Richiesta della sospensione condizionale della pena: inammissibilità (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 1 aprile 2025, n. 12513).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta da

Dott. Luca Ramacci – Presidente –

Dott. Aldo Aceto – Consigliere –

Dott. Alessio Scarcella – Consigliere –

Dott. Alberto Galanti – Relatore –

Dott. Giuseppe Noviello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso presentato da

(OMISSIS) (OMISSIS), nato ad (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona del 15/04/2024;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Alberto Galanti;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dr. Pasquale Fimiani, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

PREMESSO IN FATTO

1. Con sentenza del 15/04/2024, la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale di Ancona del 17/06/2022, che aveva condannato (OMISSIS) (OMISSIS) alla pena mesi 7 di arresto in relazione alle contravvenzioni di cui agli articoli 256, comma 1, lettera b), e comma 4, d. Igs. 152/2006, e 13 d.lgs. 209/2003.

2. Avverso tale ordinanza propone ricorso il (OMISSIS).

2.1. Con il primo motivo di ricorso lamenta violazione dell’articolo 131-bis cod. pen., ingiustamente denegato dai giudici di merito. A carico del ricorrente sussistono due precedenti, ma sono risalenti nel tempo, per cui ben si poteva misconoscere l’abitualità del reato.

2.2. Con il secondo motivo, lamenta l’erroneo mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che dovevano essere concesse alla luce dell’atteggiamento ampiamente collaborativo dell’imputato.

2.3. Con il terzo motivo lamenta mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di sospensione condizionale della pena.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo, reiterativo di analoga doglianza coltivata con l’atto di appello, è inammissibile.

2.1. L’art. 131-bis, cod. pen prevede la «non punibilità del fatto quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale».

In particolare, la norma (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, n.m.), oltre allo sbarramento del limite edittale (la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena), richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento.

Il primo degli «indici-criteri» (così li definisce la relazione allegata allo schema di decreto legislativo) appena indicati, ossia la particolare tenuità dell’offesa, si articola a sua volta in due «indici-requisiti» (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la «modalità della condotta» e «l’esiguità del danno o del pericolo», da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, intensità del dolo o grado della colpa, nonché alla luce della condotta successiva al fatto, a seguito della modifica introdotta dal d. Igs. n. 150 del 10/10/2022).

La nozione di comportamento abituale, secondo la giurisprudenza di legittimità, ricorre quando l’autore ha commesso almeno altri due illeciti oltre quello preso in esame – non può essere assimilata a quella della recidiva, che opera in un ambito diverso ed è fondata su un distinto apprezzamento, con la conseguenza che assumono rilievo anche reati commessi successivamente a quello per cui si procede.

Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici-requisiti», sussista l’«indice-criterio» della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quello della «non abitualità» del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.

2.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale e il primo giudice hanno ritenuto di escludere l’ipotesi di cui all’articolo 131-bis cod. pen. sia in ragione dell’esorbitante numero di autovetture stoccate presso la propria area di attività (70, rispetto ai 30 autorizzate), sia in presenza di precedenti violazioni in materia di inquinamento ambientale, come risulta dal certificato penale. Tale motivazione fa buon governo dei principi dianzi stabiliti e non presenta profili di criticità argomentativa.

Il motivo è quindi inammissibile in quanto meramente reiterativo di doglianze già motivatamente disattese dai giudici del merito.

E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, Furlan, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217).

3. il secondo motivo è manifestamente infondato.

3.1. Questa Corte ritiene che le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale «concessione» del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena” (cfr., Sez. 2, n. 14307 del 14.3.2017, Musumeci; Sez. 2, n. 30228 del 5.6.2014, Vernucci); il loro riconoscimento non costituisce, pertanto, un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (v. ex multis sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, De Crescenzo, Rv. 281590; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, n.m.).

Inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737).

Non è neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma è sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (sez. 1, n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419).

Rileva altresì la Corte che «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non é più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489 — 01; Sez. 1, Sentenza n, 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986 – 01)».

3.2. Nel caso in esame, a pagina 7, la Corte territoriale esclude il riconoscimento delle circostanze atipiche in ragione della gravità dei fatti e del negativo giudizio sulla personalità dell’imputato, quale risulta dal certificato penale, elementi sufficienti a giustificare il diniego.

4. Il terzo motivo è inammissibile.

4.1. Il (OMISSIS) ha goduto del beneficio della pena sospesa disposta con sentenza del 26/01/2017 del Tribunale di Ancona, irrevocabile il 08/02/2018, in relazione alla condanna a mesi uno di reclusione per il reato di falsità ideologica in certificato pubblico.

Lo stesso è stato inoltre condannato con decreto penale dell’11/12/2014 alla pena di euro 650,00 di ammenda, in riferimento al reato di gestione non autorizzata di rifiuti. Egli quindi avrebbe potuto, astrattamente, godere di una seconda sospensione condizionale della pena, come richiesto con l’atto di appello, in modo, tuttavia, assolutamente generico e postulatorio.

