Rapina pluriaggravata: le impronte papillari, raccolte sul luogo del reato, inchiodano l’imputato (Corte di Cassazione, Sezione VII Penale, Sentenza 7 aprile 2020, 11424).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SETTIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CERVADORO Mirella – Presidente

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. MANTOVANO Alfredo – Rel. Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Salvatore nato a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 30/10/2018 della CORTE APPELLO di PALERMO;

dato avviso alle parti;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Alfredo MANTOVANO.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La CORTE APPELLO di PALERMO, con sentenza in data 30/10/2018, confermava la sentenza con la quale il GUP del TRIBUNALE di TRAPANI in data 20/03/2018, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato (OMISSIS) Salvatore a pena di giustizia per il delitto di rapina pluriaggravata, commesso a Trapani il 12/08/2016, e in più revocava la sospensione della pena concessa a (OMISSIS) da altra sentenza dello stesso Tribunale.

2. (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, e deduce come unico motivo la carenza della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui non considera il tempo non breve trascorso fra il fatto illecito e la raccolta dell’impronta papillare, poi raffrontata con successo e identificata con quella del ricorrente.

3. Il ricorso è inammissibile.

4. Premesso invero che la pronuncia di secondo grado in realtà riprende l’iter motivazionale della sentenza del GUP, che a sua volta ha descritto in modo analitico lo svolgimento delle operazioni di prelievo e di comparazione delle impronte, la CORTE, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, non si è limitata a definire la doglianza in questione in termini di genericità, ma ha giustificato tale qualifica sottolineando come nell’appello non sia stata portata alcuna evidenza scientifica a favore di una presunta decadenza fisica delle impronte a distanza di qualche mese dal momento in cui esse sono state lasciate.

4.1. Ha quindi ricordato come nel ricorso non vi sia alcuna contestazione sull’esito dell’accertamento svolto, di sicura identità fra le impronte raccolte e quelle dell’imputato, il quale non ha fornito alcuna spiegazione sulla loro presenza nel luogo dove la polizia giudiziaria le ha rinvenute.

5. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla cassa delle ammende.

Così deciso il 24/09/2019.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.