.c., 2738, 1° e 2° comma, c.c., 115 c.p.c.; 40, 1° comma, c.p.nella liquidazione dei danni (art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c.)
– Nullità della sentenza per mancanza della motivazione imposta dall’art. 111, 6° comma, Cost. e 132, 1° comma, n. 4, c.p.c. in ordine alla stessa liquidazione (art. 360, 1° comma, n. 4, c.p.c.)».
I ricorrenti deducno che la (OMISSIS) avrebbe dovuto fornire la prova dei danni subiti, da individuare nel mancato conseguimento delle competenze professionali dovute e che la corte d’appello avrebbe omesso ogni accertamento sul punto, con riguardo all’esatto ammontare i tali competenza.
Il motivo è solo in parte fondato.
3.1 La corte d’appello ha considerato che il falso giuramento reso dai coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) aveva determinato l’accoglimento della loro opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dalla (OMISSIS) (il che è, in effetti, oggettivamente innegabile) e ha ritenuto che, in mancanza di tale falso giuramento, non avendo essi specificamente «contestato nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il quantum richiesto, ma unicamente la prescrizione del diritto» (cfr. § 6.3 della sentenza impugnata, pag. 23, righi 7-10), l’opposizione sarebbe stata, invece, integralmente rigettata.
Ne ha fatto discendere, in modo ineccepibile sul piano logico, che il danno determinato dalla loro condotta illecita era senz’altro pari all’importo delle somme di cui al decreto ingiuntivo opposto, nonché alle spese processuali del relativo giudizio.
I ricorrenti sostengono, invece, che «il decreto ingiuntivo (e gli atti del relativo processo) neppure avrebbero potuto essere utilizzati quale prova del credito professionale non riscosso e per- ciò dei danni patiti dall’avv. (OMISSIS)».
Orbene, se è vero, come riferisce la corte d’appello (senza che i ricorrenti lo contestino espressamente e, soprattutto, senza che richiamino il contenuto degli atti difensivi di quel giudizio che attestino eventualmente il contrario), che in sede di opposizione al decreto ingiuntivo non era stato contestato l’importo preteso dalla (OMISSIS) in sede monitoria a titolo di competenze professionali, ma era stata eccepita esclusivamente la prescrizione presuntiva ai sensi dell’art. 2956 c.c. (superabile solo in virtù di giuramento e, di fatto, superata dal falso giuramento reso dagli opponenti in ordine all’estinzione dell’obbligazione oggetto della pretesa monitoria), sul piano logico, la valutazione su nesso di causa operatadalla corte d’appello deve certamente condividersi.
Quest’ultima, in altri termini, ha ritenuto di dover considerare esclusivamente, ai fini della liquidazione del danno, l’esito che avrebbe avuto il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in mancanza del falso giuramento e, con insindacabile accertamento in fatto, ha stabilito che, in mancanza del falso giuramento, l’esito del giudizio sarebbe stato di rigetto integrale dell’opposizione.
Si tratta di una inferenza in fatto del tutto plausibilee, anzi, che questa Corte giudica corretta, atteso che, se i coniugi opponenti avessero giurato il vero e non il falso, se, cioè , avessero ammesso di non aver corrisposto le somme di cui al decreto monitorio e, quindi, di non aver estinto il loro debito (non contestato nel quantum, secondo quanto precisa la corte d’appello), l’opposizione sarebbe stata, per ciò solo, inevitabilmente rigettata, senza altri accertamenti.
In mancanza di specifiche contestazioni sul quantum dovuto, infatti, anche in virtù dell’efficacia decisoria del giuramento (art. 2736 c.c.) e del meccanismo operativo dello stesso in caso di eccezione di prescrizione presuntiva, ai sensi degli artt. 2959 e 2960 c.c., l’esito della controversia era ormai possibile esclusivamente nel senso dell’accoglimento o del rigetto dell’opposizione.
