Tassa sui telefonini in vigore: non spetta il rimborso (Corte di Cassazione, Sezione Tributaria Civile, Sentenza 21 giugno 2022, n. 19897).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Rel. Consigliere –

Dott. CANDIA Ugo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13199/2015 R.G. proposto da

2M Servizi S.r.l., in persona del suo legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Alessandro (OMISSIS), con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del suo Direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ope legis domicilia;

– intimata –

e sul ricorso proposto da

Agenzia delle Entrate, in persona del suo Direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ope legis domicilia;

– ricorrente in via incidentale –

contro

2M Servizi S.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1795/29/14, depositata il 12 novembre 2014, della Commissione tributaria regionale del Veneto;

udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 12 aprile 2022, dal Consigliere dott. Liberato Paolitto;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Fulvio Troncone, che ha chiesto rigettarsi il ricorso principale.

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza n. 1795/29/14, depositata il 12 novembre 2014, la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, così pronunciando in integrale riforma della decisione di prime cure che diversamente aveva accolto l’impugnazione del silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso proposta dalla contribuente, istanza avente ad oggetto la tassa sulle concessioni governative (in breve TCG) corrisposta, in relazione al periodo dal settembre 2007 all’agosto 2010, per contratto di abbonamento di utenza telefonica mobile.

Il giudice del gravame ha ritenuto, in sintesi, che la legittimità del prelievo tributario aveva trovato conferma in una pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 9560 del 2 maggio 2014), oltreché nella disposizione interpretativa di cui al d.l. n. 4 del 2014, art. 2, c. 4, conv. in I. n. 50 del 2014, e che, però, proprio il «necessitato intervento delle Sezioni Unite della S.C. e del legislatore con norma di interpretazione autentica» giustificassero, tra le parti, l’integrale compensazione delle spese del giudizio.

2. – 2M Servizi S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di otto motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso articolando, a sua volta, un motivo di ricorso incidentale condizionato.

Fissati all’udienza pubblica del 12 aprile 2022, i ricorsi sono stati trattati in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal d.l. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. in I. n. 176 del 2020, e dal sopravvenuto d.l. n. 228 del 2021, art. 16, c. 1, conv. in I. n. 15 del 2022, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale, che ha depositato conclusioni scritte, e dei difensori delle parti, che non hanno fatto richiesta di discussione orale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso principale è articolato sui seguenti motivi.

1.1 – Il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.p.r. n. 641 del 1972, art. 1 e tariffa allegata, art. 21, al d.l. n. 4 del 2014, art. 2, c. 4, conv. in I. n. 50 del 2014, ed al d.lgs. n. 259 del 2003, art. 160, nonché la richiesta di sospensione del giudizio in relazione all’art. 267 TFUE; deduce, in sintesi, la ricorrente l’illegittimità delle citate disposizioni nazionali, – volte a identificare il presupposto impositivo della tassa col contratto di abbonamento di utenza di telefonia mobile, abbonamento così equiparato alla licenza di esercizio di stazione radioelettrica, – per violazione delle direttive comunitarie di settore, nn. 5/99, 20/02 e 22/02, ed in ragione della (così) disposta sottoposizione delle apparecchiature terminali di telecomunicazione (utenze cellulari) ad un provvedimento amministrativo, denominato autorizzazione generale, che predetermina il contenuto del contratto stesso, – oltretutto distinguendo le utenze cellulari in funzione della ricorrenza, o meno, di un abbonamento, – e che si pone in contrasto col principio di libera circolazione, e messa in servizio, delle apparecchiature terminali di telecomunicazione (telefonia mobile).

1.2- Il secondo motivo, formulato anch’esso ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al c .p.r. n. 641 del 1972, art. 1 e art. 21 della tariffa allegata, al d.lgs. n. 259 del 2003, art. 2, c. 2, lett. b), ed all’art. 97 Cost.

