Mette in vendita un tablet sul sito “subito.it” per 150,00 euro che non consegna all’acquirente. Anche se la cifra appare irrisoria, va condannato (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 18 novembre 2020, n. 32460).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde – Presidente –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI PISA Fabio – Rel. Consigliere –

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MONTEBRUNO GIUSEPPE nato a SAN BENEDETTO DEL TRONTO il 17/01/1989;

avverso la sentenza del 06/12/2018 della CORTE di APPELLO di ANCONA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Fabio DI PISA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Giuseppe LOCATELLI il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 6 Dicembre 2018, ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Ascoli Piceno, in data 27 Gennaio 2017, aveva riconosciuto MONTEBRUNO Giuseppe responsabile del delitto di truffa in quanto avrebbe proposto, falsamente, la vendita di un tablet sul sito Intenet “www.subito.it” ad un prezzo estremamente favorevole inducendo così in errore Angelo Calogero Modica che, confidando nella effettiva disponibilità del bene, aveva inviato la somma pattuita mediante bonifico bancario senza tuttavia ricevere alcunché, non essendo mai stato consegnato nulla, condannando alla pena ritenuta di giustizia, disapplicata la pur contestata recidiva e riconosciute le circostanze attenuanti generiche.

2. Ricorre per cassazione il difensore di fiducia del MONTEBRUNO lamentando con un unico motivo, articolato in più censure, erronea applicazione della legge penale quanto al mancato riconoscimento della attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen..

Deduce che la corte di appello aveva ritenuto di disattendere il motivo di gravame articolato in ordine alla attenuante comune di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. sul rilievo secondo cui la somma di Euro 150,00 di cui la persona offesa era stata depauperata non può essere considerata irrisoria, limitandosi in tal modo a condividere la soluzione cui era pervenuto il tribunale senza rispondere alle censure che erano state sollevate con l’atto di impugnazione.

Richiama la giurisprudenza della S.C. in merito ai criteri di valutazione del fatto illecito nella sua globalità, operazione da cui la corte territoriale si era sottratta dando luogo perciò ad un vizio di motivazione suscettibile di essere denunziato in questa sede; aggiunge che la stessa Corte di Appello di Ancona, in altre due occasioni assolutamente analoghe, aveva deciso in senso contrario.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Il difensore dell’ imputato censura la sentenza impugnata per avere i giudici di appello disatteso la richiesta difensiva di riconoscimento della attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. sottolineando come, a tal fine, rilevano, oltre al pregiudizio di natura spiccatamente economica, anche tutti gli altri effetti pregiudizievoli cagionati alla vittima del reato e che vanno considerati nel loro complesso.

2.1. Il motivo non coglie nel segno.

Osserva questo collegio che la Corte di Appello, nel disattendere la censura difensiva, ha richiamato condivisibilmente la giurisprudenza della Suprema Corte in ordine al carattere sostanzialmente irrilevante che deve connotare il pregiudizio patrimoniale cagionato alla vittima perché sia possibile ritenere la attenuante invocata e che, nel caso di specie, non può ritenersi tale.

E’ stato, infatti, sostenuto che la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante: ai fini dell’accertamento della tenuità del danno è, inoltre, necessario considerare, oltre al valore in sé della cosa sottratta, anche il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della sottrazione della “res” (in applicazione del principio la S.C. ha confermato la decisione del giudice di appello, il quale aveva escluso l’applicabilità della circostanza attenuante al furto di una cinepresa compiuto da un agente di polizia all’interno del proprio Commissariato, derivando da esso grave pregiudizio al rapporto fiduciario di servizio). (Sez. 4, n. 8530 del 13/02/2015 – dep. 25/02/2015, Chiefari, Rv. 26245001).

Muovendo da tali principi la sentenza impugnata resiste alle censure di parte ricorrente avendo i giudici territoriali rilevato, con motivazione – ancorché sintetica – adeguata in fatto che la somma in questione, pari ad euro 150,00, non appariva in sé “oggettivamente irrisoria tenuto conto del costo medio della vita”.

3. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, in data 30 Settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.