REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere Rel. –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. CASO Francesco Giuseppe Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3621/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS) FRANCESCO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (OMISSIS) n. 81, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI (OMISSIS) che lo rappresenta e difende congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato STEFANO (OMISSIS);
-ricorrente-
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) n. 8, presso lo studio dell’avvocato ANDREA (OMISSIS) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 4418/2018, depositata il 21/11/2018, R.G.N. 3824/2017;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/03/2023 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO.
Rilevato che:
1. La Corte d’appello di Roma ha respinto il reclamo proposto da Francesco (OMISSIS), confermando la sentenza di primo grado con cui era stata rigettata l’impugnativa del licenziamento per giustificato motivo soggettivo al medesimo intimato dalla (OMISSIS) spa il 5.2.2016.
2. La Corte territoriale ha escluso la tardività del provvedimento di recesso comunicato con lettera raccomandata del 5.2.2016, il giorno stesso dell’audizione del lavoratore, e quindi nel rispetto del termine di sei giorni fissato dalla contrattazione collettiva; ha ritenuto che fossero dimostrate, in base alle prove raccolte, le condotte contestate al dipendente con due distinte lettere entrambe del 21.1.2016; in particolare, ha accertato, in merito alla prima contestazione, che il lavoratore si era rifiutato di approfondire lo studio dei sistemi operativi Open Stack e Red Hat, come richiestogli dal suo diretto superiore gerarchico, sebbene non impegnato in altre commesse; ha inoltre accertato che la formazione sollecitata non avrebbe comportato spese a carico del dipendente, né la necessità di usufruire di permessi o di sacrificare il proprio tempo libero, risultando infondate le giustificazioni addotte dal lavoratore a sostegno del proprio rifiuto; in ordine alla seconda contestazione, i giudici di appello hanno appurato che il lavoratore aveva tenuto un comportamento passivo e privo di spirito di collaborazione presso il cliente (OMISSIS) spa, rifiutando di svolgere attività di aggiornamento dei sistemi presso questa società sebbene rientranti nelle sue competenze sistemistiche generali; hanno giudicato la condotta di insubordinazione di rilevante gravità e la sanzione espulsiva quale misura proporzionata, anche in ragione della volontarietà del comportamento posto in essere dal dipendente.
3. Avverso tale sentenza Francesco (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La (OMISSIS) spa ha resistito con controricorso.
Considerato che:
4. Con il primo motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, concernente il formale inquadramento del lavoratore come “riparatore”, a cui è stato chiesto di operare come “sistemista”, con conseguente inesigibilità della pretesa datoriale in relazione alle concrete competenze del medesimo, valutabile quanto meno sotto il profilo della intensità del dolo o della colpa; inoltre, violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2106 e 2119 c.c. e vizio di motivazione per mancanza di un esplicito rifiuto del ricorrente di obbedire agli ordini datoriali.
5. Il motivo è inammissibile, anzitutto perché non specifica in che termini e in quali atti processuali di primo grado era stata posta la questione della estraneità della formazione richiesta rispetto all’inquadramento e lavoratore (a pag. 6 e ss. del ricorso per cassazione si richiamano unicamente le allegazioni fatte in sede di reclamo); inoltre, perché censura, nella sostanza, l’accertamento svolto dai giudici di merito, secondo cui le attività che il (OMISSIS) avrebbe dovuto svolgere presso il cliente (OMISSIS) rientravano nelle sue competenze sistemistiche generali, non risultando quindi l’inquadramento formale elemento decisivo; censura poi la valutazione fatta dalla Corte di merito sulla insubordinazione del dipendente, manifestata attraverso un atteggiamento passivo e privo di spirito di collaborazione ed il rifiuto di svolgere l’attività di aggiornamento dei sistemi presso il cliente (OMISSIS), così muovendosi all’esterno del perimetro di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (v. Cass., S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014).
6. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti quanto alla volontà espressa dal legale rappresentante della società di licenziare il lavoratore; inoltre, violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2106 e 2119 c.c. e vizio di motivazione.
Si assume che la sentenza impugnata ha omesso qualsiasi riferimento alla registrazione dell’incontro avvenuto il 13.1.2016 in cui il dott. (OMISSIS) manifestò l’intenzione di licenziare, con pretestuosi procedimenti disciplinari, il (OMISSIS); che avendo ignorato la dichiarata pretestuosità delle contestazioni, la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto provato, peraltro senza motivazione, il rifiuto del lavoratore di formazione e di attività presso il cliente, senza invece valutare la documentazione prodotta dal ricorrente sui costi che il medesimo avrebbe dovuto sopportare per la formazione.
Si censura, inoltre, il giudizio di proporzionalità espresso dai giudici di merito senza considerare l’inquadramento contrattuale del (OMISSIS), la sua anzianità di servizio (dieci anni), l’assenza di precedenti disciplinari, l’assenza di un esplicito rifiuto, il ruolo marginale e di mero affiancamento del medesimo presso il cliente DGS.
7. Anche questo motivo è inammissibile in quanto privo dei requisiti richiesti ai fini dell’art. 360 n. 5 c.p.c., concernente l’omesso esame di un fatto storico, determinato e avente valore decisivo.
Le critiche mosse dal ricorrente investono non fatti ma elementi probatori, per come sono stati in concreto valutati dai giudici di merito, peraltro plurimi e nessuno dei quali quindi decisivo (v. Cass. n. 28154 del 2018; Cass. n. 21439 del 2015), in una ipotesi di cd. doppia conforme, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.
8. Con il terzo motivo si censura la sentenza d’appello, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2106 e 2119 c.c. e degli artt. 9 e 10 del c.c.n.l. industria metalmeccanica privata, per erronea applicazione dell’art. 18, comma 4, St.
Si sostiene che la condotta addebitata al lavoratore doveva essere inquadrata nella fattispecie prevista dal c.c.n.l. di “lieve insubordinazione nei confronti dei superiori” oppure di chi “esegua negligentemente o con voluta lentezza il lavoro affidatogli”, entrambe punite con sanzione conservativa.
9. Neppure questo motivo può trovare accoglimento.
10. La Corte d’appello si è attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta causa, giustificato motivo soggettivo (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; n. 6901 del 2016; n. 21214 del 2009; n. 7838 del 2005) e di proporzionalità della misura espulsiva (cfr. Cass. 18715 del 2016; n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007) ed ha motivatamente valutato la gravità dell’insubordinazione realizzata dal dipendente, senza alcuna giustificazione, in modo persistente e volontario, in aperto contrasto con l’obbligo di diligenza e di esecuzione delle disposizioni dettate dai superiori gerarchici, anche riferite alle esigenze di formazione e accrescimento professionale necessarie per il proficuo impiego del dipendente.
Non vi è spazio per ritenere integrata la violazione di norme di diritto come denunciata e neanche risultano violate le disposizioni del contratto collettivo che prevedono, per la condotta di insubordinazione non lieve, la misura espulsiva, risultando il giudizio di proporzionalità coerente alla scala valoriale concordata dalle parti sociali.
11. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
12. La regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo, dichiarandosi esistenti i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto (Cass. U. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 2.3.2023.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2023.