Negato il risarcimento per i danni derivanti da una buca in autostrada: non è sufficiente la testimonianza del passeggero che l’ha percepita (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 5 maggio 2021, n. 11736).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7698-2019 proposto da:

(OMISSIS) SRL (OMISSIS), in persona dell’Amministratore unico, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) 6, presso lo studio dell’avvocato IVAN (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

ANAS SPA – 802(OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1627/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 06/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. Giuseppe CRICENTI.

RITENUTO CHE

1.- La società (OMISSIS) srl ha agito in giudizio quale proprietaria di una vettura Ferrari, per i danni subiti a causa di una buca sul manto stradale della Autostrada A19, all’interno di una galleria non illuminata.

Secondo la società ricorrente, la responsabilità del danno è da attribuirsi all’Anas, ente proprietario della strada, in quanto la buca non era altrimenti evitabile, ed in particolare in quanto non visibile a causa della scarsa illuminazione della galleria.

2.- La domanda è stata rigettata in primo grado, nel corso del quale sono stati sentiti sia il conducente della vettura che un passeggero che un dipendente dell’Anas.

Il Tribunale ha concluso nel senso che non era emersa affatto la prova della esistenza di una buca, che, non chiaramente percepita dai testi di parte attrice, era stata del tutto esclusa da quello dell’Anas.

Questa decisione è stata integralmente confermata in secondo grado.

3.- Ricorre la società (OMISSIS) con tre motivi.

Non ha svolto difese l’ANAS.

CONSIDERATO CHE

4.- L’esame del terzo motivo è per certi versi preliminare, in quanto assume l’assoluta nullità della sentenza per ragioni formali.

Si denuncia violazione dell’articolo 132 c.p.c. ritenendo che la Corte di Appello ha fatto riferimento ad una sentenza non già del Tribunale di Termini Imerese, bensì a quello, errato, di Palermo, sentenza identificata solo dalla data di deposito senza riferimento alcuno al numero di cronologico.

Il motivo è infondato.

Infatti, si tratta di errori materiali, anzi di un solo errore materiale- il riferimento al Tribunale di Palermo, anziché a quello di Termini Imerese- non essendo l’indicazione del numero della sentenza oggetto di appello elemento essenziale, non idonei ad incidere sulla validità della sentenza impugnata, che identifica esattamente, per il resto, ossia quanto alle parti, alle domande, ai fatti, ecc, quella oggetto di giudizio, ossia quella di primo grado.

Nessuna confusione si è determinata quanto alla sentenza oggetto del giudizio di appello, e del resto la ricorrente impugna qui la sentenza di appello nel merito, cosi dimostrando che l’errore materiale denunciato è in realtà irrilevante.

5.- Il primo motivo denuncia violazione degli articoli 115, 116 c.p.c. e 2729 c.c.

La tesi della ricorrente è che la corte avrebbe violato le regole legali di valutazione della prova testimoniale, non avendo creduto ai suoi due testi, ed avendo, per contro, dato rilievo a quello dell’ANAS, arrivando dunque a ritenere non provata la presenza della buca.

In questi termini il motivo è inammissibile poiché denuncia errore nella valutazione della prova, che è un giudizio di fatto, rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, non sindacabile in Cassazione se non per errore percettivo, qui non denunciato, o per difetto assoluto di motivazione.

Il motivo contiene poi altri due argomenti a suo sostegno, anche essi infondati.

Sostiene il ricorrente che la Corte di Appello ha violato la regola per cui il giudice può porre a base della decisione un fatto notorio, nel momento in cui non ha creduto al teste di parte attrice, il quale aveva affermato che, pur non avendo visto la buca, l’aveva percepita con altri sensi.

Sarebbe fatto notorio che un passeggero, pur non vedendo una buca sulla strada, la percepisca comunque.

Invece, il fatto notorio è un fatto che è acquisito alle conoscenze della collettività in modo tale da risultare certo (Cass. 33154/ 2020), e che non richiede apprezzamenti da parte del giudice.

Non è notorio che il passeggero di una vettura percepisca una buca con altri sensi”, ossia si accorga della sua presenza senza vederla: a prescindere dalla circostanza che occorrerebbe stabilire quali siano gli altri sensi, cioè come l’abbia altrimenti percepita, resta il fatto che si tratta della percezione che in quel momento specifico ha avuto uno specifico passeggero, da cui non può ricavarsi che tutti (o quasi) i passeggeri in quella condizione abbiano stessa percezione della buca, che è ciò che sta alla base di un fatto notorio.

Senza tacere del fatto che, per assumere come notorio che il passeggero di una vettura possa percepire una buca senza vederla, occorre credere che egli l’abbia percepita, ed è ciò a cui il giudice di merito non ha creduto.

Un secondo argomento di questo primo motivo è che è stata violata la regola di valutazione delle presunzioni, nel momento in cui si è ritenuto di non concedere credito alle testimonianze.

Tesi che presuppone che le testimonianze si debbano valutare in quanto indici presuntivi, piuttosto che come prove dirette, il che è infondato, in quanto << non è consentito fare ricorso alle presunzioni semplici per desumere, ai sensi dell’art. 2729 c.c., dal fatto noto uno ignoto, quando quest’ultimo ha costituito oggetto di prova diretta, in quanto, da un lato, ciò esclude che il fatto possa considerarsi “ignoto” e, dall’altro, lo stesso contrasto fra le risultanze di una prova diretta (nella specie, una testimonianza oculare) e le presunzioni semplici priva queste dei caratteri di gravità e precisione>> (Cass. 8814/ 2020).

Tuttavia, questa massima va precisata.

Non è che una testimonianza non possa valere come indizio, e debba valere o come prova diretta o come niente.

Ad esempio: se il teste dice di aver visto Tizio entrare in una villetta ed uscirne con il malloppo, la testimonianza è prova diretta del furto; ma se il teste dice di aver visto Tizio semplicemente vicino alla villetta, aggirarsi nei suoi paraggi, questa dichiarazione non è prova diretta del furto, ma ben può essere utilizzata come indizio di esso, ossia come un fatto noto (la presenza di Tizio vicino alla villetta) da cui si può, in presenza degli altri elementi, ricavare il fatto ignoto, ossia che Tizio è l’autore del furto.

Tuttavia, l’utilizzo della testimonianza come indizio, presuppone che essa contenga un fatto noto, da utilizzare per risalire a quello ignoto, ossia presuppone, in altri termini, che al teste si creda.

Qua invece il racconto del teste non è creduto, e dunque non ha la natura di fatto noto dal quale risalire ad uno ignoto.

6.- Il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., in tema di spese.

Rigettata la domanda, la Corte di Appello ha condannato la società attrice alla rifusione delle spese.

Secondo la ricorrente avrebbe dovuto invece compensarle, in ragione del fatto che la difficoltà di provare l’esistenza della buca in una galleria costituisce eccezionale ragione che giustifica la compensazione.

Il motivo è infondato.

Il giudice ha l’obbligo di motivare la compensazione in caso di soccombenza non reciproca, ma non ha l’obbligo di compensare quando una parte è totalmente vittoriosa, in quanto in questo caso la regola dell’attribuzione delle spese alla parte vittoriosa discende dalla legge, e la circostanza che vi fossero, in ipotesi, ragioni eccezionali di compensazione non obbliga il giudice di merito a compensare.

7.- Il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Nulla spese.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto.

Così deciso il 02/03/2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.