REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. MARIA FRANCESCO CIAMPI – Presidente –
Dott. DANIELA CALAFIORE – Consigliere –
Dott. EUGENIA SERRAO – Consigliere –
Dott. LOREDANA MICCICHÉ – Consigliere –
Dott. ANNA LUISA ANGELA RICCI – Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 28/06/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa ANNA LUISA ANGELA RICCI;
lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. ALDO ESPOSITO, che ha chiesto l’annullamento senza della sentenza con riferimento alla statuizione relativa al beneficio della non menzione che va concesso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Bologna, in data 28 giugno 2024, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bologna del 19 marzo 2014 di condanna di (omissis) (omissis) in ordine al reato di cui all’art. 589, comma 2, cod. pen., commesso in danno di (omissis) (omissis) il 4 ottobre 2009, ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche e rideterminato la pena inflitta in anni 1 e mesi 4 di reclusione con conferma del beneficio della sospensione condizionale della pena e della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente per la durata di anni 1.
Analoga determinazione la Corte ha assunto nei confronti del coimputato (omissis) (omissis), condannato in primo grado e non ricorrente.
Il Tribunale aveva mandato assolti i coimputati (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) dal medesimo reato per non aver commesso il fatto.
Il processo ha ad oggetto un incidente stradale, ricostruito nelle conformi sentenze di merito nel modo seguente.
Nella tarda serata del 4 ottobre 2009 (omissis) (omissis) stava viaggiando a bordo della propria autovettura Renault Twingo condotta dalla sorella (omissis) (omissis) sull’autostrada A14 direzione Ravenna, dopo aver imboccato il casello Di San Lazzaro di Savena; sul mezzo vi era anche l’altra sorella (omissis) (omissis); percorsi 4/5 km, la Renault Twingo che occupava la prima corsia di marcia era stata violentemente tamponata dall’autocarro Iveco condotto da (omissis) e, proiettata verso sinistra, aveva attraversato l’intera sede stradale per urtare contro il new jersey centrale, arrestandosi poco oltre probabilmente ancora in terza corsia: la collisione aveva interessato lo spigolo anteriore sinistro del veicolo che si era arrestato con la parte posteriore quasi a contatto del new jersey e con la parte a anteriore rivolta nel senso di marcia, ma verso la parte centrale della carreggiata; (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) erano scese dal mezzo probabilmente per aiutare la sorella, che sembrava stordita, a liberarsi della cintura di sicurezza; appena scesa, (omissis) (omissis) era stata investita dal furgone Citroen Jumper condotto da (omissis), che aveva colpito anche l’autovettura Renault al cui interno era rimasta (omissis) (omissis); l’autovettura Renault, a causa dell’urto, aveva compiuto alcune rotazioni su se stessa ed era stata proiettata in avanti.
Secondo la descrizione di (omissis) (omissis), (omissis), prima di essere investita, aveva cercato di aprire la portiera del conducente per far uscire la sorella (omissis), senza riuscirci, e si era poi spostata e sbracciata, al fine di attirare l’attenzione di altri automobilisti, ma era stata investita dal furgone: il suo corpo aveva impattato contro la stessa Renault per poi essere sbalzato via.
Il furgone Citroen Jumper era stato rinvenuto dalla Polstrada fermo in seconda corsia di marcia, circa 12 metri più avanti rispetto al corpo di (omissis), con plurimi danni derivanti da un urto di notevole violenza nella parte anteriore sinistra.
I giudici avevano escluso che detto furgone avesse arrotato o sormontato il corpo della vittima, in quanto nella parte sottostante non erano stati rilevati segni o tracce evidenti di urto diretto contro un corpo umano.
La teste (omissis) (omissis) aveva riferito che il corpo della sorella, sulla sede stradale dopo l’investimento ad opera del furgone Citroen Jumper, era stato sormontato e trascinato avanti per alcuni metri da un terzo veicolo.
2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo di difensore, formulando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione per non avere la Corte di Appello accolto la richiesta di rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603 cod. proc. pen. ed in particolare dell’esame del teste (omissis) (omissis). Tale teste era stato inizialmente inserito nella lista della difesa in ordine alla circostanza per cui la vettura tamponata viaggiava a fari spenti, ma poi era stato oggetto di rinuncia alla luce della relazione cinematica del Consulente Tecnico del Pubblico Ministero.
