Nessuna attenuante per il padre che non provvede al figlio (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 2 novembre 2020, n. 30452).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRICCHETTI Renato Giuseppe – Presidente –

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere –

Dott. GIORGI Maria Silvia – Rel. Consigliere –

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere –

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS) (TP) il  xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza dell’8/10/2019 della Corte d’appello di Palermo;

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Maria Silvia Giorgì;

udito Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore  generale Dott. Vincenzo Senatore, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN  FATTO

1. Il Tribunale di Trapani, con sentenza 31/10/2016, assolveva (OMISSIS) dal reato di cui all’art. 570, comma 2, n. 2 cod. pen. per essersi sottratto all’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento dell’importo di 200,00 euro mensili in favore del figlio (OMISSIS), dal febbraio al giugno 2012 (anzi “sino ad oggi”, come precisato dal P.M. all’udienza del 08/06/2015).

Il giudice rilevava che, nonostante l’inadempimento dell’obbligo impostogli, risultava accertato che l’imputato si era trovato  nella  impossibilità  di  provvedere In quanto privo di occupazione, né era emerso che al minore fossero venuti a mancare i mezzi di sussistenza.

2. Con il provvedimento in epigrafe la Corte d’appello di Palermo, in accoglimento degli appelli della parte civile e del (OMISSIS), riformava la sentenza, dichiarando l’imputato responsabile del reato contestato e lo condannava alla pena di mesi due di reclusione ed euro 150,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile.

La Corte disponeva l’esame dell’imputato ai sensi dell’art. 603, comma 3- bis, cod. proc. pen., che tuttavia non aveva luogo perché l’imputato si sottraeva.

Riteneva altresì non dover procedere ad ulteriore rinnovazione istruttoria, trattandosi solo di diverso apprezzamento del medesimo compendio probatorio, già ritenuto attendibile dal  primo giudice.  Valorizzava in  particolare la coerenza, la completezza e la precisione della deposizione” della persona offesa, riscontrata dalla documentazione in atti, secondo la quale l’imputato si era reso sistematicamente inadempiente agli obblighi di mantenimento a lui imposti per effetto della separazione coniugale (per l’ammontare di euro 200,00 mensili), omettendo totalmente le contribuzioni.

L’imputato, il quale – secondo le dichiarazioni rese dall’ex coniuge – anche dopo la separazione aveva continuato a lavorare, sia come dipendente, sia in proprio effettuando lavori “in nero”, non versando così in condizioni d’indisponibilità di risorse sufficienti, aveva quindi fatto mancare al figlio minorenne, i necessari mezzi di sussistenza, sì che  la madre affidataria, che svolgeva attività lavorativa quale addetta alle pulizie, era stata costretta a provvedere faticosamente da sola per far fronte alle primarie esigenze di vita.

Il protratto disinteresse nei confronti del figlio rendeva l’imputato non meritevole delle attenuanti generiche.

3. Il difensore di (OMISSIS) ha presentato ricorso per cassazione avverso la citata sentenza e ne ha chiesto l’annullamento, censurandone con distinti motivi:

3.1. la violazione di legge (artt. 570, comma 2, 2 cod. pen.) e il vizio motivazionale con riguardo alla capacità economica dell’imputato e allo stato di bisogno della persona offesa, ritenendo configurabile una mera inadempienza di natura civilistica non determinante la mancanza dei mezzi di sussistenza per il figlio, alle cui esigenze aveva provveduto la madre;

3.2. la violazione di legge e il vizio motivazionale in ordine alla valutazione delle testimonianze assunte in dibattimento, perché il quadro probatorio nei confronti dell’imputato non era connotato dai requisiti richiesti dalla legge; in particolare la Corte territoriale non aveva adeguatamente motivato circa la ritenuta attendibilità della persona offesa a fronte di contrastanti emergenze dibattimentali, quali le dichiarazioni  rese dal teste (OMISSIS) che aveva riferito che l’imputato conduceva uno stile di vita pessimo e scadente e si era più volte rivolto a lui chiedendo prestiti in denaro per la sopravvivenza;

3.3. la violazione di legge quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non avendo la Corte considerato elementi positivi (incensuratezza, difficoltà economiche e patologie depressive) che avrebbero dovuto comportarne l’applicazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso dell’Imputato, concernenti l’affermazione di responsabilità per il reato contestato, si palesano manifestamente infondati e per taluni aspetti sprovvisti del carattere di specificità, poiché il ricorrente, nella sostanza, sollecita sui punti oggetto delle censure una non consentita rilettura di merito delle emergenze processuali in un senso ritenuto a sé più favorevole.

