Il limite all’espropriazione immobiliare in tema di reati tributari (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 25 febbraio 2022, n. 6765).

REPUBBLICA ITALIANA

A NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LIBERATI Giovanni – Presidente –

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere –

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere –

Dott. CORBO Antonio – Consigliere –

Dott. DI STASI Antonella – Rel. Consigliere –

ha pronunciato il seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Antonio, nato a Portoferraio il 01/09/19xx;

avverso l’ordinanza del 28/07/2021 del Tribunale di Livorno;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;

lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Pietro Molino, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 28/07/2021, il Tribunale di Livorno rigettava la richiesta di riesame, proposta nell’interesse di (OMISSIS) Antonio, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in data 16/06/2021 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno in relazione ai reati di cui agli artt. 2, 5, comma 1-bis, 8, 11 del d.lgs 74/2000.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) Antonio, a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati.

Con il primo motivo deduce violazione degli artt. 321, secondo comma, 322- ter, primo comma cod.pen. e 12-bis d.lgs 74/2000 in relazione all’art. 76, comma 1° lett. a) del d.P.R. n. 602/1973, come modificato dall’art. 52, comma 1, lett. g), d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98).

Argomenta che il Tribunale aveva disatteso il motivo di riesame volto a dedurre l’impossibilità di assoggettare la prima casa a sequestro preventivo finalizzato alla confisca, limitandosi a richiamare il più recente orientamento di legittimità e senza confrontarsi con il diverso orientamento che era stato richiamato a sostegno delle doglianze difensive e che si fondava sulla affermazione che l’art 52, comma 1, lett. g), d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98), che vieta all’agente della riscossione, in specifiche ipotesi e condizioni, di procedere all’espropriazione della “prima casa” del debitore trova applicazione anche in caso di confisca disposta in relazione a reato tributario.

Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 321, secondo comma, cod.proc.pen. e 12-bis d.lgs 74/2000.

Argomenta che la casa di abitazione sottoposta a sequestro era stata destinata il 6 maggio 1997 “a far fronte ai bisogni della famiglia”, con la costituzione di un fondo patrimoniale, con conseguente vincolo di impignorabilità relativa, complementare a quello posto dall’art. 76, comma 1° lett. a) del d.P.R. n. 602/1973 per i debiti tributari.

Chiede, poi, sollevarsi questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 12-bis del d.lgs 74/2000 e 321, secondo comma, cod.proc.pen. in relazione all’art. 76, comma 10 lett. a) del d.P.R. n. 602/1973, come modificato dall’art. 52, comma 1, lett. g), d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98) e 170 cod.civ. nella parte in cui consente la confisca per equivalente dell’unica casa di abitazione, tanto più se costituita in fondo patrimoniale, per violazione degli artt. 2, 3, 29 e 47 della Costituzione.

3. Si è proceduto in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, in base al disposto dell’art. 23, comma 8 d.l. 137/2020, conv. in I. n. 176/2020.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Il Tribunale, nel disattendere la deduzione difensiva qui riproposta, ha correttamente affermato, in conformità al il principio di diritto affermato da questa Corte, che, in tema di reati tributari, il limite alla espropriazione immobiliare previsto dall’art. 76, comma 1, lett. a), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g), d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98), opera solo per debiti nei confronti dell’Erario e non di altre categorie di creditori, riguarda l’unico immobile di proprietà e non costituisce un limite all’adozione della confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, e del sequestro preventivo ad essa finalizzato (Sez. 3 n. 30342 del 16/06/2021, Rv. 282022 – 01; Sez. 3, n. 8995 del 07/11/2019, dep.05/03/2020, Rv. 278275 – 01).

Va, ulteriormente, osservato che il limite posto dal legislatore all’espropriazione immobiliare non riguarda la “prima casa”, ma “l’unico immobile di proprietà del debitore”.

Si tratta di un concetto evidentemente diverso da quello di “prima casa”, perché ha a che vedere con la consistenza complessiva del patrimonio del debitore e non semplicemente con la qualificazione del singolo immobile oggetto di pignoramento.

