Ord. Pen., 41-bis: negato al detenuto il video-colloquio con la moglie e figlia residenti all’estero (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 17 giugno 2021, n. 23851).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROCCHI Giacomo – Presidente –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

Dott. CENTOFANTI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIRO Antonio – Rel. Consigliere –

Dott. TALERICO Palma – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) LEONARDO nato a (OMISSIS) il 19/09/19xx;

avverso l’ordinanza del 04/06/2020 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonio CAIRO;

lette la requisitoria del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Suprema Corte di cassazione che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

(OMISSIS) Leonardo impugnava innanzi al Magistrato di sorveglianza di Viterbo il provvedimento con cui l’Amministrazione penitenziaria non gli aveva consentito di effettuare video-colloqui con la moglie e la figlia di 11 anni, che erano entrambe residenti in Germania.

La richiesta si fondava sulla difficoltà oggettiva di organizzare il viaggio di trasferimento e sui costi connessi alla trasferta che gravavano esclusivamente sulla moglie.

Ciò posto aveva chiesto di sostituire il colloquio / visivo in presenza, con quello a distanza, tramite un video-collegamento che si sarebbe realizzato autorizzando l’accesso della donna e della figlia presso il Consolato italiano a Colonia.

L’indicato magistrato di sorveglianza rigettava l’istanza.

Il detenuto impugnava il provvedimento innanzi al Tribunale di sorveglianza di Roma che rigettava il reclamo.

Osservava che la stessa giurisprudenza di questa Corte di cassazione si era espressa negativamente sulla possibilità in questione, per i detenuti ristretti al regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen. e aggiungeva che lo scarso numero di colloqui di (OMISSIS) con la moglie e la figlia era frutto di una scelta personale del detenuto.

Il diritto di mantenere i rapporti familiari era assicurato, del resto, secondo il Tribunale adito, dalla possibilità di tenere colloqui visivi in presenza e dalla già autorizzata facoltà di fruire dei colloqui telefonici collegandosi dalla sede consolare di Colonia.

Il diritto al video-colloquio non era, al contrario, previsto dalla legge. Il detenuto aveva, dunque, azionato un mero interesse di fatto a coltivare le relazioni familiari, attraverso una diversa modalità dell’esercizio del diritto stesso.

D’altro canto il Consolato era un luogo non assimilabile all’Istituto di pena e non sarebbe stato assoggettabile alle disposizioni e alle prescrizioni eventualmente imposte dal magistrato di sorveglianza.

L’amministrazione non avrebbe potuto disporre di personale addetto alla vigilanza durante l’esecuzione e alle verifiche preliminari necessarie per lo svolgimento del colloquio.

2. Avverso il provvedimento indicato ricorre per cassazione (OMISSIS) Leonardo, con il ministero dell’avvocato Vianello (OMISSIS) e deduce la violazione ed erronea applicazione degli artt. 1, 15, 18 e 28 dell’Ord. pen e dell’art. 8 Cedu, oltre al vizio di motivazione.

Il ragionamento seguito dal Tribunale di sorveglianza non sarebbe stato condivisibile, poiché la Corte di cassazione con decisione assunta il 22/6/2020 aveva ammesso i colloqui a distanza anche per i detenuti in regime differenziato superando i nodi di perplessità di cui alla decisione nr. 16557/2019.

La stessa circolare del Dap 30/1/2019 aveva equiparato i colloqui in presenza a quelli visivi a distanza e le modalità di attuazione del colloquio stesso non sarebbero state di competenza del magistrato di sorveglianza ma del D.a.p.

Al di là della possibilità di registrare il colloquio, un operatore avrebbe potuto da remoto interrompere il collegamento in caso di necessità.

Erroneamente, dunque il Tribunale di sorveglianza aveva ritenuto che non esistesse un diritto ad effettuare i colloqui a distanza con video-chiamata e lo stesso d.a.p. il 2 ottobre 2017 era intervenuto affrontando e disciplinando il tema.