2. In ordine alle ragioni per le quali si è affermato che nei comportamenti del ricorrente, sopra descritti nell’esposizione dei fatti, fossero ravvisabili gli estremi del reato contestato, la Corte territoriale ha argomentato, Infatti, con considerazioni scevre da illogicità manifesta in fatto e corrette in linea di diritto, oltre che con solido ancoraggio alle informazioni probatorie, orali e documentali, conseguite per la ricostruzione dell’episodio.

Ed invero, appare probatoriamente supportata e logicamente argomentata – perciò insindacabile In sede di legittimità – l’affermazione della Corte d’appello per cui l’omissione totale – delle contribuzioni da parte dell’imputato ha fatto venir meno i pur strettamente necessari mezzi di sussistenza al figlio minore (per soddisfarne le elementari esigenze di vita) , il quale versava in un obiettivo e incontroverso stato di bisogno proprio in ragione della minore età.

Secondo costante orientamento giurisprudenziale, in caso di mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento nei confronti dei minori, si versa per definizione nella situazione indicata dal legislatore, sulla base della presunzione che il minore sia incapace di produrre un reddito proprio. Lo stato di bisogno è (relativamente) presunto, salvo prova contraria (Sez. 6, n. 26725 del 26/03/2003, D’Onofrio, Rv. 225875) non potendo considerarsi l’omissione irrilevante anche quando a garantire le esigenze in luogo del soggetto inadempiente provveda l’altro genitore con proprie risorse, come nel caso di specie, o intervengano terzi (Sez 6, n. 8912 del 04/ 02/ 2011, K., Rv. 249639; Sez. 6, n. 38125 del 24/ 09/ 2008, N., Rv. 24119 1).

3. Con motivazione altrettanto corretta, perché in linea con la giurisprudenza di legittimità che pone a carico dell’imputato un onere di specifica allegazione (Sez. 6, 2736 del 13/11/2008, L., Rv. 242853), e incensurabile sul piano della logicità delle conclusioni, la Corte territoriale non ha ritenuto affatto comprovata una condizione incolpevole dell’imputato tale da esimerlo dall’obbligo di contribuzione, secondo un assunto difensivo (basato sulla generica deposizione del teste B circa il misero stile di vita dell’imputato) inidoneo a dimostrare che la incapacità contributiva fosse assoluta ed esente da profili di colpa.

La Corte ha evidenziato che l’imputato aveva ricostituito un nuovo nucleo familiare, “indifferente alle esigenze del primo figlio”, e che, omettendo unilateralmente di versare l’assegno di mantenimento, non aveva neppure consentito all’autorità giudiziaria di valutare la fondatezza di eventuali problematiche legate alle sue contingenti difficoltà economiche.

4. Manifestamente infondato appare altresì il secondo motivo di ricorso col quale si deduce la violazione di legge e il vizio motivazionale in ordine alla carenza di riscontri oggettivi atti a suffragare l ‘accusa.

E’ il caso di osservare che le dichiarazioni rese dalla persona offesa non necessitano affatto della presenza di riscontri esterni, non trovando per esse applicazione la regola di cui all’art. 192, commi 3 e 4 proc. pen. (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104), rilevandosi anzi che le dichiarazioni della persona offesa possono da sole essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto.

Verifica che, come cennato, la Corte territoriale ha compiuto analizzando le dichiarazioni e il comportamento processuale della teste, in assenza di elementi significativamente idonei a smentire l’assunto della persona offesa circa l’inadempimento da parte dell’imputato dell’obbligo contributivo a suo carico.

5. Risulta manifestamente infondato anche il motivo di ricorso riguardante la mancata applicazione delle attenuanti generiche, atteso che il ricorrente pretende che in sede di legittimità si proceda ad una operazione non consentita di rinnovata valutazione dei criteri e delle modalità mediante i quali i giudici di merito hanno esercitato il potere discrezionale ai fini del motivato diniego delle circostanze attenuanti generiche.

Nella specie, la Corte di merito ha spiegato di non ritenere il ricorrente meritevole delle invocate attenuanti in considerazione del protratto disinteresse nei confronti del figlio”.

Si tratta di una considerazione adeguatamente giustificativa del diniego, che le generiche censure del ricorrente (in tema di incensuratezza, difficoltà economiche e asserite patologie depressive dell’ imputato) non valgono a scalfire.

Va infine sottolineato che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19 marzo 2014, Lule, Rv. 259899).                                                                       ,-

6. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso a dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che si reputa equo fissare in euro tremila.

P.Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 30/09/2020.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2020.