REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. Gaetano De Amicis – Presidente –
Dott. Anna Criscuolo – Consigliere –
Dott. Riccardo Amoroso – Consigliere –
Dott. Benedetto Paternò Raddusa – Consigliere –
Dott. Debora Tripiccione – Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) nato ad (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza emessa il 19 ottobre 2023 dalla Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Debora Tripiccione;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Simone Perelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di condanna di (omissis) (omissis) per il reato di cui all’art. 314 cod. pen., ha escluso l’aggravante della recidiva e riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, riducendo la pena irrogata ad anni due e mesi due di reclusione.
(omissis) è stato riconosciuto responsabile del reato di peculato in quanto, nella qualità di addetto alle lavorazioni interne dell’area di Poste Italiane S.p.A., tenuto a contabilizzare in apposito registro tutti gli importi riscossi quotidianamente dai portalettere a titolo di corrispettivo dei servizi di recapito pacchi in contrassegno, importi che Poste italiane avrebbe dovuto corrispondere ai soggetti mittenti il giorno successivo, mediante la falsificazione del registro sopra menzionato, dal quale risultava che le consegne non erano andate a buon fine, si appropriava della somma di euro 3500,00, solo in parte restituita.
2. (omissis) (omissis) propone ricorso per cassazione e, con un unico motivo, deduce il vizio di violazione di legge in relazione alla mancata riqualificazione della condotta come appropriazione indebita in relazione ad un duplice profilo:
1) la natura privatistica dell’attività svolta che non è riconducibile alla raccolta del risparmio postale, ma all’attività di bancoposta, analoga a quella svolta dagli istituti bancari, trattandosi semplicemente della riscossione delle somme di danaro da parte dei portalettere, della successiva consegna di dette somme al ricorrente e della conseguente corresponsione degli importi riscossi ai mittenti;
2) la natura meramente esecutiva delle mansioni svolte dal ricorrente, che in ogni caso impedisce di qualificarlo come incaricato di pubblico servizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.
2. La prima questione che il ricorso pone è se l’attività svolta da Poste Italiane S.p.A. di consegna dei pacchi in contrassegno costituisca un servizio pubblico ovvero sia assimilabile, come propone il ricorrente, all’attività di tipo bancario-finanziario, di natura esclusivamente privatistica.
Come già affermato da questa Corte, la trasformazione dell’Ente Poste in società per azioni non ha comportato – con riferimento alla specifica attività correlata al servizio postale – il venir meno della qualifica di pubblici ufficiali o di incaricati di pubblico servizio dei suoi dipendenti, in quanto l’Ente, in relazione all’esigenza di garantire i valori costituzionali della libertà e della segretezza delle comunicazioni, opera in base ad una normativa pubblicistica e persegue finalità pubbliche (cfr. in tal senso, Sez. 6, n. 49843 del 25/09/2018, Galdo, in motivazione).
Il Collegio intende dare continuità a tale soluzione, dovendosi ribadire la natura pubblicistica dell’attività svolta da Poste Italiane S.p.A. in quanto inclusa nel servizio postale universale che, come si dirà, è stato affidato a detto ente fino al 30 aprile 2026.
In particolare, dalla specifica disciplina di settore sono desumibili i seguenti indici sintomatici della natura pubblica del servizio in esame:
i) l’interesse pubblico sotteso allo svolgimento da parte di Poste Italiane S.p.A. del servizio postale universale, volto a garantire a tutti i cittadini, indipendentemente da reddito o da residenza geografica, la possibilità di fruire dei servizi postali;
ii) la presenza di una disciplina diversa da quella privatistica;
iii) il finanziamento pubblico del servizio universale.
2.1. Va, innanzitutto, premesso che i contenuti del servizio postale universale sono definiti a livello europeo dalla direttiva 97/67/UE del 15 dicembre 1997 (cd. “prima direttiva postale”), come successivamente modificata dalle direttive 2002/39/UE del 10 giugno 2002 (cd. “seconda direttiva postale”) e 2008/6/UE del 20 febbraio 2008 (c.d. “terza direttiva postale”).
Attraverso tali provvedimenti è stato avviato il processo di liberalizzazione dei mercati dei servizi postali che implica, per gli Stati membri, l’abolizione di qualsiasi forma di monopolio, di riserva e di diritti speciali nel settore.
