No alla rimozione delle tubature di scarico del vicino: si tratta di una servitù apparente (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 24 settembre 2024, n. 25493).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Mauro MOCCI – Presidente –

Dott. Patrizia PAPA – Consigliere –

Dott. Linalisa CAVALLINO – Consigliere –

Dott. Antonio MONDINI – Rel. Consigliere –

Dott. Danilo CHIECA – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14134/2023 R.G. proposto da:

(omissis) (omissis), elettivamente domiciliato in COMO VIA (omissis) n. 1, DOM DIG, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende

-ricorrente-

contro

(omissis) (omissis), elettivamente domiciliato in SALERNO VIA (omissis) (omissis) 24, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende

-controricorrente-

nonchè contro

(omissis) (omissis), elettivamente domiciliato in SALERNO VIA (omissis) (omissis) 7 DOM. DIG., presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (omissis) (omissis)

-controricorrente-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 1711/2022 depositata il 19/12/2022.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere dott. ANTONIO MONDINI.

Premesso che:

1. (omissis) (omissis), proprietario di un appartamento al terzo piano di uno stabile in Salerno, convenne davanti al Tribunale di Salerno (omissis) (omissis) proprietaria dell’appartamento al piano superiore e, deducendo di aver scoperto durante alcuni lavori di ristrutturazione della controsoffittatura, tubature di scarico del bagno dell’appartamento della convenuta e una botola di ispezione quadrata, chiese accertarsi che la convenuta non aveva alcun diritto di mantenere le tubature e la botola laddove si trovavano e condannarsi la convenuta alla rimozione delle une e dell’altra.

La convenuta, previa chiamata in causa di (omissis) (omissis), propria dante causa, per essere da lei garantita in caso di accoglimento della domanda attorea, chiese, in via riconvenzionale, accertarsi l’esistenza del proprio diritto di servitù, sorto per destinazione del padre di famiglia, a mantenere le opere ove si trovavano.

Il Tribunale accolse la domanda riconvenzionale, rigettò la domanda principale e dichiarò assorbita la domanda di garanzia.

La Corte di Appello di Salerno, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la sentenza di primo grado avendo accertato, in forza di documenti e di testimonianze, la presenza dei tubi e del pozzetto fino dai tempi in cui i due appartamenti appartenevano alle stesse proprietarie (tali (omissis) e (omissis) (omissis)).

Contro la sentenza d’appello (omissis) (omissis) ricorre con due motivi avversati da (omissis) (omissis) e da (omissis) (omissis) con separati controricorsi.

La causa perviene al collegio a seguito di istanza di decisione depositata dal ricorrente dopo che era stata formulata dal consigliere delegato proposta di definizione della causa ex art. 380 bis c.p.c. per inammissibilità o infondatezza dei due motivi di ricorso.

Le parti hanno depositato memoria;

considerato che:

1. con il primo motivo di ricorso vengono lamentate, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1061 e 1062 c.c.” per avere la Corte di Appello errato nel sussumere la fattispecie dedotta dalla (omissis) nella fattispecie di cui ai suddetti articoli malgrado che le tubazioni e il relativo pozzetto di ispezione fossero visibili dall’appartamento della (omissis) ma non da quello di esso ricorrente;

2. con il secondo motivo di ricorso vengono lamentate, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1061 e 1062 c.c.” per avere la Corte di Appello errato nel sussumere la fattispecie dedotta dalla (omissis) nella fattispecie di cui ai suddetti articoli malgrado i documenti e i testi escussi avessero fatto emergere la sussistenza delle tubazioni e del relativo pozzetto di ispezione in epoca antecedente e in epoca successiva al momento in cui i due appartamenti avevano cessato di appartenere alle medesime originarie proprietarie, (omissis) e (omissis) (omissis), ma non anche esattamente in quel momento;

3. il secondo motivo di ricorso è logicamente preordinato al primo.

Il motivo è inammissibile.

L’art. 1062 dispone che “La destinazione del padre di famiglia ha luogo quanto consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù. Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario, senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa s’intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati”.

La Corte di Appello in base ad una complessiva e articolata analisi dei documenti – in particolare il contratto in data 19 gennaio 1991 con cui le sorelle (omissis) vendettero alla (omissis) e al marito l’appartamento al quarto piano; i grafici e le fotografie della comunicazione alla locale sopraintendenza per lavori di ristrutturazione eseguiti in questo appartamento nel 1993 “senza modificazioni” – e delle dichiarazioni dei testi – in particolare quelle di (omissis) (omissis) e di (omissis) (omissis) – ha accertato che “è risultata la preesistenza al 1991” delle opere di cui si discute.

Dal complessivo tenore della motivazione e delle risultanze istruttorie valorizzate, la frase non può essere intesa nel senso che la Corte di Appello abbia erroneamente ritenuto integrati i presupposti applicativi dell’art. 1062 c.c. in relazione all’accertamento di uno stato di fatto anteriore e non contestuale alla cessazione della appartenenza dei due appartamenti al medesimo proprietario.

