Reati tributari. Può essere sequestrata, ai fini della successiva confisca, la prima casa dell’imprenditore (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 12 febbraio 2021, n. 5608).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. CERRONI Claudio – Rel. Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi proposti da

1. (OMISSIS) Giovanni, nato a (OMISSIS) il 26/08/1974;

2. (OMISSIS) Daniela, nata a (OMISSIS) il 14/09/1975;

avverso l’ordinanza del 18/05/2020 del Tribunale di Brindisi;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Claudio Cerroni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pasquale Fimiani, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito per i ricorrenti l’avv. Mario (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18 maggio 2020 il Tribunale di Brindisi, quale Giudice del riesame delle misure cautelari reali, ha rigettato il ricorso proposto da Giovanni (OMISSIS) e Daniela (OMISSIS), indagati per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, contro il decreto del 6 febbraio 2020 di convalida del sequestro – diretto ovvero per equivalente – del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi, avente ad oggetto denaro, titoli e quant’altro fino a concorrenza di euro 1.070.947,95 nella disponibilità dei ricorrenti e della s.r.l. (OMISSIS) (OMISSIS) International, di proprietà di entrambi gli indagati rispettivamente al 51 e al 49 per cento.

2. Avverso la predetta decisione gli indagati hanno proposto ricorso per cassazione, allegando tre motivi di impugnazione.

2.1. Col primo motivo i ricorrenti, invocando la violazione della norma sostanziale di cui all’art. 43 cod. pen. e di quella processuale di cui all’art. 125 cod. proc. pen., hanno lamentato l’elusività della tecnica motivazionale.

In particolare, rivestiva la natura di mera petizione di principio la descrizione – compiuta nel provvedimento impugnato – del meccanismo fraudolento e del rapporto in tesi intrattenuto dalla società, al fine di godere di indebiti vantaggi fiscali, con le ditte cd. cartiere evidenziate nell’ordinanza.

Al contempo, doveva rilevarsi la carenza di dolo nella commissione delle operazioni, atteso che per la società dei ricorrenti le stesse erano da considerare regolari.

In specie, infatti, non compariva nell’indagine il prezzo di mercato dei beni (pneumatici) acquistati con tali modalità, laddove l’esiguità del prezzo rappresentava invece uno degli indici sintomatici della cd. frode carosello.

Né la prova della colpevolezza poteva essere affidata a presunzioni, tanto più che dall’esame dei conti risultava che alla cartiera era stato corrisposto esattamente il medesimo importo recato dalla fattura.

In ragione di ciò, e della complessità della vicenda, necessariamente andava immaginata la presenza di concorrenti nel reato, dì che doveva semmai ricercarsi l’esistenza di un dolo di concorso, non essendo sufficiente la mera consapevolezza dell’esistenza di una cartiera.

La società non aveva così ricevuto profitto alcuno, avendo operato con la cartiera al pari di un operatore commerciale qualsiasi, come si evinceva dalle indagini esperite in Trieste ed infine trasmesse in parte in Brindisi, stante il preteso coinvolgimento dei ricorrenti e della loro società.

Siffatte questioni – in contrasto con i dati dei militari della Guardia di Finanza e del decreto di sequestro – non risultavano essere state esaminate dal Tribunale, che aveva in realtà inteso devolverle al merito.

Ciò non poteva non incidere sul fumus del reato, tant’è che la mancata risposta del Tribunale integrava il vizio di violazione di legge.

2.2. Col secondo motivo, in relazione alla posizione della ricorrente (OMISSIS), è stato osservato che faceva difetto la prova dell’indefettibile elemento soggettivo di adesione al proposito criminoso, e di consapevolezza di avere adottato una condotta di agevolazione di un reato altrui.

2.3. Col terzo motivo infine, rammentando che l’immobile sequestrato di proprietà della (OMISSIS) rappresentava prima e unica casa di abitazione (atteso che gli altri cespiti di proprietà erano rappresentati da frazioni di fabbricati rurali), parte ricorrente ha insistito per la non sequestrabilità del bene, richiedendo in subordine l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, atteso il contrasto, interno alla Sezione di riferimento tabellare, circa la possibilità di sottoporre a vincolo la prima casa ovvero l’unica casa di abitazione.

3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato.

4.1. In relazione complessivamente al primo profilo di censura, nella valutazione del fumus commissi delicti, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria, e plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato, pur senza sindacare la fondatezza dell’accusa (ad es. Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677).

Del pari, la Corte ricorda altresì che, per consolidata e risalente giurisprudenza, la previsione contenuta nell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., secondo la quale contro le ordinanze emesse a seguito di riesame ovvero di appello avverso i provvedimenti cautelari reali è ammesso il ricorso per cassazione per il solo vizio di violazione di legge, deve essere intesa nel senso che in tale nozione si devono comprendere, oltre agli errores in iudicando ed a quelli in procedendo, anche quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento impugnato del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e altro, Rv. 269656).

Tanto considerato, e rilevato che in tale accezione della violazione di legge non può essere neppure ricompreso il caso in cui la motivazione dell’ordinanza emessa nelle fattispecie sopra indicate sia caratterizzata dalla manifesta illogicità (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119), non è dato rilevare nell’ordinanza impugnata quel così radicale vizio della motivazione, tale da non consentire la ricostruzione del ragionamento che ha condotto il giudicante ad adottare il provvedimento contestato.