Al contempo, si è ritenuta necessaria, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la definizione di un quadro di principi generali volti ad assicurare, a livello comunitario, un servizio postale universale avente ad oggetto un insieme minimo di servizi di qualità specifica che devono essere forniti permanentemente in tutti i punti del territorio a prezzi accessibili a tutti gli utenti, indipendentemente dalla loro localizzazione geografica nella Comunità.
In particolare, all’art. 3, par. 4, della Direttiva 97/1967/UE si prevede che rientrano nel servizio universale almeno i seguenti servizi:
1) lo smistamento, il trasporto e la distribuzione degli invii postali fino a 2 kg;
2) la raccolta, lo smistamento, il trasporto e la distribuzione dei pacchi postali fino a 10 kg (facoltativamente innalzabili a 20 kg dagli Stati membri).
L’art. 22 della direttiva impone, inoltre, che le funzioni di regolamentazione e vigilanza del settore postale siano affidate ad una o più autorità nazionali di regolamentazione per il settore postale, giuridicamente distinte e funzionalmente indipendenti dagli operatori postali.
In Italia la funzione di autorità di settore, svolta fino al 2011 dal Ministero delle Comunicazioni, e poi, dello Sviluppo Economico, è stata attribuita all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (cfr., per una ricostruzione delle modifiche normative intervenute nel settore in esame, il sito internet della Camera dei Deputati, voce documentazione parlamentare).
2.2. II digs. 22 luglio 1999, n. 261 (recante norme per la “Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio”), come modificato dai successivi interventi normativi di recepimento delle direttive sopra citate (d. Igs. 23 dicembre 2003 n. 384 e d.lgs. 31 marzo 2011 n. 58), rappresenta a tutt’oggi il testo di riferimento per la disciplina generale del servizio postale.
In particolare, all’art. 1, comma 1, d. Igs. cit. si prevede espressamente che la fornitura dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione degli invii postali nonché la realizzazione e l’esercizio della rete postale pubblica costituiscono attività di preminente interesse generale.
La disciplina nazionale ha, inoltre, previsto un fornitore unico del servizio universale, individuato ex lege dall’art. 23, comma 2, d. Igs. cit. in Poste Italiane S.p.A. fino al 30 aprile 2026 (e cioè per un periodo di quindici anni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 58 del 2011).
Va, tuttavia, aggiunto che tale esclusiva è stata ridimensionata dall’art. 1, comma 57, della legge n. 124 del 2017, che ha disposto, a decorrere dal 10 settembre 2017, l’abrogazione del regime di esclusiva, a favore di Poste Italiane, dei servizi di notifica postale degli atti giudiziari e delle violazioni del Codice della strada.
Il d.lgs. n. 261 del 1999 ha, inoltre, introdotto una distinzione, non presente nell’ordinamento comunitario, tra fornitore del servizio e prestatori del medesimo servizio.
Il primo fornisce il servizio integralmente su tutto il territorio nazionale; i secondi forniscono singoli servizi non riservati, che rientrano nel campo di applicazione del servizio universale, previo rilascio di licenza individuale da parte del Ministero dello sviluppo economico (art. 5, d.lgs. cit.).
Il servizio universale è disciplinato dall’art. 3 e ricomprende i medesimi servizi già individuati dalla direttiva e direttive 97/1967/UE. La medesima norma disciplina, inoltre, le caratteristiche del servizio universale, prevedendo, tra l’altro, che lo stesso sia prestato in via continuativa per tutta la durata dell’anno, e le finalità a questo sottese.
In particolare, ai sensi dell’art. 3, comma 8, d.lgs. cit.., il servizio universale risponde alle seguenti necessità:
a) offrire un servizio tale da garantire il rispetto delle esigenze essenziali;
b) offrire agli utenti, in condizioni analoghe, un trattamento identico;
c) fornire un servizio senza discriminazioni, soprattutto di ordine politico, religioso o ideologico;
d) fornire un servizio ininterrotto, salvo casi di forza maggiore.
Oltre alle finalità del servizio postale universale ed al regime di esclusiva in cui opera Poste Italiane S.p.A., vanno, inoltre, considerate, quali ulteriori indici della natura pubblica di detto servizio, le norme che regolano la sua fornitura, in particolare le tariffe da praticare agli utenti, ed il suo finanziamento.