Si è rimarcato, inoltre, che la disposizione in questione non fissa un principio generale di impignorabilità, perché si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco per debiti tributari e non a quelle promosse da altre categorie di creditori per debiti di altro tipo (cfr. in merito a tale profilo anche Sez.5 n. 48616, del 20/09/2018, Rv. 274145 – che ha ribadito che la norma in esame trova applicazione solo nell’ambito del diritto tributario e potrà pertanto precludere il sequestro preventivo solo in tale ristretto ambito – e Sez.3, n. 5608 del 2021, non massimata).

Si è anche osservato, la disposizione in questione non può trovare applicazione in relazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, perché l’oggetto della confisca è il profitto del reato e non il debito verso il fisco.

E i due concetti devono essere tenuti distinti, perché il profitto di delitti consistenti nell’evasione dell’imposta per mezzo di omessa, infedele o fraudolenta 3 •Ri‘ ( ‘I” dichiarazione o di omesso versamento, che può essere oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non comprende né le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione (Sez. 3, n. 17535 del 06/02/2019, Rv. 275445; Sez. 3, n. 28047 del 20/01/2017, Rv. 270429), né gli interessi maturati in favore dello Stato (Sez. 3, n. 40358 del 05/07/2016, Rv. 268329); mentre il debito verso il fisco è sempre comprensivo dell’originario debito tributario, degli interessi e delle sanzioni (sostanzialmente in tal senso, Sez. 3, n. 7359 del 04/02/2014, Rv. 261500).

Deve, in definitiva, ribadirsi che il limite alla pignorabilità fissato dal comma 1, lettera a), dell’art. 76 del d.P.R. n. 602 del 1973 – nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lettera g), del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013, si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco e non a quelle promosse da altre categorie di creditori; non riguarda la “prima casa”, ma “l’unico immobile di proprietà del debitore”; non trova comunque applicazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, né al sequestro preventivo ad essa preordinato.

A tanto consegue la manifesta infondatezza del motivo di ricorso.

2. Del pari manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso.

Va ribadito il consolidato principio – dì cui ha fatto corretta applicazione il Tribunale – secondo cui, in materia di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni dell’amministratore, nel caso di incapienza dei beni della società rispetto al debito maturato, non presupponendo alcuna forma di responsabilità civile, può avere ad oggetto anche beni inclusi nel fondo patrimoniale familiare, in quanto su di essi grava un mero vincolo di destinazione che non ne esclude la disponibilità da parte del proprietario che ve li ha conferiti.

Si è osservato, in particolare, che i beni costituenti il fondo patrimoniale possono essere aggrediti dal sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, gravando sui medesimi un mero vincolo di destinazione che non attiene alla titolarità del diritto di proprietà, e quindi, al tema dell’appartenenza del bene a persona estranea al reato sicché i beni costituenti il fondo patrimoniale rimangono nella disponibilità del proprietario o dei rispettivi proprietari e possono essere sottoposti a sequestro e a confisca in conseguenza dei reati ascritti ad uno dei conferenti (Sez. 3 n. 23621 del 17/07/2020, Rv. 279824 – 01; Sez. 3,n.40362 del 06/07/2016, Rv. 268586 – 01, Sez. 3, n. 40364 del 19/09/2012, Rv.253681 – 01, Sez. 3, n. 1709 del 25/10/2012, dep. 2013, non mass.).

3. Quanto, infine, alla eccezione di legittimità costituzionale sollevata, ne va rilevato il difetto della rilevanza nel giudizio.

Come osservato, il limite alla espropriazione immobiliare previsto dall’art. 76, comma 1, lett. a), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g), di. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98), riguarda l’unico immobile di proprietà del debitore”; nella specie, la deduzione difensiva secondo cui l’immobile in sequestro sarebbe l’unico immobile in proprietà non trova riscontro nell’ordinanza impugnata, nella quale il Tribunale si riferisce all’immobile in questione definendolo, invece, come “prima casa”; trattasi di quaestio facti che non può essere rivalutata in sede di legittimità; risulta, quindi, indimostrato il presupposto di fatto per l’applicabilità dell’art. 76, comma 1, lett. a), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g), d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98), con conseguenza irrilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata.

4. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 5. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 03/02/2022.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.