La ricorrente, – che pur insta per la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite della Corte, qualora non accolta l’istanza formulata ai sensi dell’art. 267 TFUE, – deduce, in sintesi, che la gravata sentenza ha ritenuto sussistente il presupposto impositivo, – in violazione del principio di legalità, – nonostante l’abrogazione del d.p.r. n. 156 del 1973, art. 318, ad opera del d.lgs. n. 259 del 2003, art. 218, e la conseguente separazione delle fonti di disciplina delle stazioni radioelettriche (d.lgs. n. 259, cit.) e dei telefoni cellulari (d.lgs. n. 269 del 2001), con conseguente abrogazione dello stesso d.m. n. 33 del 1990, art. 3, c. 2.

In ragione, dunque, dell’evoluzione normativa della disciplina di settore:

– il d.lgs. n. 259 del 2003, art. 2, c. 2, lett. b), ha escluso dal suo ambito di applicazione le «apparecchiature contemplate dal decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, che attua la direttiva 1999/5/CE …» (id est i telefoni cellulari);

– il riferimento, contenuto nell’art. 160 dello stesso d.lgs. n. 259 del 2003, – che ha riprodotto il contenuto del previgente art. 318, cit., – non può, dunque, che essere ascritto alla (sole) stazioni radioelettriche (non escluse dalla specifica disciplina), non anche alla telefonia mobile;

– la disposizione di cui al d.m. n. 33 del 1990, art. 3, c. 2, è stata tacitamente abrogata, per incompatibilità, dal d.lgs. n. 269 del 2001;

– la voce tariffaria di cui al d.p.r. n. 641 del 1972, art. 21, – che ha riguardo all’art. 318, cit., oggetto di rinvio formale, ed all’art. 3, c. 2, d.m. n. 33, cit., – risulterebbe, così, priva di oggetto, siccome venuto meno il (previgente e) necessario riferimento alla licenzia di esercizio, quale atto amministrativo costituente presupposto della tassa sulle concessioni governative (d.p.r. n. 641, art. 1 cit.).

1.3 – Col terzo motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente ripropone la denuncia di violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 641 del 1972, art. 1 e tariffa allegata, art. 21, assumendo, in sintesi, che sin dal 2003, – a seguito dell’abrogazione del d.p.r. n. 156 del 1973, art. 318, disposta dal d.lgs. n. 259 del 2003, art. 218, – la tassa non risultava più applicabile alle «apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione» previste dal d.l. n. 151 del 1991, art. 3, conv. in I. n. 202 del 1991 (che aveva, per l’appunto, introdotto la voce n. 131 della tariffa, allegata al d.p.r. n. 641 del 1972); ciò in ragione delle successive modifiche intervenute in ordine alla (originaria) disciplina della tassa, quali conseguenti alla riformulazione stessa della tariffa allegata al d.p.r. n. 641, cit., e per effetto delle quali il presupposto impositivo si radicava, per l’appunto, nella (sola) disposizione di cui all’art. 318, cit. (che aveva riguardo agli impianti radioelettrici) e che, ad ogni modo, costituiva presupposto necessario (e non solo alternativo) della stessa tassa.

1.4 – Il quarto motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., ripropone anch’esso la denuncia di violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 641 del 1972, art. 1 e tariffa allegata, art. 21, sull’assunto che la previsione tariffaria di cui all’art. 21, cit., deve ritenersi abrogata, per incompatibilità e, da ogni modo, per ridisciplina generale dell’intera materia, ad opera del d.lgs. n. 259 del 2003, disciplina, quest’ultima, incentrata sull’istituto dell’autorizzazione generale che, per l’appunto, esclude la necessità di un provvedimento autorizzatorio (puntuale) in ragione della liberalizzazione della fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica.

1.5 – Il quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., espone anch’esso la denuncia di violazione e falsa applicazione delle disposizioni normative (d.p.r. n. 641 del 1972 art. 1 e tariffa allegata, art. 21) oggetto dei precedenti motivi di ricorso, sotto il profilo, questa volta, del difetto di presupposto impositivo che (in tesi) non sarebbe più riconducibile ad un provvedimento amministrativo (art. 1, cit.) siccome il contratto di abbonamento non più equiparabile a (ovvero sostitutivo di) una licenza (art. 21, cit.).

