Scudetto tricolore sulla finta Vespa prodotta in Cina: evidente l’inganno per i compratori e legittimo il sequestro (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 18 febbraio 2022, n. 5847).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Presidente –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere –

Dott. FILIPPINI Stefano – Consigliere –

Dott. PARDO Ignazio – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MALLAWA TANTRIGE DAMMIKA MERSALINUS KRISHANTA PERERA nato il 02/07/19xx;

avverso l’ordinanza del 19/10/2021 del TRIB. LIBERTA’ di LIVORNO;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. IGNAZIO PARDO;

lette le conclusioni del PG, Dott.ssa ASSUNTA COCOMELLO che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con ordinanza in data 19 ottobre 2021, il tribunale della libertà di Livorno rigettava l’istanza di riesame avanzata nell’interesse di MALLAWA TANTRIGE DAMMIKA MERSALINUS KRISHANTA PERERA avverso il provvedimento del G.I.P. dello stesso tribunale datato 13 settembre 2021 che aveva disposto il sequestro preventivo di n. 54 ciclomotori prodotti in Cina ed importati dalla società Alza Italia srl in quanto relativi ai delitti di cui agli artt. 474, 517 e 648 cod.pen..

1.2 Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’indagato, tramite il proprio difensore, che, con distinti motivi qui riassunti ex art. 173 cod.proc.pen. deduceva:

– violazione di legge ex art. 606 lett. c) cod.proc.pen. in relazione all’art. 125 cod.proc.pen., omessa motivazione su questioni decisive sottoposte al tribunale del riesame in relazione alla sussistenza del reato di cui all’art. 474 cod.pen.; in particolare, si esponeva come, ai fini della valutazione della contraffazione, il tribunale avesse valorizzato la consulenza di parte ed una sentenza resa in separato procedimento in relazione a beni differenti, omettendo la valutazione della consulenza della difesa dell’ing. Baldi che escludeva qualsiasi ipotesi di contraffazione punibile, .sottolineava la natura di marchio debole della Vespa ed evidenziava le difformità con il veicolo Alza che per tali caratteristiche doveva ritenersi del tutto estraneo all’ambito di protezione;

– violazione di legge ex art. 606 lett.c) cod.proc.pen., mancanza assoluta di motivazione in relazione alla sussistenza del fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 517 cod.pen. posto che, l’apposizione dello scudetto italiano, era da ricollegarsi esclusivamente al marchio distintivo di Alza Italia senza alcuna idoneità decettiva;

– violazione di legge ex art. 606 lett.b) cod.proc.pen. quanto all’art. 517 cod.pen. in relazione all’art. 4, comma 49, legge 350/2003 trattandosi di norma di carattere speciale;

– violazione di legge ex art. 606 lett.b) cod.proc.pen. quanto all’art. 517 cod.pen. in relazione all’art. 4, comma 49 e 49 bis, legge 350/2003 trattandosi al più di semplice fallace indicazione circa l’origine italiana del prodotto punito da tale norma speciale disciplinante appunto la tutela del made in Italy.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere respinto.

Il primo motivo è proposto per aspetti non consentiti; ed infatti deve essere ricordato che in tema di provvedimenti cautelari reali il ricorso per cassazione è consentito solo per violazione di legge ex art. 325 cod. proc. pen. e che tale vizio ricomprende, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, sia gli ‘errores in iudicando‘ o ‘in procedendo‘, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692).

Orbene, nel caso in esame non sussiste alcuna violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti della fattispecie di cui all’art. 474 cod.pen., poiché, il Tribunale del riesame reale, ha spiegato con argomenti logici e conducenti per quale ragione ritenere che il sequestro disposto ha quale scopo quello di impedire l’aggravamento delle conseguenze del reato; a tale conclusione il giudice del riesame perveniva sia in forza di una consulenza redatta dal curatore della proprietà intellettuale del marchio Vespa sia in considerazione di un approfondito apprezzamento personale, compiuto dallo stesso collegio, su dati fotografici comparativi e motivatamente esplicitato a pagina 2 della motivazione.

Con la conseguenza che, nel caso in esame, non ricorre alcuno dei vizi radicali della motivazione denunciabili con ricorso poiché gli argomenti espressi sono certamente idonei a fornire sostegno alla decisione.