3.2 Per quanto riguarda le spese del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, è sufficiente rilevare che la corte d’appello ha correttamente accertato, sulla base di un giudizio prognostico, che, a seguito del rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo, gli opponenti sarebbero stati, altresì, condannati al pagamento delle spese di lite, nella misura indicata dall’attrice, in base al principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c..
Si tratta di una valutazionedi fatto sostenuta da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, anzi del tutto ragionevole, come tale non sindacabile in sede di legittimità.
3.3 Risulta, invece, fondata la questione posta in relazione alle spese del processo penale in grado di appello: la sentenza di assoluzione è stata, in effetti,annullata e, di conseguenza, le spese di quel giudizio (penale) non avrebbero potuto essere poste a carico degli imputati, in quella sede, mentre le spese relative all’azione civile (le uniche sostenute dalla (OMISSIS), quale parte civile) andavano liquidate dalla corte d’appello all’esito del giudizio di rinvio di cui all’art. 622 c.p.p. (come espressamente previsto nella sentenza di rinvio), non quali danni derivanti dalla condotta illecita, ma quali spese del giudizio infine definito in sede civile.
Tali spese, in effetti, risultano espressamente compensate dalla stessa corte d’appello: ne deriva che sussiste anche la dedotta insanabile contraddittorietà logica della decisione impugnata sul punto, cioè con riguardo alle spese del processo penale di appello.
In proposito, dunque, la decisione impugnata va cassata.
È possibile la decisione nel merito della questione, senza necessità di ulteriori accertamenti in fatto, dal momento che, come già chiarito, vi è, nella decisione impugnata, una espressa statuizione di compensazione delle spese dell’intero giudizio civile di risarcimento del danno, che comprende anche quelle relative allo svolgimento dell’azione civile in sede penale, peraltro non specificamente censurata.
Di conseguenza, è sufficiente cassare la decisione impugnata nella parte relativa al riconoscimento delle sole spese del processo penale (€ 4.050,00, esclusi accessori), come liquidate dalla corte d’appello nel conteggio in base al quale è stata determinata la complessiva somma oggetto di condanna, ferma restando la decisione impugnata per ogni altro aspetto, ivi incluse le modalità di calcolo degli accessori sul capitale complessivamente liquidato.
4. Con il quarto motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione degli articoli 1241 ss. c.c. per il mancato riconoscimento delle somme già versate all’avv. Caruso (art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c.)».
I ricorrenti deducono che avevano dedotto di avere pagato all’avvocato (OMISSIS) alcuni importi, che tale loro allegazione non era stata contestata e che, ciò nonostante, la corte d’appello non ne aveva tenuto conto.
Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in considerazione del mancato puntuale richiamo del contenuto degli atti difensivi della (OMISSIS), da cui avrebbe dovuto risultare la omessa contestazione dell’allegazione del pagamento degli acconti di cui si discute.
5. È accolto, nei limiti precisati in motivazione, il terzo motivo del ricorso, che è rigettato per il resto.
La sentenza impugnata è cassata in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, la condanna è ridotta del solo importo delle spese liquidate per il giudizio penale, ferma restando la suddetta decisione per ogni altro aspetto.
Per quanto riguarda spese dell’interogiudizio (la cui regolamentazione va rinnovata, in virtù dell’accoglimento, anche se solo parziale, del ricorso), la Corte ritiene che esse possano essere integralmente compensate tra tutte le parti, come già ritenuto dalla corte d’appello, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, anche in considerazione del solo parziale accoglimento della domanda di parte attrice e del presente ricorso.
Per questi motivi
La Corte:
– accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il terzo motivo del ricorso, rigettato per il resto, cassa la sentenza impugnata in relazione alla sola censura accolta e, decidendo nel merito sul punto, dispone che l’importo della condanna pronunciata con la decisione impugnata, sia ridotta della somma corrispondente a quella delle spese liquidate per il giudizio penale, nei sensi di cui in motivazione;
– dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio, anche per le fasi svoltesi in sede penale.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Cassazione in data 27/01/2025.
Depositato in Cancelleria il giorno 11 marzo 2025.