REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da
Dott. ANNA PETRUZZELLIS – Presidente –
Dott. MARCO MARIA ALMA – Consigliere –
Dott. MARIA DANIELA BORSELLINO – Consigliere –
Dott. ANTONIO SARACO – Relatore –
Dott. ALESSANDRO LEOPIZZI – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) nato il xx/xx/20xx a (omissis);
avverso la sentenza in data 13/11/2024 della CORTE DI APPELLO DI CATANIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANTONIO SARACO;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa CRISTINA MARZAGALLI, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. (omissis) (omissis), per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 13/11/2024 della Corte di appello di Catania che, in riforma della sentenza in data 06/07/2022 del Tribunale di Catania, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle aggravanti, ha rideterminato la pena inflittagli per il delitto di rapina e di lesioni aggravate.
Deduce:
1.1. Vizio di motivazione in punto di individuazione dell’imputato quale autore del reato.
Secondo il ricorrente non si ha la prova che (omissis) sia responsabile dei delitti contestati, atteso che gli unici elementi a suo carico sono le dichiarazioni della persona offesa, inattendibili e prive di riscontro, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado.
Aggiunge che non può ritenersi probante il riconoscimento effettuato in aula nel corso del giudizio di primo grado. Denuncia un’inversione dell’onere della prova effettuata dal giudice di primo grado, attribuendo all’imputato il compito di fornire gli elementi utili a chiarire dove si trovasse in una notte risalente a tre anni prima.
1.2. Vizio di motivazione in ordine alla mancata esclusione della circostanza aggravante del nesso teleologico.
Lamenta l’omessa risposta all’eccezione difensiva con la quale osservava che la violenza costituisce elemento costitutivo del delitto di rapina, così che, avendo riguardo al principio di specialità sancito dall’art. 15 cod. pen., lo stesso elemento non può essere considerato per due volte a fini punitivi, con la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 61, comma primo, n. 2, cod. pen.. A sostegno dell’assunto cita le seguenti sentenze: n. 42371 del 16/11/2006 e n. 51457 del 21 giugno 2017.
1.3. Violazione di legge per omessa pronuncia ai sensi dell’art. 529 cod. proc. pen. per difetto di una condizione di procedibilità in relazione al capo B) dell’imputazione. Si osserva che il delitto di cui all’art. 582, comma secondo, cod. pen. è procedibile a querela della persona offesa. Deduce, quindi, il difetto di querela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo d’impugnazione è inammissibile perché si risolve in valutazioni di merito, meramente reiterative di quelle esposte con il gravame, disattese dalla corte di appello con motivazione del tutto trascurata dal ricorrente.
1.1. Con specifico riferimento alla sussistenza della prova della individuazione dell’imputato quale autore dei delitti, va rilevato come la persona offesa abbia riconosciuto il (omissis) in udienza, nel corso del dibattimento, quale autore della condotta predatoria.
A tale proposito va ricordato che «il riconoscimento dell’imputato operato in udienza, nel corso dell’esame testimoniale, è atto di identificazione diretta, effettuato con dichiarazioni orali, valido e processualmente utilizzabile anche senza l’osservanza delle formalità prescritte per la ricognizione personale» (Sez. 2, n. 23970 del 31/03/2022, Mannolo, Rv. 283392 – 01).
1.2. Risultano inammissibili, poi, le argomentazioni circa il giudizio di attendibilità della persona offesa, dovendosi ribadire che esse si risolvono in valutazioni di merito, dovendosi ribadire che «in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità», (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609 – 01). Tutte tali condizioni non sussistono nel caso in esame, con la conseguente inammissibilità del motivo.
1.3. Il motivo risulta manifestamente infondato nella parte in cui si duole – genericamente- della mancanza di riscontri alle dichiarazioni rese dalla persona offesa.
A tale proposito va ricordato che «le dichiarazioni di un testimone, per essere positivamente utilizzate dal giudice, devono risultare credibili, oltre che avere ad oggetto fatti di diretta cognizione e specificamente indicati; sicché, contrariamente ad altre fonti di conoscenza, come le dichiarazioni rese da coimputati o imputati di reati connessi, esse non abbisognano di riscontri esterni, il ricorso eventuale ai quali è funzionale soltanto al vaglio di credibilità del testimone» (Sez. 1, n. 7898 del 12/12/2019, dep. 2020, Hamil, Rv. 278499 – 03; Sez. 3, n. 11829 del 26/08/1999, Ascani, Rv. 215247 – 01; Sez. 1, n. 6502 del 17/12/1998, dep. 1999, Kovacs, Rv. 212459 – 01).
1.4. Per il resto, il primo motivo si risolve in una valutazione delle emer- genze processuali alternativa a quella dei giudici di merito, dal che discende un’ulteriore ragione di inammissibilità, atteso che «il giudice di legittimità, investito di un ricorso che proponga una diversa valutazione degli elementi di prova (cosiddetto travisamento del fatto), non può optare per la soluzione che ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti, valutando l’attendibilità dei testi e le conclusioni dei periti e consulenti tecnici, potendo solo verificare, negli stretti limiti della censura dedotta, se un mezzo di prova esista e se il risultato della prova sia quello indicato dal giudice di merito, sempre che questa verifica non si risolva in una valutazione della prova (…)» (Sez. 4, n. 36769 del 09/06/2004, Cricchi, Rv. 229690 – 01).