2.2 Quanto al secondo, terzo e quarto motivo con i quali si lamenta l’insussistenza del fumus in relazione all’art. 517 cod.pen. anche in relazione al combinato disposto con le norme dettate in materia di tutela del made in Italy, gli stessi appaiono infondati; ed invero va al proposito ricordato come ai sensi dell’art. 4 comma 49 della legge n. 350 del 2003 l’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell’articolo 517 del codice penale.

Costituisce falsa indicazione la stampigliatura “made in Italy” su prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa Europea sull’origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis.

Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio.

A sua volta, l’art. 4 citato, comma 49 bis, prevede espressamente che “Costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa Europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto.

Per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale.

Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 10.000 ad Euro 250.000″.

Orbene, in diritto non v’è dubbio che residua la rilevanza penale dell’uso indebito dell’indicazione “made in Italy”, per i prodotti non interamente disegnati, progettati, lavorati e confezionati in Italia, che risultino indebitamente contrassegnati con etichette idonee a presentare il prodotto come interamente realizzato in Italia, qualunque siano la lingua o i simboli impiegati.

E proprio in tale senso, è stato affermato che integra la condotta punibile quella realizzata:

a) mediante la stampigliatura “made in Italy” su prodotti e merci non originari dall’Italia, ai sensi della normativa Europea sull’origine, che integra la fattispecie di “falsa indicazione” dell’origine ed è punibile ai sensi dell’art. 517 cod.pen. (Sez. 4, n. 25030 del 26 aprile 2017, Menna, Rv. 270005; Sez. 3, n. 54521 del 14/06/2016, Pigini, Rv. 268716; Sez. 3, n. 39093 del 24/04/2013, Benigni, Rv. 257615);

b) mediante l’utilizzo di un’etichetta del tipo “100% made in italy”, “100% Italia”, “tutto italiano” o “full made in Italy”, per contrassegnare prodotti non interamente disegnati, progettati, lavorati e confezionati nel nostro Paese, costituendo la stessa un’ipotesi aggravata di “falsa indicazione” dell’origine, punibile, ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 135 del 2009, art. 16, comma 4, e dell’art. 517 c.p., con le pene previste da quest’ultima disposizione, aumentate di un terzo, che rende questa previsione speciale rispetto alla precedente, di portata generale (Sez. 3, n. 28220 del 05/04/2011, Fatmir, Rv. 250639);

c) mediante “l’uso di segni, figure e quant’altro” che induca il consumatore a ritenere, anche in presenza dell’indicazione dell’origine o provenienza estera della merce, che il prodotto sia di origine italiana, trattandosi esemplificativamente dei casi in cui sul prodotto sono apposti segni e figure tali da oscurare, fisicamente e simbolicamente, l’etichetta relativa all’origine, rendendola di fatto poco visibile e non individuabile all’esito di un esame sommario del prodotto, realizzandosi in questo caso la fattispecie di “fallace indicazione”, punibile ai sensi dell’art. 517 c.p. (Sez. 3, n. 19746 del 09/02/2010, P.M. in proc. Follieri, Rv. 247485);

d) mediante l’uso ingannevole del marchio aziendale da parte dell’imprenditore titolare o licenziatario, in modo “da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana ai sensi della normativa Europea sull’origine”, a meno che i prodotti importati o esportati non siano accompagnati da indicazioni “evidenti” sull’esatta origine geografica o sulla loro provenienza estera ovvero il titolare del marchio o il suo licenziatario si impegnino ad apporre tali indicazioni nella fase di commercializzazione.

Orbene, proprio l’applicazione dei suddetti principi al caso in esame deve fare ritenere, contrariamente alla prospettazione contenuta in ricorso, la rilevanza dei fatti anche ex art. 517 cod.pen.; ed invero, la rilevanza penale ricorre perché sui beni che l’imputato aveva importato dall’estero (Cina) vi era un riferimento al “Made in Italy” e comunque uno scudetto richiamante la produzione nazionale e di tale circostanza il tribunale ha reso conto con le affermazioni espresse a pagina 2 della motivazione in relazione alla capacità ingannevole dell’uso della predetta dicitura.

E ciò ancor più ove si sottolinei che il riferimento alla avvenuta produzione in Italia era apposto su un ciclomotore che richiamava i dati caratteristici tipici della Vespa, prodotto certamente nazionale, usurpandone la proprietà intellettuale così che la motivazione del tribunale del riesame richiamante la capacità ingannevole delle predette diciture appare esente dalle lamentate censure.

3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi infondata; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Roma, 4 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria, Roma 18 febbraio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.