Si assume, dunque, che, – giustificandosi, in origine, la tassazione delle «apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione» per l’attività amministrativa di controllo tecnico preventivo da parte del Ministero che, a norma del d.m. n. 33 del 1990, art. 3, aveva ad oggetto la verifica tecnica dell’apparecchiatura terminale e la sua omologazione, – a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 269 del 2001 (recante attuazione della direttiva 1999/5/CE), – che non prevede più alcun controllo preventivo finalizzato all’immissione in commercio dei telefoni cellulari e che contempla il libero uso degli apparecchi cellulari («la facoltà di utilizzo di dispositivi o di apparecchiature terminali di comunicazione elettronica senza necessità di autorizzazione generale»), – non v’era più alcuna identità tra il potere autorizzatorio (rilascio della licenza di esercizio) previsto per le stazioni radioelettriche (d.lgs. n. 259 del 2003, art. 160) ed il mero controllo (postumo) previsto dal d.lgs. n. 269 del 2001, cit., così che, – la disciplina dettata dal d.lgs. n. 269/2001 e dalla direttiva 1999/5/CE ponendosi in rapporto di specialità con quella di cui al d.lgs. n. 259/2003, – la persistente vigenza dell’art. 160, cit., – che aveva sostituito la previgente disposizione di cui al d.p.r. n. 156 del 1973, art. 318, – non poteva che riferirsi alle stazioni radioelettriche, escluse dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 269 del 2001, solo per queste risultando ancora prevista la licenza di esercizio e l’attività amministrativa da parte dell’Amministrazione pubblica.

1.6 – Anche il sesto motivo di ricorso, sempre ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione delle disposizioni normative (d.p.r. n. 641 del 1972 art. 1 e tariffa allegata, art. 21) oggetto dei precedenti motivi di ricorso, sotto il profilo della violazione dei principi generali dell’ordinamento tributario in relazione all’identificazione del presupposto impositivo correlato al pagamento di una tassa.

Spiega, quindi, la ricorrente che, – implicando la tassa l’erogazione di un servizio pubblico ovvero l’emanazione di un provvedimento amministrativo, – a seguito dell’entrata in vigore delle discipline, di derivazione comunitaria, concernenti le telecomunicazioni (d.lgs. n. 259, cit.), non sussiste più né un servizio pubblico, riservato alla gestione dello Stato, né, conseguentemente, un provvedimento amministrativo di natura concessoria, con conseguente venir meno del collegamento della tassa all’adozione di un atto amministrativo quale necessariamente implicato dal d.p.r. n. 641 del 1972, art. 1.

1.7 – Col settimo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione al d.p.r. n. 641 del 1972, art. 1 e tariffa allegata, art. 21, al d.l. n. 4 del 2014, art. 2, c. 4, conv. in I. n. 50 del 2014, ed al d.lgs. n. 259 del 2003, art. 160, deducendo, in sintesi, che erroneamente il giudice del gravame aveva riconosciuto la natura meramente interpretativa dell’art. 2, c. 4, cit., cui, per converso, avrebbe dovuto attribuirsi efficacia innovativa con conseguente sua irretroattività.

Premesso che il fondamento della disposizione interpretativa rispondeva, – piuttosto che a motivi imperativi di interesse generale, – alla finalità di «rimuovere un potenziale rischio di carattere finanziario» (correlato all’accoglimento dei ricorsi pendenti davanti al giudice tributario), – e, così, di orientare, a favore dell’amministrazione statuale, l’esito dei contenziosi, – assume, in sintesi, la ricorrente che, nel suo specifico contenuto precettivo, detta disposizione assumeva una portata innovativa in quanto, – equiparando le «stazioni radioelettriche» (di cui al d.p.r. n. 156 del 1973, art. 318) alle «apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione» (di cui al d.m. n. 33 del 1990), – finiva con l’attribuire alla disposizione di cui al d.lgs. n. 259 del 2003, art. 160, un oggetto che ampliava l’àmbito di applicazione di detto decreto [dal quale rimanevano escluse le «apparecchiature contemplate dal decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, che attua la direttiva 1999/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 1999»; art. 2, c. 1, lett. b)], con conseguente ripristino, in tema di disciplina del telefoni cellulari, del «corpus di norme che regolamenta l’attività amministrativa prevista per le stazioni radioelettriche», in funzione del rilascio della licenza di esercizio.

