Cassazione: violenza sessuale procedibile d’ufficio nei confronti di un minore (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 6 marzo 2023, n. 9212).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 10/01/2022 della Corte di appello di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Alessandro Maria Andronio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Ettore Pedicini, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;

udita, per l’imputato, l’avv. Pamela (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1 Con sentenza del 10 gennaio 2022, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Gup del Tribunale di Pistoia del 15 dicembre 2020, resa all’esito di giudizio abbreviato, con la quale l’imputato era stato condannato, anche al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili, con liquidazione di provvisionali, per:

1) il reato di cui agli 81, secondo comma, e 609-bis cod. pen., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con violenza consistita nell’agire in maniera insidiosa repentina, costringeva la minore infraquattordicenne (OMISSIS) (OMISSIS) a subire atti sessuali, consistiti in toccamenti alle cosce e al seno, e compiva a sua volta atti sessuali, consistiti nel toccarsi il pene in erezione (dal maggio 2018 al maggio 2019);

2) il reato di cui agli artt. 61, n. 11), e 609-bis cod. pen., perché, approfittando del rapporto di ospitalità e trovandosi nell’abitazione della (OMISSIS) (OMISSIS) (all’epoca di anni 16), con violenza consistita nell’agire in maniera insidiosamente rapida e tale da sorprendere la vittima così ponendola nell’impossibilità di difendersi, la costringeva a subire atti sessuali, consistiti in toccamenti e masturbazione (in data successiva e prossima al 4 luglio 2010).

Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per Cassazione, chiedendone l’annullamento.

2. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano vizi della motivazione e la mancata valutazione di una prova decisiva in relazione al reato di cui al capo 1) dell’imputazione.

Si sostiene che, in appello, la difesa non ha negato il contenuto delle risultanze delle intercettazioni ambientali né quello della comunicazione di notizia di reato, ma ha cercato di offrire una diversa lettura del materiale informatico sequestrato all’imputato, ovvero della messaggistica telefonica con la persona offesa nel periodo di riferimento.

Dalla lettura delle chat in questione, emerge – secondo il ricorrente – l’assenza di imposizione da parte dell’imputato rispetto agli atti sessuali.

E non si sarebbe considerato che tali chat abbracciano anche il periodo non coperto dalle intercettazioni, confermando il contesto scherzoso e-confidenziale nel quale si sarebbero verificati gli episodi oggetto di imputazione, nel cui ambito vi erano richieste a sfondo sessuale che provenivano anche dalla persona offesa.

I fatti avrebbero dovuto essere ricondotti alla diversa fattispecie di cui all’art. 609-quater pen., per la quale era richiesta, nel periodo di riferimento, la condizione di procedibilità della querela, mancante nel caso di specie.

2.2. Si contesta, in secondo luogo, la mancata applicazione dell’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. quanto al capo 1) dell’imputazione.

Il tenore delle conversazioni via chat fra le parti avrebbe dovuto indurre i giudici di merito ad escludere una significativa compromissione della libertà sessuale della vittima, anche a fronte di una perizia psicologica che negava l’esistenza di un

2.3. Con un terzo motivo di doglianza, riferito al capo 2) dell’imputazione, si lamenta la violazione della disposizione incriminatrice e dell’art. 609-septies pen., sul rilievo che il reato sarebbe perseguibile a querela e che la querela avrebbe dovuto essere presentata entro un anno dal fatto, mentre è stata presentata otto anni dopo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1. La prima doglianza è inammissibile, perché non riconducibile alle categorie dell’art. 606 cod. proc. pen., in quanto diretta a sostituire alla valutazione della Corte d’appello un’interpretazione del tutto parziale del quadro istruttorio, basata sull’estrapolazione di alcuni passaggi delle chat intercorse tra l’imputato e la persona offesa del reato sub 1), che confermano l’esistenza di un clima di confidenza e complicità molto intenso fra i due.

Tale clima è stato espressamente valutato dalla Corte d’appello (pagg. 12-18 della sentenza impugnata), la quale ha svolto una serie di analitiche considerazioni circa la credibilità della versione accusatoria della vittima e circa i relativi riscontri, rappresentati dalle intercettazioni ambientali.

Si tratta di considerazioni che non sono state oggetto di sostanziale impugnazione da parte della difesa, la quale non le richiama neanche per sommi capi e non le contesta, limitandosi a contrapporvi poche isolate affermazioni emergenti dalla chat, che semplicemente confermano il dato pacifico della vicinanza tra le parti, ma non escludono che gli atti sessuali avvenissero – come ben descritto dalla persona offesa e riscontrato dalle intercettazioni ambientali – in modo insidioso, repentino e sempre non voluto, con l’accompagnamento di grevi apprezzamenti di carattere fisico, espressi dall’imputato con un linguaggio volgare e a tratti violento.

3.2. Analoghe considerazioni valgono per la seconda doglianza, anche essa caratterizzata da una assertività del tutto sganciata da un esame del provvedimento impugnato.

Del resto, dalla semplice lettura della pag. 19 di quest’ultimo, emerge che la Corte d’appello ha escluso il riconoscimento della circostanza attenuante dell’ultimo comma dell’art. 609-bis pen. sulla base di elementi correttamente ritenuti univoci, quali: l’ampia dimensione temporale dei fatti; le condizioni psicologiche della persona offesa, che si trovava in uno stato di sostanziale abbandono familiare; l’approfittamento dell’esigenza di quest’ultima di trovare una figura di riferimento di carattere paterno e del timore di perdere il corrispondente affetto; l’irrilevanza degli esiti della perizia, diretta a verificare la capacità a testimoniare e non il danno psichico.

3.3. Il terzo motivo di impugnazione, riferito alla procedibilità a querela del reato di cui al capo 2), è manifestamente infondato.

Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, secondo la formulazione dell’art. 609-septies pen. vigente all’epoca dei fatti, il reato di cui all’art. 609-bis è perseguibile d’ufficio se commesso – come nel caso di specie – nei confronti di persona che al momento del fatto non ha compiuto gli anni 18.

4. Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile.

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere c:he “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 30/01/2023.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2023.

SENTENZA – Originale -.