Lo stesso comitato dei ministri del Consiglio europeo il 4 aprile 2018 era intervenuto con una raccomandazione a tutela della genitorialità e il documento era stato trasmesso alle Direzioni delle case circondariali.

Il Tribunale, pertanto, non aveva considerato i principi indicati e ben avrebbe potuto utilizzare la procedura già seguita per assicurare il colloquio telefonico dal Consolato anzidetto, attivando in sostanza la rete internet del Ministero della Giustizia e i software che avrebbero permesso di assicurare lo svolgimento controllato dell’incontro da remoto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.

2. Un consolidato orientamento giurisprudenziale qualifica i colloqui visivi come un fondamentale diritto del detenuto che favorisce lo svolgimento della vita familiare e il mantenimento di relazioni con i più stretti congiunti, riconosciuto da numerose disposizioni dell’ordinamento penitenziario, quali gli artt. 28 L. 26 luglio 1975, n. 354, secondo cui «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare, o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie»; 18, comma 3, che riconosce «particolare favore (…) ai colloqui con i familiari»; 1, comma 6, e 15 Ord. pen. (i quali collocano i colloqui nella fase del trattamento, attribuendo loro rilevanza anche ai fini dell’attività di recupero e rieducazione del condannato); 61, comma 1, lett. a) e 73, comma 3, d.p.r. 30 giugno 2000, n. 230, il quale contempla il mantenimento del diritto ai colloqui con i familiari anche in caso di sottoposizione del detenuto alla sanzione disciplinare dell’isolamento con esclusione dalle attività in comune (cfr. Sez. 1, n. 7654 del 12/12/2014, dep. 2015, Trigila, in motivazione; Sez. 1, n. 47326 del 29/11/2011, Panaro, Rv. 251419; Sez. 1, n. 33032 del 18/4/2011, Solazzo, Rv. 250819; Sez. 1, n. 27344 del 28/5/2003, Emmanuello, Rv. 225011; Sez. 1, n. 22573 del 15/5/2002, Valenti, Rv. 221623; Sez. 1, n. 21291 del 3/5/2002, Floridia, Rv. 221688).

Si tratta di un diritto che presenta un rilievo costituzionale (cfr. gli artt. 29, 30 e 31 Cost. posti a tutela della famiglia e dei suoi componenti) e convenzionale (art. 8, Convenzione europea dei diritti dell’uomo: «ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare…», sicché le limitazioni all’esercizio di tale diritto devono essere previste dalla legge e devono essere giustificate da esigenze di pubblica sicurezza, di ordine pubblico e prevenzione dei reati, di protezione della salute, dei diritti e delle libertà altrui).

Consegue che il diritto ai colloqui è pacificamente riconosciuto anche ai ristretti sottoposti al regime differenziato dell’art. 41-bis Ord. pen., ai quali, pure, si applicano disposizioni restrittive in relazione al numero dei colloqui e alle relative modalità di svolgimento, senza che però possa impedirsi al detenuto di accedervi.

Così, l’art. 41-bis Ord. pen. prevede, al comma 2-quater, lett. b), che esso sia svolto in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti e che, in caso di mancata effettuazione di colloqui personali, possa essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell’istituto, solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di 10 minuti sottoposto, comunque, a registrazione.

Dunque, come per i detenuti ordinari, anche per quelli sottoposti al regime differenziato, la legge penitenziaria e il relativo regolamento di esecuzione stabiliscono che i contatti con i familiari si realizzino secondo due modalità fondamentali: in presenza degli interlocutori o con il mezzo del telefono.

3. Tuttavia, l’evoluzione tecnologica ha reso possibili nuove forme di comunicazione a distanza, consentendo, per quanto qui di interesse, il ricorso a modalità di collegamento audio e video che consentono di riprodurre, accanto alla voce dei conversanti, anche la loro immagine (cd. videochiamate). La presenza è da remoto.

