Guardia di Finanza: verifica fiscale presso la sede senza informare gli ex soci la cui verifica poteva avere effetti positivi/negativi (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 3 febbraio 2020, n. 2408).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23121/2018 R.G. proposto da:

(OMISSIS) Luigi, (OMISSIS) Vincenzo e (OMISSIS) Salvatore, rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Angelo (OMISSIS), ed elettivamente domiciliati in (OMISSIS), alla via (OMISSIS), n. x, presso lo studio legale del predetto difensore;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 516/07/2018 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, depositata il 05/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/09/2019 dal Consigliere Dott. Lucio LUCIOTTI.

Rilevato che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA, IRPEG ed IRAP emesso con riferimento all’anno di imposta 2003 a carico della (OMISSIS) s.r.l. (successivamente denominata (OMISSIS) s.r.l. unipersonale) e nei confronti dei ricorrenti, quali soci della predetta società e coobbligati della stessa per avere trasferito le quote societarie possedute a tale Nunzio (OMISSIS), con la sentenza in epigrafe indicata la CTR della Sicilia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo congruamente motivato l’avviso di accertamento in punto di responsabilità dei medesimi quali coobbligati della società per le imposte accertate a carico di quest’ultima.

2. Avverso tale statuizione i contribuenti ricorrono per cassazione sulla base di tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio. all’esito del quale i ricorrenti depositano memoria.

Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il difetto assoluto di motivazione, in violazione degli artt. 111 Cost., 132 cod. proc. civ. e 36 d.lgs. n. 546 del 1992, sostenendo che nella sentenza impugnata «nessuna motivazione si evidenzia sulla eccezione di violazione del diritto di difesa proposta dai ricorrenti».

2. Il motivo è inammissibile per erronea deduzione del vizio di legittimità prospettato, avendo la ricorrente dedotto come vizio motivazionale (ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) quello che all’evidenza è un error in procedendo, denunciabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.

2.1. Peraltro, con riferimento alle «eccezioni» in ordine alle quali la sentenza impugnata sarebbe carente di motivazione, il vizio dedotto maschera, dietro lo schermo del vizio motivazionale, altro tipo di violazione, che non è neppure quello di difetto assoluto di motivazione, sviluppato nell’esposizione del mezzo, bensì la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sulle questioni poste dai contribuenti in appello.

3. Al riguardo va però ricordato il principio giurisprudenziale in base al quale «Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, comma 1, c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.

Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante [come nel caso di specie] o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge» (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018, Rv. 648018).

Orbene, nel ricorso in esame non viene fatto alcun riferimento alla nullità della decisione derivante da un’omessa statuizione, nella specie neppure dedotta.

4. Le difese svolte dalla controricorrente inducono a precisare che nel caso in esame è pacifico che i ricorrenti si erano costituiti nel giudizio di appello, con «tempestive controdeduzioni, con le quali riepilogavano e trascrivevano i motivi di ricorso e della memoria illustrativa per opporre all’atto di appello dell’Ufficio: […] B. violazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000» (come si legge a pag. 7 del controricorso).

Ne consegue che nella specie i giudici di appello avrebbero dovuto ritenere devoluta alla loro cognizione la questione relativa alla violazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, su cui i ricorrenti erano rimasti soccombenti in primo grado, e ciò alla stregua del principio affermato da Cass. n. 2752 del 2012, secondo cui nel processo tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 54), per la proposizione dell’appello incidentale non occorrono formule sacramentali, essendo sufficiente che dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni formulate dall’appellato nelle controdeduzioni in sede di costituzione risulti in modo non equivoco la volontà di ottenere la riforma della decisione (Cass. 15501/2010).

Inoltre, il gravame incidentale è regolato dalle stesse forme prescritte per le controdeduzioni dell’appellato (art. 54, comma 2, e art. 23) e la questione riproposta nelle controdeduzioni era logicamente diretta ad ottenere sul punto nient’altro che la riforma della decisione di primo grado.

Diversamente, il rilievo contenuto nelle controdeduzioni dei contribuenti, che su quel motivo erano rimasti soccombenti, sarebbe privo di senso giuridico, il che non è avendo chiaro intento di gravame incidentale.

Dal che discende che i giudici di appello avrebbero dovuto pronunciare sulla predetta questione ed i ricorrenti denunciare l’omissione per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e non per vizio di motivazione ex n. 5 della citata disposizione.

5. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 12, commi 2 e 7, della legge n. 212 del 2000, sostenendo che la CTR «non ha esaminato la circostanza che la GdF, al momento dell’accesso per la verifica fiscale presso la sede della (OMISSIS) s.r.l. (ex (OMISSIS) s.r.I.) non ha informato gli ex soci nei cui confronti la verifica poteva avere effetti positivi/negativi», né aveva loro notificato il processo verbale di constatazione successivamente redatto dalla G.d.F.

7. Con il terzo motivo deducono la violazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, lamentando l’omessa allegazione all’avviso di accertamento loro notificato del processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F.

8. I motivi sono inammissibili, per diretta derivazione dall’inammissibilità del primo motivo, non essendo rinvenibile nella sentenza impugnata alcuna statuizione sulle questioni poste nei due mezzi in esame.

9. Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile ed i ricorrenti condannati al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26/09/2019.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.