Infatti, per ritenerne la sussistenza sarebbe stato necessario che la motivazione in questione, pur graficamente esistente, fosse solo apparente, ridondando in quel caso il vizio dedotto nella violazione di legge per il tramite della violazione del precetto sancito dall’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., il quale, imponendo che tutti i provvedimenti giurisdizionali a contenuto decisorio siano corredati da idonea motivazione, non legittima la emissione di provvedimenti nel caso in cui la motivazione sia presente solo in modo formale ma non sostanziale.

Vero è, al riguardo, che il percorso motivazionale appare invero del tutto riconoscibile e certamente non apparente, laddove lo stesso ricorso – così dando conto di avere ben individuato la ratio decidendi dell’ordinanza – ha inteso semmai censurare le opzioni interpretative e decisionali seguite dal Tribunale nel valutare gli elementi documentali ed in genere il materiale di causa.

4.2. Ciò posto, l’indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anziché relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, non incide sulla configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta previsto dall’art. 2 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il quale, nel riferirsi all’uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo (Sez. 3, n. 4236 del 18/10/2018, dep. 2019, Di Napoli, Rv. 275692), in quanto oggetto di repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale (così Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, Moiseev, Rv. 278378).

In tal senso, l’ordinanza impugnata ha descritto gli estremi della cd. frode carosello cui in tesi la (OMISSIS) (OMISSIS) International ha pienamente partecipato traendone utile sotto forma di indebito risparmio di imposizione.

Al riguardo il Tribunale ha evidenziato quanto concretamente emerso (quantomeno in relazione alla documentazione anche telematica, e riferibile alle cd. cartiere, rinvenuta nella sede sociale della (OMISSIS), che dava altresì conto del diretto coinvolgimento di una di queste in frodi carosello, nonché delle conseguenti inibitorie amministrative) circa il consapevole illecito utilizzo di enti cd. cartiere, privi di qualsivoglia consistenza aziendale ed interposti fittiziamente nelle fisiologiche operazioni commerciali al solo fine di consentire l’evasione fiscale.

Tant’è che le considerazioni svolte in ricorso in realtà appaiono destinate nella loro totalità (anche in ordine al profitto conseguito e all’elemento psicologico del reato) a divenire le difese volte a contrastare nella sede debita l’impostazione accusatoria.

4.3. In relazione al secondo motivo di impugnazione, è stato correttamente evocato il principio in forza del quale è configurabile il concorso nel reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 di colui che – pur essendo estraneo e non rivestendo cariche nella società a cui si riferisce la dichiarazione fraudolenta – abbia, in qualsivoglia modo, partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito all’amministratore della società, sottoscrittore della dichiarazione fraudolenta, di avvalersi della documentazione fiscale fittizia (Sez. 3, n. 14815 del 30/11/2016, dep. 2017, Palmiero, Rv. 269650).

In proposito, l’impugnazione ha in particolare eccepito l’insussistenza dell’elemento psicologico.

Vero è infatti che, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata; ne consegue quindi che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purché esso emerga ictu oculi (Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e altro, Rv. 266896; cfr. Sez. 3, n. 26007 del 05/04/2019, Pucci, Rv. 276015).

Ed in specie – data anche la fisiologica contiguità della ricorrente col coniuge legale rappresentante della società, di cui la stessa ricorrente è tra l’altro titolare di quote pari al 49 per cento – detta condizione di carenza certamente non si evince con nettezza in questa sede.

4.4. Per quanto concerne l’ultimo motivo di ricorso, questa Corte non ha motivo di discostarsi da quanto già osservato da Sez. 3, n. 8995 del 07/11/2019, dep. 2020, Piscopo, Rv. 278275, secondo cui, in tema di reati tributari, il limite alla espropriazione immobiliare previsto dall’art. 76, comma 1, lett. a), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g), del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98), opera solo nei confronti dell’Erario, per debiti tributari, e non di altre categorie di creditori, riguarda l’unico immobile di proprietà, e non la “prima casa” del debitore, e non costituisce un limite all’adozione né della confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, né del sequestro preventivo ad essa finalizzato (in specie appunto si trattava della confisca per equivalente dell’abitazione dell’indagato, quale profitto del delitto di cui all’art. 2 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74).

In proposito, infatti, detta disposizione trova applicazione esclusivamente nel processo tributario e pertanto impedisce il sequestro preventivo dell’abitazione dell’indagato solo in tale ristretto ambito (cfr. Sez. 5, n. 48616 del 20/09/2018, M., Rv. 274145).

Sì che, in definitiva, va ribadito il principio dell’inapplicabilità del limite dell’espropriazione nel procedimento penale per reati tributari, anche in ragione del fatto che, a norma dell’art. 2740 cod. civ., il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, e che le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge. Che, in specie, non sussiste.

5. L’impugnazione si presenta quindi complessivamente infondata.

6. Ne consegue il rigetto dei ricorsi, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 20/10/2020.

Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2021.

SENTENZA – copia conforme -.