La sentenza di primo grado aveva ritenuto non provata la circostanza suddetta e aveva così reso necessario l’esame del teste: tale prova doveva essere ritenuta decisiva, in quanto il fatto che l’auto viaggiasse a fari spenti, unitamente alla velocità di marcia di soli 40 km/h erano elementi che deponevano per l’assenza di colpa del conducente dell’autovettura tamponante.
La Corte, nell’affermare che se anche l’autovettura Renault avesse viaggiato a fari spenti, il ricorrente sarebbe stato comunque nelle condizioni di rilevarne la presenza, non aveva tenuto conto della velocità di marcia del mezzo, pari alla metà della velocità minima da tenere in autostrada.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione alla determinazione della durata della sospensione della patente di guida. La Corte aveva confermato la durata della sanzione in esame in anni uno, richiamando la gravità del fatto, senza tenere conto del comportamento della vittima e del coimputato.
Secondo il difensore, invece, la condotta colposa del ricorrente doveva essere considerata di minima gravità, considerato che la vettura tamponata procedeva a fari spenti e ad una velocità molto bassa.
Nessuno dei parametri a cui, ai sensi dell’art. 218 d.lgs 30 aprile 1992 n. 285, deve essere ancorata la valutazione in ordine alla durata della sanzione amministrativa della sospensione della patente, nel caso in esame, giustificava la determinazione assunta dai giudici di merito.
2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario.
Dopo che il Tribunale aveva concesso il beneficio della sospensione condizionale e non si era pronunciato sul beneficio della non menzione, la Corte aveva confermato la statuizione del giudice di primo grado argomentando che vi era un interesse dei consociati a conoscere la condanna in ragione della professione di autotrasportatore svolta dal ricorrente.
Secondo il ricorrente tale motivazione si porrebbe in contrasto sia con la giurisprudenza civile (secondo la quale in tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza e all’oblio e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito ha il compito di valutare l’interesse pubblico concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti; tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito), sia con la giurisprudenza della Corte EDU.
La stessa Corte di Cassazione ha chiarito che nell’ipotesi in cui venga concesso uno dei benefici e non anche il secondo, tale determinazione deve essere sorretta da motivazione congrua e puntuale: tale onere motivazione non sarebbe stato rispettato nella sentenza impugnata. La Corte avrebbe dovuto valutare l’incensuratezza dell’imputato, la prognosi favorevole accertata durante i 14 anni trascorsi dal fatto, il suo stile di vita regolare, segnale di piena emenda.
3. Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto dott. Aldo Esposito, ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata con riferimento alla statuizione relativa al beneficio della non menzione, che va concesso.
4. Il difensore dell’imputato ha depositato una memoria con cui ha insistito per l’accoglimento del secondo motivo di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Il primo motivo, con cui si censura la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, è manifestamente infondato.
Il principio generale, dettato dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen. è quello per cui, quando una parte ha chiesto la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado, ovvero l’assunzione di nuove prove, il giudice di appello, se non è in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
Ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., il giudice dispone di ufficio la rinnovazione dell istruzione dibattimentale, quando la ritiene assolutamente necessaria ai fini della decisione, perché potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti.
In entrambi i casi l’accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6 n. 48093 del 10/10/2018, Aniello, Rv. 274230; Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, Leoni, Rv. 262620; sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013, Bonmarito, Rv. 257062; sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004, Montanari, Rv. 228353).
La Corte di appello nel caso in esame ha rilevato che il Consulente Tecnico del Pubblico Ministero aveva preso in considerazione l’ipotesi che l’autovettura tamponata stesse viaggiando a fari spenti ed aveva concluso per la sua infondatezza in maniera argomentata, rilevando che il commutatore si trovava in posizione di “on” e non poteva essere saltato per effetto dell’urto e che, in assenza di illuminazione in autostrada, sarebbe stato difficile per il conducente seguire la traiettoria di marcia senza l’utilizzo dei fari, essendo il funzionamento di quelli anteriori collegato a quelli posteriori.