1.8 – Con l’ottavo motivo di ricorso, infine, la ricorrente prospetta l’illegittimità costituzionale del d.p.r. n. 641 del 1972, tariffa allegata, art. 21, in relazione tanto all’art. 23 Cost., – avuto riguardo al (già) denunciato difetto di base normativa della tassa, – quanto all’art. 3 Cost., qui con riferimento all’ingiustificata, ed irragionevole, disparità di trattamento tra utilizzatori del servizio di telefonia mobile per contratto di abbonamento e, rispettivamente, per acquisto di carta telefonica prepagata.

2. – Con un solo motivo di ricorso incidentale condizionato, ai sensi dell’art. 360, c. 1, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione al d.p.r. n. 641 del 1972, art. 1.3, c. 2, deducendo, in sintesi, che il giudice del gravame aveva omesso di pronunciare sul motivo di appello che involgeva l’eccepita decadenza di controparte dal rimborso, avuto riguardo agli eseguiti versamenti ulltratriennali rispetto all’istanza di rimborso presentata in data 5 ottobre 2010.

3. – Il ricorso principale, – dal cui esame consegue l’assorbimento del ricorso incidentale, – è destituito di fondamento, e va senz’altro disatteso, in tutte le sue prospettazioni, che vanno congiuntamente esaminate perché strettamente connesse.

3.1 – Il d.p.r. n. 641 del 1972, art. 1, dispone che «I provvedimenti amministrativi e gli altri atti elencati nell’annessa tariffa sono soggetti alle tasse sulle concessioni governative nella misura e nei modi indicati nella tariffa stessa.»; e l’art. 21 di detta Tariffa, – nel testo risultante dal d.m. 28 dicembre 1995 (che recava «Approvazione della nuova tariffa delle tasse sulle concessioni governative»), test:o che, peraltro, veniva recepito dal d.l. n. 331 del 1993, art. 61, conv. in I. n. 427 del 1993, che, a sua volta, già aveva riformulato la corrispondente voce tariffaria, – contempla, per l’appunto, l’applicazione della tassa in relazione a «Licenza o documento sostitutivo per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione (art. 318 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 e art. 3 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 151, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 202)».

3.2 – Le Sezioni Unite della Corte hanno già condivisibilmente statuito che l’abrogazione del d.p.r. n. 156 del 1973, art. 318 ad opera del d.lgs. n. 259 del 2003, art. 218, non ha fatto venire meno l’assoggettabilità dell’uso del telefono cellulare alla tassa governativa di cui all’art. 21 della tariffa allegata al d.p.r. n. 641 del 1972, in quanto la relativa previsione è stata riprodotta nell’art. 160 del d.lgs. n. 259 cit. (secondo il cui disposto «1. Presso ogni singola stazione radioelettrica per la quale sia stata conseguita l’autorizzazione generale all’esercizio deve essere conservata l’apposita licenza rilasciata dal Ministero. 2. Per le stazioni riceventi del servizio di radiodiffusione il titolo di abbonamento tiene luogo della licenza.»); deve, pertanto, escludersi, – come anche desumibile dalla norma interpretativa introdotta con l’art. 2, comma 4, del d.l. 24 gennaio 2014, n. 4, conv. con modif. in legge 28 marzo 2014, n. 50, che ha inteso la nozione di stazioni radioelettriche come inclusiva del servizio radiomobile terrestre di comunicazione, – una differenziazione di regolamentazione tra telefoni cellulari e radio-trasmittenti, risultando entrambi soggetti, quanto alle condizioni di accesso, al d.lgs. 259 cit:. (attuativo, in particolare, della direttiva 2002/20/CE, cosiddetta direttiva autorizzazioni), e, quanto ai requisiti tecnici per la messa in commercio, al d.lgs. 5 settembre 2001, n. 269 (attuativo della direttiva 1999/5/CE), sicché il rinvio, di carattere non recettizio, operato dalla regola tariffaria deve intendersi riferito attualmente all’art. 160 della nuova normativa (Cass. Sez. U., 2 maggio 2014, nn. 9560 e 9561).