L’art. 13 del d.lgs. n. 261 del 1999 prevede, infatti, che le tariffe delle prestazioni rientranti nel servizio universale sono determinate, nella misura massima, dall’autorità di regolamentazione, secondo molteplici criteri tra cui quelli di ragionevolezza, di garanzia di accesso ai servizi da parte degli utenti, tenuto conto dei costi del servizio e del recupero di efficienza, nonché di tendenziale unicità per l’intero territorio nazionale.
L’art.7 d.lgs. cit. prevede, inoltre, l’obbligo di separazione contabile a carico del fornitore del servizio universale.
Il servizio universale è, infine, finanziato combinando le due modalità previste dalla direttiva europea ossia:
a) attraverso trasferimenti posti a carico del bilancio dello Stato;
b) attraverso il fondo di compensazione degli oneri del servizio universale al quale sono tenuti a contribuire i titolari di licenze individuali e di autorizzazione generale (art. 3, comma 12, d. Igs. n. 261 del 1999).
Tale fondo è amministrato dal Ministero delle comunicazioni ed è rivolto a garantire l’espletamento del servizio universale nel caso in cui il fornitore del predetto servizio non ricavi entrate sufficienti a garantire l’adempimento degli obblighi di legge (art. 10 d.lgs. cit.).
Ad avviso del Collegio, le peculiari caratteristiche emergenti dalla disciplina del servizio postale universale svolto da Poste Italiane S.p.A. (nell’ambito del quale si inserisce anche la consegna di pacchi rilevante nella fattispecie in esame), consentono di ritenere che questa, benché eseguita in regime di concorrenza (quanto meno nelle aree del territorio ove operano anche altri fornitori del servizio), è caratterizzata da una preminente connotazione pubblicistica che non ne consente l’assimilazione, prospettata dal ricorrente, all’attività di tipo bancario-finanziario.
3. Venendo all’esame della seconda questione posta dal ricorrente, ritiene il Collegio che, sulla base delle mansioni concretamente svolte, come ricostruite dalle sentenze di merito, deve escludersi che costui abbia svolto dei compiti meramente esecutivi o di ordine, cosicché legittimamente il Giudici di merito gli hanno attribuito la qualifica di incaricato di pubblico servizio.
3.1. Va, in primo luogo, considerato che, ai sensi dell’art. 18 d.lgs. cit, le persone addette ai servizi postali, da chiunque gestiti, sono considerate incaricate di pubblico servizio in conformità all’articolo 358 cod. pen.
Le persone addette ai servizi di notificazione a mezzo posta sono, invece, considerate pubblici ufficiali a tutti gli effetti.
La giurisprudenza di questa Corte ha già riconosciuto la qualifica pubblicistica alle seguenti figure professionali di dipendenti di Poste Italiane S.p.A.:
1) al “portalettere” (si veda, da ultimo, Sez. 6, n. 49843 del 25/09/2018, Galdo, v. 274205);
2) all’impiegato addetto alla regolarizzazione, mediante affrancatura, dei bollettini “mod. 267” dei pacchi da restituire al mittente, e alla tenuta di un apposito registro nel quale annotare i dati identificativi di ciascuna operazione (Sez. 6, n. 39591 del 02/11/2010, Grillo, Rv. 248532);
3) al dipendente che svolga mansioni di “cedolista” in quanto tale attività comporta non solo mansioni di ordine o prestazioni materiali (trasporto dei dispacci), ma anche compiti accessori e complementari allo svolgimento della funzione pubblica quale, ad esempio, l’apposizione di firma liberatoria di quanto ricevuto in consegna dalle ditte accollatarie della corrispondenza speciale (Sez. 5, n. 22018 del 21/03/2003, Passaro, Rv. 224671).
Tale qualifica pubblicistica è stata, invece, esclusa per l’addetto allo smistamento della corrispondenza (Sez. 6, n. 46245 del 20/11/2012 D’Auria Rv. 253505).
3.2. Ritiene il Collegio che gli elementi descrittivi delle mansioni svolte da (omissis) sono idonei a superare la soglia delle mere mansioni di ordine e ad inquadrare detta attività nell’ambito della contestata qualifica pubblicistica.