Lo stesso Consulente – ha osservato la Corte – aveva in ogni caso escluso che tale remota evenienza, in astratto possibile, ma in concreto improbabile, avesse inciso sulla possibilità di avvistamento, posto che nella parte posteriore dell’autovettura vi erano pur sempre i catadriotti, che, illuminati dai fari dell’autocarro, la rendevano con certezza visibile.
Infine – ha proseguito la Corte – la circostanza sulla quale avrebbe dovuto deporre il teste di cui era stato chiesto l’esame era già stata introdotta nel processo attraverso il Consulente Tecnico della difesa dell’imputato. A fronte di tale percorso argomentativo, il ricorrente si limita a ribadire in maniera avversativa la decisività della testimonianza di (omissis), senza contrapporre, tuttavia, alcuna ragione di fatto o di diritto, tale da inficiarne la tenuta logica.
Anche la censura per cui il fatto che l’autovettura Renault viaggiasse con i fari spenti avrebbe dovuto essere valutata insieme al rilievo della velocità troppo bassa di andatura non coglie nel segno, avendo la Corte ritenuto, sulla scorta delle conclusioni del Consulente Tecnico del Pubblico Ministero, che in ogni caso, anche a voler considerare entrambe le suddette circostanze, il tamponamento fosse evitabile attraverso una corretta condotta di guida.
3. Il secondo motivo, incentrato sulla determinazione della durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, è inammissibile in quanto meramente reiterativo della stessa doglianza già formulata in sede di appello e, comunque, manifestamente infondato.
Il motivo, nell’affermare che la durata della sospensione non sarebbe stata ancorata ai parametri individuati dal Codice della Strada, è generico ‘e non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata in cui si è spiegato che la sanzione irrogata, inferiore, peraltro, alla media edittale, era congrua in relazione alla gravità delle violazioni e alla conseguenze lesive che ne sono derivate.
Si tratta di motivazione sufficiente e coerente con il principio per cui il giudice, nella individuazione della durata della sanzione, deve dare conto di aver impiegato i criteri di cui all’art. 218 comma 2 cod. strada., ovvero deve compiere una valutazione “in relazione all’entità del danno apportato, alla gravità della violazione commessa, nonché al pericolo che l’ulteriore circolazione potrebbe cagionare».
Il rilievo del ricorrente, per cui il danno sarebbe stato lieve, in quanto la vittima non era morta per effetto del tamponamento, bensì per effetto dell’investimento ad opera di altra auto, non tiene conto che era stata la condotta colposa del ricorrente ad avere innescato il decorso causale che aveva condotto al sinistro mortale.
4. Il terzo motivo, inerente’ettatuizione relativa alla non menzione della condanna nel certificato del casellario, è manifestamente infondato.
Si deve ribadire che non è contraddittoria la decisione che – come nel caso di specie – conceda il beneficio della sospensione condizionale della pena e neghi il beneficio della non menzione, purché dalla motivazione possano cogliersi le ragioni della relativa determinazione.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare che il beneficio della non menzione della condanna di cui all’art. 175 cod. pen. è fondato sul principio della “emenda” e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato, sicché la sua concessione è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è necessariamente conseguenziale a quella della sospensione condizionale della pena, dovendo, comunque, il giudice deve indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 16366 del 28/03/2019, Rv. 275813 — 01).
In tale senso si è affermato che la valutazione del giudice, riguardo alla concedibilità del beneficio in parola, deve intervenire esclusivamente sulla base dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., tenendo conto della ratio di tale istituto diretto a favorire il ravvedimento del condannato mediante l’eliminazione di conseguenze del reato suscettibili di compromettere o intralciare la sua possibilità di lavoro (Sez. 3, n. 24362 del 22/02/2023, Rv. 284669 – 01; n. 560 del 1995, Rv. 200029-01).
Nel caso di specie, la Corte di merito, ha fatto buon governo di tali principi e ha ritenuto che, proprio in ragione della funzione di emenda dell’istituto, il beneficio non potesse essere concesso in quanto la qualità di autotrasportatore del ricorrente influiva sulla gravità del reato. Il giudizio sulla concedibilità del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, dunque, in quanto ancorato alla valutazione delle circostanze di cui all’art. 133 cod. pen., non presenta i profili di illegittimità e manifesta illogicità censurati dal ricorrente.
5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art.616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Deciso in Roma, lì 9 aprile 2025
Depositato in Cancelleria l’8 maggio 2025.