3.3 – Le Sezioni Unite, in particolare, hanno rimarcato che:

– «l’analisi della normativa, tanto delle direttive, quanto della normativa di attuazione, porta a concludere che, da un lato, il codice delle comunicazioni (D.Lgs. n. 259 del 2003) non si occupa solo delle comunicazioni radio, ma anche delle comunicazioni telefoniche, disciplinando le une e le altre sul piano delle condizioni di accesso; dall’altro, il D.Lgs. n. 269 del 2001, non si occupa solo dei telefoni, ma anche delle radio trasmittenti, disciplinando gli uni e le altre sul piano dei requisiti tecnici necessari per la messa in commercio»; così che «non appare giustificato sostenere sul piano normativo che la tassa di concessione governativa sui “telefonini” sia da ritenere abrogata per il solo fatto che il codice delle comunicazioni (cui deve oggi intendersi riferito il rinvio al D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, originariamente contenuto nella tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972) non disciplini più l’uso dei terminali radiomobili di comunicazione (cioè i telefoni)»;

– difatti «la direttiva n. 5/99, sulle specifiche tecniche degli apparecchi terminali, accomuna le radio trasmittenti ed i telefoni in molte sue previsioni, mentre la direttiva n. 21/02 (“autorizzazioni”), a bene intendere il combinato disposto dell’VIII Considerando e dell’art. 1, comma 4, non dice affatto che essa “non si applica” agli apparecchi previsti dalla direttiva n. 5/99 (cioè i telefoni), ma dice una cosa diversa: e cioè che “restano ferme” le previsioni della direttiva n. 5/99. Pertanto tra radio e telefoni non c’è una distinzione in relazione alla fonte regolatrice, bensì solo in relazione all’attività: nel senso che la direttiva n. 5/99 ed il Decreto n. 269 del 2001 si occupano delle specifiche tecniche sia delle radio che dei telefoni; mentre la direttiva n. 21/02 ed il Decreto n. 259 del 2003 si occupano delle reti e delle relative autorizzazioni di esercizio sia per le radio, sia per i telefoni»;

– il contenuto della disposizione di cui al d.p.r. n. 156 del 1973, art. 318, cit., è stato «integralmente trasfuso nell’art. 160 della nuova normativa, che, come la precedente, prevede le “stazioni radioelettriche” soggette a licenza d’uso (in sostituzione della quale può aver titolo l’abbonamento): sicchè il riferimento contenuto nel citato art. 21 della tariffa allegata D.P.R. n. 641 del 1972, all’art. 318 del Codice postale deve intendersi attualmente riferito al D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 160, stante il carattere “formale” e non “recettizio” del rinvio operato dalla regola tariffaria.»;

– «Il D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 318, e il D.M. 13 febbraio 1990, n. 33, art. 3, in combinato disposto, costituiscono poi la base normativa sulla quale il legislatore, con il D.L. 13 maggio 1991, n. 151, art. 3, convertito con modificazioni con L. 12 luglio 1991, n. 202, delibera di assoggettare alla tassa di concessione governativa l’uso del “telefono cellulare”, confermando, con tale scelta normativa, di riconoscere le citate disposizioni come legittima fonte regolatrice non solo delle “stazioni radioelettriche”, ma anche dei “telefoni cellulari” (medianti i quali è realizzato il servizio radiomobile pubblico terrestre di conversazione).»; – «attraverso un continuum normativo – D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 318, D.M. 3 agosto 1985 (regolamento concernente il servizio radiomobile terrestre pubblico veicolare), D.M. 13 febbraio 1990, n.33, (Regolamento concernente il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione), D.L. 13 maggio 1991, n. 151, art. 3, – la disciplina dei “telefoni cellulari”, con riferimento all’applicabilità della tassa di concessione governativa, emerge come necessitato sviluppo (anche in relazione all’evoluzione delle tecnologie della comunicazione “mobile”) della disciplina delle “stazioni radioelettriche” (della quale si manifestano in tal modo un “contenuto implicito” estrapolato dal legislatore per adeguare le scelte normative del “vecchio” Codice postale alla nuova più complessa realtà del sistema delle comunicazioni “radiomobili”).