Dalla sentenza di primo grado risulta, infatti, che: il procedimento in esame ha avuto origine dai reclami di clienti per la mancata consegna e il mancato pagamento di contrassegni postali; dalla successiva indagine è emerso che, dopo la consegna dei pacchi, i portalettere consegnavano all’imputato gli importi riscossi in contrassegno che lui avrebbe dovuto a sua volta versare ai mittenti dei plichi in qualità di addetto alle lavorazioni interne; l’imputato, falsificando gli esiti della notifica, eludeva i controlli del sistema, attribuendo la dicitura “avvisato” anziché quella “consegnato” al plichi recapitati dai portalettere in contrassegno, occultando il bollettino consegnatogli con l’importo riscosso dal portalettere e appropriandosi del denaro.
Ebbene, sulla base di tale ricostruzione, deve ritenersi ragionevolmente argomentata la conclusione cui sono pervenuti i Giudici di merito nell’escludere la natura meramente esecutiva delle mansioni svolte da (omissis), avendo essi coerentemente ravvisato nello svolgimento delle sue mansioni profili di autonomia decisionale e di discrezionalità operativa.
In particolare, la sentenza impugnata ha evidenziato il carattere articolato dell’attività di riscossione dei pagamenti in contrassegno che, successivamente alla consegna dei pacchi e alla riscossione degli importi corrisposti dai destinatari, richiedeva il compimento di talune operazioni di competenza del ricorrente.
In primo luogo, la registrazione dell’operazione in apposito registro informatico, registrazione che, come sottolineato dalla Corte territoriale, completava «l’affidamento delle somme all’Ente Poste».
Tale annotazione, infatti, comportava, attraverso il corretto inserimento dei dati relativi alla modalità della consegna e all’importo delle somme riscosse, la formalizzazione della presa in carico del denaro da parte di Poste Italiane S.p.A. per conto del cliente. A tale fase seguiva, inoltre, la successiva destinazione ai mittenti degli importi riscossi.
L’illecita condotta appropriativa da parte del ricorrente è avvenuta proprio nel corso della prima fase, in cui, come detto, dopo avere ottenuto la disponibilità delle somme riscosse, alterava i dati relativi alla operazione di consegna dei pacchi da parte dei portalettere.
3.3. Ad avviso del Collegio, sebbene la questione non sia stata posta dal ricorrente, deve, inoltre, escludersi la rilevanza della condotta di falsificazione sulla qualificazione giuridica del fatto.
Va, infatti, considerato che, sempre dalla ricostruzione fattuale risultante dalle sentenze di merito, emerge che il (omissis) aveva la disponibilità del denaro consegnatogli dai portalettere e da costoro riscosso dai destinatari dei pacchi, denaro che, a sua volta, egli avrebbe dovuto inviare ai mittenti dei pacchi. In tal caso, dunque, la condotta di falsificazione posta in essere dal ricorrente costituisce un mezzo per occultare l’atto di interversione del possesso e non già per conseguirlo.
La sentenza impugnata ha fatto buon governo della giurisprudenza di questa Corte, dal Collegio condivisa, secondo cui la distinzione tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell’art. 61, n. 9, cod. pen., va individuata con riferimento alle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo il peculato quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la truffa aggravata quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene.
Pertanto, nelle ipotesi di peculato le condotte di falsificazione documentale o gli artifici costituiscono un “post factum” non punibile in quanto compiuti per conseguire un risultato ulteriore finalizzato all’occultamento o al perfezionamento della materiale appropriazione della “res” (Sez. 6, n. 10569 del 05/12/2017, dep. 2018, Alfieri, Rv. 273395).
3.4. Sulla base di quanto sopra esposto deve pertanto ritenersi che integra il delitto di peculato la condotta dell’impiegato di Poste Italiane S.p.A. addetto alle lavorazioni interne del servizio di consegna dei pacchi in contrassegno, il quale, avendo per ragioni del suo servizio la disponibilità del denaro consegnatogli dai portalettere, si appropri dei relativi importi, spettanti ai mittenti dei pacchi consegnati.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 28 maggio 2024
Il Consigliere estensore Il Presidente
Debora Tripiccione Gaetano De Amicis
Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2024.