Di fronte a tali novità tecnologiche, la giurisprudenza, anche di legittimità, ha assunto posizioni non univoche, talvolta ammettendo anche per i detenuti sottoposti al regime differenziato i colloqui visivi con i familiari mediante forme di comunicazione a distanza (Sez. 1, n. 7654 del 12/12/2014, dep. 2015, Trigila, Rv. 262417), talaltra accedendo alla soluzione negativa, in ragione della mancanza di un’espressa disciplina normativa che individuasse i presupposti della comunicazione a distanza e che dettasse una specifica regolamentazione delle modalità esecutive e delle relative coperture di spesa (Sez. 1, n. 16557 del 22/3/2019, CC Sassari, Rv. 275669).

Secondo la stessa Amministrazione penitenziaria le forme di comunicazione a distanza devono essere, comunque, ricondotte nell’alveo dei «colloqui visivi», dei quali condividono qualificazione giuridica e modalità esecutive, secondo quanto stabilito, per i detenuti inseriti nel circuito della cd. media sicurezza, dalla circolare DAP del 29 gennaio 2019, n. 0031246U, che ha emanato delle linee-guida rivolte a tutte le direzioni degli istituti penitenziari, con un manuale tecnico-operativo per agevolare la procedura telematica di video-chiamata tramite la piattaforma Skype for business.

Ne consegue che, per i detenuti sottoposti al regime ordinario, la relativa disciplina – per quanto riguarda l’individuazione degli organi competenti all’autorizzazione, il numero e la durata dei collegamenti audio-visivi, nonché le modalità di controllo è stata individuata in quella dettata dagli artt. 18 Ord. pen. e 37 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (cd. regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario).

La possibilità di consentire il ricorso, da parte dei detenuti, a questa particolare forma di comunicazione è stata condivisibilmente giustificata dall’Amministrazione penitenziaria con l’esigenza di «facilitare le relazioni familiari nelle strutture penitenziarie».

E’, infatti, noto che non di rado i congiunti del detenuto si trovino nella impossibilità di effettuare i colloqui, in ragione della distanza del luogo di restrizione; sicché comunicazione siffatta è stata individuata, dalla stessa Amministrazione, come uno strumento innovativo e idoneo a garantire l’effettività del diritto in questione.

Un’esigenza che il decreto legge 10 maggio 2020, n. 29, dettato per la gestione della cd. emergenza Covid-19, ha inteso parimenti perseguire attraverso la previsione della possibilità per i condannati, gli internati e gli imputati di svolgere “a distanza” i colloqui con i congiunti (o con gli altri soggetti cui hanno diritto), mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’Amministrazione penitenziaria e minorile.

Ovvero mediante corrispondenza telefonica, autorizzabile oltre i limiti dell’art. 39, comma 2, reg. esec. e dell’art. 19, comma 1, d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 121.

Una disciplina che, seppur temporalmente circoscritta, non distingue tra i detenuti cui è riferibile e che, dunque, ben potrebbe essere ritenuta applicabile anche al caso di coloro che siano assoggettati al regime penitenziario differenziato.

Le considerazioni che precedono, segnalano, perciò, da un lato, l’esistenza di un diritto alla realizzazione del colloquio e, dall’altro lato, si inseriscono nel contesto di una disciplina, certamente più restrittiva, disegnata per i detenuti sottoposti al regime differenziato, che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto compatibile con la Carta fondamentale, nei limiti in cui le deroghe al regime ordinario siano strettamente connesse a non altrimenti gestibili esigenze di ordine e di sicurezza (v. Corte cost., 5 dicembre 1997, n. 376).

Diversamente, le misure derogatorie del regime ordinario acquisterebbero un significato puramente afflittivo e non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale (così Corte cost., 14 ottobre 1996, n. 351 e, più recentemente, Corte cost., 5 maggio 2020, n. 97).

Anche la giurisprudenza di legittimità ha affermato che «quella della congruità tra misura e scopo costituisce una declinazione del principio di proporzione, rispetto al quale la stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo richiede che le misure incidenti sulle libertà, riconosciute dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo debbano, per poter essere considerate legittime, perseguire un fine legittimo; essere idonee rispetto all’obiettivo di tutela; risultare necessarie, non potendo essere disposte misure meno restrittive e parimenti idonee al conseguimento dello scopo; non realizzare un sacrificio eccessivo del diritto compresso» (Sez. 1, n. 43436 del 29/5/2019, Gallucci, non massimata).