Un continuum normativo che poggia sul pilastro legittimante rappresentato dal Codice postale, dal quale traggono la loro forza in successione i D.M. 3 agosto 1985, e D.M. 13 febbraio 1990, n. 33, che del primo esplicitano contenuti più adeguati all’evoluzione tecnica dei sistemi di comunicazione, producendo un insieme di norme che sono fatte poi proprie definitivamente dalla scelta legislativa operata con il D.L. n. 151 del 1991, convertito con modificazioni con L. 12 luglio 1991, n. 202.»; – la conferma dell’intentio legis di escludere un’abrogazione della tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile (in abbonamento) rinviene, poi, «da una delle norme di chiusura del “codice”, ossia dall’art. 219, il quale stabilisce che “dall’attuazione del Codice non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato”.

Si tratta non solo di una mera disposizione finanziaria, bensì di una vera e propria chiave interpretativa della “liberalizzazione” attuata con riferimento al sistema delle comunicazioni radiomobili. In altri termini le “innovazioni” a quest’ultimo apportate con il “codice” debbono essere lette come “neutre” sotto il profilo dei costi “pubblici”, nel senso che da esse non può derivare alcun “costo aggiuntivo” per il bilancio dello Stato: e nella nozione di “costo aggiuntivo” è naturalmente inclusa una eventuale riduzione (o, addirittura, totale eliminazione) degli introiti prodotti per il bilancio pubblico da una tassa, che prima di tali “innovazioni” era ritenuta sicuramente applicabile.

Sicchè un’interpretazione delle norme del d.lgs. n. 259 del 2003 da cui si facesse discendere un’attuale inapplicabilità della tassa di concessione governativa sui telefonini prevista dal previgente sistema (che, come si è visto, culmina nelle previsioni di cui al D.L. n. 151 del 1991, art. 3), sarebbe incompatibile con la disposizione di cui all’art. 219, del medesimo codice e, quindi, non rappresentativa dell’effettiva realtà normativa.»;

– in un contesto connotato da «contrastanti posizioni esegetiche», il legislatore è, poi, intervenuto con disposizione (il d.l. n. 4 del 2014, art, 2, c. 4, cit.) di natura strettamente interpretativa che ha reso «esplicito il significato implicito di una precedente disposizione di legge» ed ha eliminato «un contrasto interpretativo, imponendo in modo obbligatorio per tutti un dato significato della norma “interpretata”, tra i diversi possibili.»;

– detta disposizione, – alla cui stregua «Per gli effetti dell’articolo 21 della Tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, le disposizioni dell’articolo 160 del Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, richiamate dal predetto articolo 21, si interpretano nel senso che per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione.», – come reso esplicito (anche) dall’esame dei lavori parlamentari, ha assicurato «forza di legge ad un esito interpretativo della norma interpretata cui, come si è visto, era già possibile pervenire indipendentemente dall’intervento del legislatore.

Può, quindi, dirsi che ricorrono nella specie “le condizioni di ammissibilità dell’interpretazione autentica – desumibili dall’articolo 11 delle “preleggi”, cui si aggiungono ora quelle, comunque non di rango costituzionale, imposte dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 1 (comma 2) e 3 (comma 1), statuto del contribuente – quali il contenuto non inequivoco della norma interpretata e la riconducibilità dell’esegesi prescelta dal legislatore ad una delle alternative prima ammissibili” (Cass. n. 4616 del 2005; v. anche Cass. nn. 7315 del 2003, 3423 del 2000).»;

