REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CASA Filippo – Presidente
Dott. BONI Monica – Consigliere
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. BINENTI Roberto – Consigliere
Dott. LIUNI Teresa – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) MICHELE, nato a MILANO il 02/07/19xx;
avverso la sentenza del 02/03/2020 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa TERESA LIUNI;
lette le conclusioni del Procuratore generale, Dott.ssa FRANCA ZACCO, tempestivamente inviate ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. n. 137/2020, in cui si chiede la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2/3/2020 la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Monza del 13/9/2017, ha rideterminato la pena inflitta a Michele (OMISSIS) in mesi 10 di reclusione e €. 1.400 di multa, ritenendo assorbito il reato di cui agli artt. 2 e 7 L. n. 865 del 1967 in quello di cui all’art. 23, secondo comma, L. n. 110 del 1975.
L’imputato è stato condannato per avere illegalmente detenuto una carabina ad aria compressa “Gamo” con potenza pari a 18,8 joule, come da accertamento tecnico del Banco Nazionale di Prova, arma comune da sparo e clandestina in quanto priva dei marchi di cui agli artt. 7-11 L. n. 110 del 1975, nonché per avere acquistato detta arma per corrispondenza senza essere munito di licenza, in violazione dell’art. 17 Legge citata. Con la recidiva semplice.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avv. Maurizio (OMISSIS), deducendo violazione di legge e contraddittorietà della motivazione per la mancata applicazione della disciplina dell’errore sul fatto.
I giudici di merito si sarebbero adagiati sul criterio per cui il (OMISSIS) – esperto di armi – non poteva non sapere che l’arma aveva potenza superiore a quella da lui ritenuta e comunque avrebbe dovuto verificare tale situazione.
Trattasi di affermazioni illogiche, in quanto tale verifica poteva essere fatta soltanto dal Banco Nazionale di Prova, al quale infatti l’imputato aveva dato piena disponibilità alla verifica, essendo stato convinto in buona fede di avere acquistato un’arma della potenza di 7.5. joule.
Ciò determina il legittimo dubbio che per mera disattenzione il (OMISSIS) abbia detenuto un’arma di potenza superiore a quella consentita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, in quanto fondato su motivi non consentiti dalla legge per essere reiterativi delle doglianze già prospettate nel gravame, alle quali l’impugnata sentenza ha dato una risposta corretta in punto di diritto e logicamente argomentata.
2. È stata riproposta la censura della buona fede del (OMISSIS), il quale aveva acquistato la carabina su siti specializzati Internet, precisamente da un rivenditore spagnolo, affermando di avere indicato l’opzione per un’arma di potenza inferiore a 7,5 joule, e che all’arrivo a destinazione dell’acquisto non vi erano indicazioni sulla potenza dell’arma nella documentazione accompagnatoria.
Tuttavia, i giudici di merito hanno dato atto che il sito dal quale si era servito l’imputato era stato visitato anche da agenti di Polizia giudiziaria che avevano verificato che la pagina di acquisto evidenziava chiaramente non solo il modello opzionato ma anche – nell’ambito del modello – la potenza dell’arma ed il prezzo, differente per le diverse potenze, così da costituire ulteriore elemento di distinzione.
Inoltre, era stato verificato che all’atto del controllo dell’ordine di acquisto veniva specificata la potenza dell’arma che si stava acquistando ed il relativo prezzo, così da prevenire errori.
Da ciò si è esclusa la buona fede dell’imputato, il quale era esperto di armi e non avrebbe potuto confondere un’arma per un’altra, e in ogni caso – una volta arrivata la carabina a destinazione – avrebbe dovuto operare le necessarie verifiche.
Né la disponibilità data alla verifica presso il Banco Nazionale di Prova può ritenersi indizio comprovante tale buona fede.
3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della congrua somma indicata in dispositivo, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., non risultando cause di esenzione da responsabilità in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità, a tenore della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 2000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il giorno 14 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il giorno 22 aprile 2022.