4. Nel caso di specie, si trattava di bilanciare i principi anzidetti e le esigenze connesse a mantenere un sereno rapporto genitoriale con il minore oltre che una relazione familiare improntata, nei limiti del possibile, ad un modello di normalità e parimenti a contemperare finalità siffatta con la finalità di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Il Tribunale di sorveglianza, sia pur attraverso una discutibile affermazione dell’inesistenza di un diritto a effettuare i video-colloqui, attraverso strumenti tecnici per i soggetti ristretti nel regime indicato dall’art. 41-bis Ord. pen., ha spiegato, con motivazione immune da censure, le ragioni per le quali non sarebbe stato possibile assentire una forma di colloquio da attuare attraverso un video-collegamento.

Il contatto si sarebbe, invero, dovuto realizzare attraverso un programma software che avrebbe all’evidenza messo in comunicazione e reciproca visione la sede penitenziaria e il territorio straniero ove è allocato, appunto, il Consolato.

Trattandosi di video-colloquio da realizzare in parte all’estero, ciò avrebbe imposto un’organizzazione preliminare e preventiva del collegamento stesso che non poteva competere di fatto alla magistratura di sorveglianza.

Sarebbe stata necessaria, invero, una preliminare attività di organizzazione e di controllo del sito e dei soggetti che prendevano parte al contatto; facendo affidamento sulla collaborazione del personale dislocato all’estero, senza che vi fosse una reale e specifica normativa di regolamentazione.

D’altro canto gli operatori chiamati a intervenire sarebbero dovuti essere destinatari di una attività di formazione e istruzione di cui allo stato non disponevano.

Solo così si sarebbero garantite le formalità e gli adempimenti necessari e preliminari all’apertura del colloquio stesso.

Anche l’azione di vigilanza durante l’espletamento e quella di registrazione avrebbe dovuto permettere una integrale ripresa e visibilità dei soggetti ammessi all’interlocuzione, evitando che essi potessero uscire dal cono di ripresa del sistema video, così ponendo in essere forme gestuali di. comunicazione.

5. Pertanto, allo stato e al momento della decisione, il Tribunale con una motivazione immune da censure, ha ritenuto che la scelta di non procedere a colloquio in presenza non si potesse surrogare ipso facto, con quella dell’attivazione di colloqui da remoto, da eseguire in parte attraverso un collegamento all’estero, richiedendo quella tipologia di contatto “virtuale”, una serie di verifiche e approfondimenti, tali da salvaguardare pienamente la finalità ulteriore del tipo di restrizione, finalità connessa alla tutela delle esigenze sottese alla sicurezza interna ed esterna e a quelle d’ordine pubblico, strettamente collegate alla pericolosità sociale del detenuto.

Deve, dunque, escludersi che si possa autorizzare un video collegamento da eseguire in parte all’estero, senza aver assicurato in via preventiva ogni esigenza connessa al contenimento di pericolosità sociale del ristretto in regime di cui all’art. 41-bis L. 26 luglio 1975, n. 354. Né vale il richiamo alla già intervenuta attività di autorizzazione a effettuare dal Consolato a Colonia le telefonate con il detenuto.

E’ di tutta evidenza, invero, che il colloquio telefonico e quello visivo abbiano natura diversa e siano strutturalmente modalità d’incontro che richiedono differenti tutele e forme di controllo, in funzione del tipo di comunicazione che si attua attraverso gli stessi e nella logica di una salvaguardia del regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen.

La motivazione resa sul punto allo stato è da considerare immune dai rilievi mossi e tendenzialmente giustificata dalla particolarità dei controlli che il colloquio visivo invocato avrebbe richiesto.

6. Il ricorso va respinto. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in data 13 gennaio 2021.

Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.