– la previsione di una tassa, correlata al contratto di abbonamento al servizio di telefonia mobile, non può, da ultimo, ritenersi in contrasto con le direttive comunitarie sulla libertà di comunicazione, e in particolare con la Direttiva 2002/20/CE,, c.d. direttiva autorizzazioni, così come affermato dalla stessa Corte di Giustizia, in quanto la tassa, che ha ad oggetto l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione, «non ha, come base imponibile, la fornitura di reti e di servizi di comunicazione elettronica e … l’uso privato di un servizio di telefonia mobile da parte di un abbonato non presuppone la fornitura di una rete o di un servizio di comunicazione elettronica, ai sensi della direttiva autorizzazioni» (CGUE, 12 dicembre 2013, causa C 355/13, Umbra Packaging S.r.l., punti 17 ss.; CGUE, 27 giugno 2013, causa C-71/12, Vodafone Malta ltd. e Mobisle Communications ltd., punti 18 ss.; CGUE, 15 dicembre 2010, procedimento C 492/09, Agricola EEsposito S.r.l., punti 31 ss.).

3.4 – La successiva giurisprudenza della Corte si è, quindi, uniformata alle conclusioni in discorso (v., ex plurimis, Cass., 8 maggio 2019, n. 12153; Cass., 22 novembre 2018, n. 30244; Cass., 22 marzo 2016, n. 5668; Cass., 17 settembre 2014, n. 19632; Cass., 30 luglio 2014, n. 17386) ed ha evidenziato (anche) la manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale (anche qui) sollevati dalla ricorrente, – essendosi rilevato che, insussistente il difetto di base normativa del prelievo tributario (art. 23 Cost.), in ragione del continuum normativo (già) rimarcato dalle Sezioni Unite, e della stessa adozione della disposizione di interpretazione autentica (d.l. n. 4 del 2014, art. 2, c. 4, cit.), la fruizione di servizi di telefonia mobile in base ad un rapporto contrattuale di abbonamento «presenta caratteristiche giuridiche e fattuali non sovrapponigli all’acquisto di un certo tempo di conversazione telefonica mediante la ricarica di una carta prepagata», posto che «l’utente nel primo caso gode del servizio continuativamente e si obbliga al pagamento di un canone periodico, mentre nel secondo caso acquista un pacchetto di minuti di conversazione telefonica», così che detta differenza «obbiettiva tra le due situazioni esclude l’irragionevolezza della diversità del relativo trattamento tributario, con riferimento al parametro di cui all’art. 3 Cost.» (così Cass., 2 dicembre 2014, n. 25522, cit.; Cass., 17 settembre 2014, n. 19632, cit.), – oltrechè la legittimità del prelievo tributario in contestazione alla luce della disciplina eurounitaria.

3.5 – Sotto quest’ultimo profilo, difatti, la Corte di Giustizia, – anche nel procedimento che parte ricorrente ha dedotto con la sua richiesta di sospensione del giudizio (ai sensi dell’art. 267 TFUE), – ha ribadito, – con più estese implicazioni, – il suo precedente orientamento interpretativo, statuendo che:

«1) Le direttive:

– 1999/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 1999, riguardante le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazione e il reciproco riconoscimento della loro conformità, segnatamente il suo articolo 8, – 2002/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime (direttiva «accesso»), – 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva «autorizzazioni»), come modificata dalla direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, – 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva «quadro»), e – 2002/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva «servizio universale»), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, vanno interpretate nel senso che non ostano a una normativa nazionale relativa all’applicazione di una tassa, quale la tassa di concessione governativa, in forza della quale l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, nel contesto di un contratto di abbonamento, è assoggettato a un’autorizzazione generale o a una licenza nonché al pagamento di detta tassa, in quanto il contratto di abbonamento sostituisce di per sé la licenza o l’autorizzazione generale e, pertanto, non occorre alcun intervento dell’amministrazione al riguardo;