Sul punto va evidenziato che le Sezioni Unite della Corte hanno chiarito (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376 – 01) che «in tema di sospensione condizionale della pena, fermo l’obbligo del giudice d’appello di motivare circa il mancato esercizio del potere- dovere di applicazione di detto beneficio in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito».

In motivazione, la Corte ha precisato che (il corsivo è del Collegio) «un primo indirizzo interpretativo assume che il giudice di appello non è tenuto a concedere di ufficio la sospensione condizionale della pena né a motivare specificamente sul punto, quando l’interessato si limiti, nell’atto di impugnazione e in sede di discussione, ad un generico e assertivo richiamo dei benefici di legge, senza indicare alcun elemento di fatto potenzialmente idoneo a fondare l’accoglimento della richiesta (Sez. 7, n. 16746 del 13/01/2015, Ciaccia, Rv. 263361; Sez. 4, n. 1513 del 03/12/2013, Shehi, Rv. 258487; Sez. 4, n. 43113 del 18/09/2012, Siekierska, Rv. 253641; Sez. 6, n. 30201 del 27/06/2011, Ferrante, Rv. 256560; Sez. 6, n. 7960 del 26/01/2004, Calluso, Rv. 228468; Sez. 5, n. 41126 del 24/09/2001, Casamassima, Rv. 220254, in tema di circostanze attenuanti generiche).

Secondo un altro orientamento, invece, il giudice di appello deve, sia pure sinteticamente, dare ragione del concreto esercizio, positivo o negativo, del potere-dovere attribuitogli dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., qualora ricorrano le condizioni previste dalla legge per l’applicazione della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, tanto più quando una delle parti (anche il pubblico ministero nell’interesse dell’imputato) ne abbia fatto esplicita richiesta, con riferimento a dati di fatto astrattamente idonei al suo accoglimento.

Ne consegue la legittimazione e l’interesse dell’imputato a dolersi, in sede di legittimità, del mancato esercizio di tale potere-dovere da parte del giudice di appello, purché siano indicati dal ricorrente gli elementi di fatto in base ai quali il giudice avrebbe potuto ragionevolmente e fondatamente esercitano (Sez. 3, n. 47828 del 12/10/2017, Esposito, Rv. 271815; Sez. 3, n. 3856 del 4/11/2015, Gamboni, Rv. 266138; Sez. 5, n. 2094 del 23/10/2009, Coluccio, Rv. 245924; Sez. 5, n. 37461 del 20/09/2005, Zoffoli, Rv. 232323; Sez. 6, n. 32966 del 13/07/2001, Colbertardo, Rv. 220729)».

Secondo entrambi gli orientamenti, pertanto, incombe sull’imputato, che chieda l’applicazione del beneficio, allegare (in sede di appello o di ricorso per cassazione) le circostanze di fatto in base alle quali si potesse ragionevolmente ritenere che il giudice avesse l’obbligo di provvedere e motivare l’eventuale diniego.

L’atto di appello chiedeva l’applicazione del beneficio senza «vestirne» le relative ragioni; né, del resto, l’odierno ricorso va oltre la mera censura della mancanza di motivazione, nulla adducendo in relazione agli elementi di fatto che consentirebbero di ritenere il Bensi meritevole del beneficio, con conseguente genericità della doglianza.

Va pertanto affermato il principio secondo cui la richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena deve essere accompagnata, a pena di inammissibilità, dalla specificazione delle ragioni che consentono di sostenere una prognosi favorevole di astensione dalla commissione di futuri delitti, a maggior ragione nel caso in cui, trattandosi di seconda concessione, la richiesta deve essere accompagnata dall’offerta di talune delle condotte di cui al primo comma dell’articolo 165 cod. pen..

4.2. La Corte territoriale, inoltre, come visto nel paragrafo che precede, ritiene il (OMISSIS) persona pericolosa in ragione dei suoi precedenti penali, sì da ritenerlo non idoneo al riconoscimento di benefici. Tale motivazione, implicitamente, può sostituire il diniego di concessione del beneficio invocato dal ricorrente, peraltro in modo assolutamente generico, soprattutto trattandosi di seconda concessione, in cui esso deve essere subordinato a taluna delle condotte di cui al primo comma dell’articolo 165 cod. proc. pen..

Il Collegio richiama, in proposito, quella giurisprudenza – con cui il ricorrente non si confronta – secondo cui «le ragioni del diniego dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale possono ritenersi implicite nella motivazione con cui il giudice neghi le circostanze attenuanti generiche richiamando i profili di pericolosità del comportamento dell’imputato, dal momento che il legislatore fa dipendere la concessione dei predetti benefici dalla valutazione degli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, Abbate, Rv. 280244 — 05; Sez. 3, n. 26191 del 28/03/2019, Lamaj, Rv. 276041 – 01)».

Il motivo è pertanto doppiamente inammissibile.

5. Il ricorso, in conclusione, non può che essere dichiarato inammissibile.

Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento.

Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 13/02/2025

Il Consigliere estensore                                                                                                        Il Presidente

Alberto Galanti                                                                                                                      Luca Ramacci

Depositato in Cancelleria, oggi 1° aprile 2025.

SENTENZA