In particolare occorre tenere presente il riferimento della Corte di Appello alla situazione accertata anche nel 1993 e al fatto che allora non vennero apportate modificazioni alla situazione pregressa.

Ciò detto, il motivo in esame, al di là della formale denuncia di violazione di legge, si riduce alla sovrapposizione dell’apprezzamento delle prove da parte del ricorrente all’accertamento dei giudici di merito espresso in una motivazione che non si espone a censure di legittimità. In ordine a motivi così strutturati vale il principio che segue: “Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. n.32505 del22/11/2023).

4. il primo motivo di ricorso è infondato.

Si discute del requisito della apparenza, necessario ai sensi dell’art. 1061 cod. civ., per l’acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia.

La Corte di Appello ha ritenuto il requisito sussistente, dato il fatto pacifico che il ricorrente aveva dichiarato di avere scoperto le tubazioni che corrono orizzontalmente nel solaio di divisione tra gli appartamenti e si immettono poi nella colonna verticale di scarico dei bagni e il relativo pozzetto, in occasione della rimozione di una controsoffittatura. Ha anche evidenziato che il pozzetto “presente nell’unità al piano IV era di pronto ed immediato rilievo”.

Il ricorrente sostiene che il requisito dell’apparenza era insussistente proprio perché le tubazioni e il pozzetto erano schermati alla vista dalla controsoffittatura realizzata dalle Salerno.

Rileva il Collegio che la giurisprudenza di questa Corte è solita affermare che, ai sensi dell’art. 1061, comma 1°, c.c., è apparente soltanto la servitù al cui esercizio risultino destinate opere permanenti e visibili dal fondo servente, in modo da renderne presumibile la conoscenza da parte del proprietario di quest’ultimo (cfr. Cass. n. 2290/2004; Cass. n. 321/1998).

La precisazione per cui le opere permanenti devono essere “visibili dal fondo servente” non costituisce, tuttavia, una specificazione del concetto di apparenza, come tale insensibile a connotazioni puramente topografiche, come dimostra l’irrilevanza – costantemente affermata da questa Corte – del fatto che le opere sono collocate sul fondo servente, su quello dominante o sul fondo di un terzo (Cass. n. 7817/2006; Cass. n. 6357/1997).

La visibilità dal fondo servente è, dunque, un’ipotesi normale ma non per questo esclusiva, essendo, piuttosto, sufficiente che le opere destinate all’esercizio della servitù siano visibili – anche se solo saltuariamente ed occasionalmente (Cass. n. 6522/1993) – da qualsivoglia altro punto d’osservazione, anche esterno al fondo servente, purché il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in cui le opere siano visibili da una vicina via pubblica.

Non rileva, quindi, che l’opera sia a vista né che il proprietario del fondo che si assume asservito abbia, in concreto, conoscenza dell’esistenza dell’opera. L’apparenza della servitù, senza la quale non è possibile la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, si identifica, in definitiva, nell’oggettiva e permanente sussistenza di opere suscettibili di essere viste (anche se, in concreto, ignorate) che, per la loro struttura e consistenza, inequivocamente denuncino il peso imposto su un fondo a favore dell’altro (Cass. n. 3556/1995).

Non è necessario che l’apparenza, nei termini predetti, si estenda all’opera nel suo complesso: non è, quindi, l’entità dell’opera che rileva ma le opere in quanto segno obiettivo ed inequivoco della loro destinazione ad una determinata servitù (Cass. n. 9371/1992; Cass. n. 5020/1996).

Il requisito della apparenza mira a garantire l’acquirente del fondo servente dalla presenza di vincoli ignoti e non verificabili in modo da consentirgli di tenerne in debito conto nella scelta dell’acquisto e delle sue condizioni (Cass.n.2528 del 10/07/1969). In relazione a tale finalità il requisito deve essere valutato caso per caso con riguardo ai singoli contesti.

Appare significativa, nel contesto di unità abitative condominiali in linea, la possibilità dell’acquirente di rappresentarsi il passaggio di tubi di scarico del piano superiore.

In base a tali principi, la Corte, in riferimento ad una situazione assai simile a quella all’origine del presente contenzioso, ha precisato che una tubatura idrica, pur se collocata al di sotto del pavimento dell’appartamento che funge da fondo servente costituisce senz’altro un’opera oggettivamente apparente, “in quanto visibile dal proprietario di quest’ultimo [fondo] in occasione dello svolgimento di lavori edili” (Cass.n.14292 del 08/06/2017);

5. in conclusione il ricorso deve essere rigettato;

6. al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese;

7. poiché la trattazione è stata chiesta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di inammissibilità o comunque infondatezza del ricorso e poiché la Corte ha deciso in conformità alla proposta, va fatta applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma;

8. sussistono i presupposti processuali per il versamento -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente Marianna Grimaldi delle spese del presente giudizio che liquida in € 3.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;

condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente Giovanna Damiano, delle spese del presente giudizio che liquida in € 3.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;

condanna il ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di € 3.500,00, in favore di ciascuna delle controricorrenti nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ., di un’ulteriore somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso a Roma, il 12/09/2024.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -. 

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