2) L’articolo 20 della direttiva 2002/22, come modificata dalla direttiva 2009/136, e l’articolo 8 della direttiva 1999/5 vanno interpretati nel senso che non ostano, ai fini dell’applicazione di una tassa quale la tassa di concessione governativa, all’equiparazione a un’autorizzazione generale o a una licenza di stazione radioelettrica di un contratto di abbonamento a un servizio di telefonia mobile, che deve peraltro precisare il tipo di apparato terminale di cui si tratta e l’omologazione di cui è stato oggetto;

3) In un caso come quello oggetto dei procedimenti principali, il diritto dell’Unione, quale risulta dalle direttive 1999/5, 2002/19, 2002/20, come modificata dalla direttiva 2009/140, 2002/21 e 2002/22, come modificata dalla direttiva 2009/136, nonché dall’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere interpretato nel senso che non osta a un trattamento differenziato degli utenti di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, a seconda che essa sottoscrivano un contratto di abbonamento a servizi di telefonia mobile o acquistino tali servizi in forma di carte prepagate eventualmente ricaricabili, in base al quale solo i primi sono assoggettati a una normativa nazionale come quella che istituisce la tassa di concessione governativa» (così CGUE, 17 settembre 2015, causa C-416/14, Fratelli De Pra SpA, SAIV SpA).

3.5.1 – La Corte di giustizia ha quindi rimarcato, in particolare, che:

– la normativa nazionale «non impone alcun intervento dell’amministrazione tale da costituire un ostacolo alla libertà di circolazione di dette apparecchiature e da violare la direttiva 1999/5» (punto 38);

– l’applicazione della tassa ai contratti di abbonamento, piuttosto che alle apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, «non interferisce con la vendita di dette apparecchiature terminali, che possono essere vendute senza obbligo di sottoscrivere un contratto di abbonamento in Italia e, comunque, essa non si applica nemmeno alle apparecchiature terminali provenienti da altri Stati membri, sicché non costituisce neppure un ostacolo alla libera circolazione di tali apparecchiature» (punto 39);

– come già statuito dalla Corte, le direttive 2002/20 e 2002/21 non si applicano a una tassa quale la TCG, relativa all’uso di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre in quanto «tale tassa non ha, come base imponibile, la fornitura di reti e di servizi di comunicazione elettronica e … l’uso privato di un servizio di telefonia mobile da parte di un abbonato non presuppone la fornitura di una rete o di un servizio di comunicazione elettronica ai sensi della direttiva 2002/20 (ordinanza Agricola Esposito, C-492/09, EU:C:2010:766, punto 35).» (punto 40);

– «un’imposta il cui fatto generatore non sia collegato alla procedura di autorizzazione generale che consente di accedere al mercato dei servizi di comunicazioni elettroniche, bensì all’uso dei servizi di telefonia mobile forniti dagli operatori e che in definitiva ricade sull’utente dei medesimi, non rientra nell’ambito di applicazione» della direttiva 2002/20, art. 12 (punto 41);

– «un’autorizzazione generale, come quella oggetto dei procedimenti principali, alla quale è equiparato il contratto di abbonamento, è intesa unicamente a fungere da fatto generatore della TCG. Essa, pertanto, non ha lo scopo di autorizzare la fornitura di servizi di reti e non si pone in contrasto con gli obblighi derivanti da tale direttiva.» (punto 42);

– «dato che le direttive reti e la direttiva 1999/5 non disciplinano l’applicazione di una tassa come quella oggetto dei procedimenti principali e che non risulta …. che detta normativa attui il diritto dell’Unione», non trova applicazione, nella fattispecie, l’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali (punto 53).

In sintesi, dunque, la Corte di Giustizia ha escluso ogni profilo di illegittimità comunitaria della tassa sui contratti di abbonamento per utenza di telefonia mobile in ragione (proprio) del porsi la tassa al di fuori del campo di applicazione delle direttive unionali (ora oggetto di rifusione nella direttiva 1972/2018, dell’11 dicembre 2018, istitutiva del codice europeo delle comunicazioni elettroniche).

4. – Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (cl.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1 quater).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.000,00, oltre alle spese prenotate a debito;

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2022.

SENTENZA – originale -.