Tanto più quando, come nel caso in esame, le censure si risolvano nella mera reiterazione delle identiche questioni sollevate con il gravame e disattese dalla Corte di merito, dovendosi ribadire che «è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito, dovendosi i motivi stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso» (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708).
In altri termini, è del tutto evidente che a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia il vizio di omessa motiva- zione sull’eccezione di assorbimento nella rapina dell’aggravante del nesso teleologico contestato in relazione al delitto di lesioni.
Il motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente ha richiamato un principio di diritto e precedenti giurisprudenziali in realtà riferibili al delitto di rapina impropria, e non anche al delitto di rapina propria che qui ci occupa. Ci si riferisce a quanto fissato con le sentenze n. 42371 del 16/11/2006 (Sez. 1, Timis, Rv. 235570-01), e n. 51457 del 21/06/ 2017 (Sez. 1, Taglio, Rv. 271593 – 01), tutte riferite a ipotesi di rapina impropria.
La questione della possibilità astratta dell’assorbimento dell’aggravante del nesso teleologico di cui all’art. 61, comma primo, n. 2, in effetti, si presenta in relazione al delitto di rapina impropria, attesa la possibile coincidenza dei contenuto dell’elemento psicologico richiesto dall’art. 628, comma secondo, cod. pen., che è costituito dal fine specifico di assicurare a sè o ad altri (mediante la violenza o la minaccia) il prodotto o l’impunità del reato commesso, dopo la sottrazione della cosa oggetto della rapina.
L”art. 61, comma primo, n. 2, cod. pen., dal suo canto, prevede due ipotesi di aggravamento del fatto, tra loro non fungibili, a seconda che questo sia stato commesso «per eseguirne o occultarne un altro» oppure «per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di un altro reato».
Proprio in relazione a tale seconda ipotesi, in rapporto con la rapina impro- pria, è stato spiegato che «la prevalente natura soggettiva della aggravante teleologica (posta infatti a censurare la maggior riprovevolezza etica e la più alta pericolosità sociale di chi agisca delittuosamente in rapporto finalistico con ulteriore delitto), imponendo di affermare che una volta che la volontà del soggetto (di assicurarsi con violenza sulla persona il prodotto del bene sottratto o l’impunità dalle sue conseguenze) sia stata assunta come elemento costitutivo del delitto di rapina impropria, tale volontà non può essere nuovamente valutata nella previsione sanzionatoria per il delitto di violenza contestualmente commesso (Sez. 1 n. 42371 del 16/11/2006, cit.).
Nel caso di specie, però, il reato in funzione della cui commissione è stata contestata l’aggravante teleologica è quello di rapina propria ex art. 628,, comma primo, cod. pen., in quanto la violenza che ha provocato le lesioni, era stata posta in essere dal rapinatore per impossessarsi dei beni della persona offesa, e non per assicurarsi il possesso di beni già materialmente appresi, ed era animata dal fine di procurarsi un ingiusto profitto, e dunque da un dolo specifico che non coincide – così da non poter essere assorbito in esso – col contenuto dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2, che è stata perciò correttamente ritenuta dai giudici di merito (in tal senso, cfr. Sez. 1, 16705 del 17/12/2013, dep. 2014, Feratti, non massimata).
L’imputazione è coerente con quanto appena esposto, ove si osservi che l’aggravante è stata contestata in quanto il reato di lesioni personali è stato commesso per eseguire il delitto di rapina e non per «per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di un altro reato», così che è strutturalmente esclusa l’astratta possibilità di una doppia valutazione del medesimo elemento intenzionale.
Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto: «Non sussiste rapporto di specialità tra il reato di rapina previsto dall’art. 628, comma primo, cod. pen. e l’aggravante di cui all’art. 61, comma primo, n. 2 cod. pen., attesa la natura soggettiva di tale aggravante e la differenza del rispettivo elemento intenzionale, costituito dal dolo specifico di procurarsi un profitto per la rapina e dal dolo specifico di «conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di un altro reato», eventualmente coincidente con l’elemento intenzionale della rapina impropria di cui all’art. 628, comma secondo, cod. pen., ma non con quello della rapina propria».
3. La manifesta infondatezza del secondo motivo d’impugnazione conduce alla manifesta infondatezza del terzo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denuncia il difetto di querela per il reato di lesioni.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare che «il delitto di lesioni perso- nali, commesso per eseguire il delitto di rapina, è procedibile d’ufficio e non a querela di parte, ricorrendo l’aggravante del nesso teleologico ai sensi del combinato disposto degli artt. 585, 576, primo comma, n. 1 e 61, primo comma, n. 2, cod. pen.» (Sez. 2, n. 22081 del 03/07/2020, Quarta, Rv. 279436 – 01).
Con la sentenza ora richiamata è stato spiegato, infatti, che «[…] la procedibilità di ufficio per il reato di lesioni personali consegue non alla connessione con altro fatto procedibile d’ufficio […], bensì in conseguenza dell’avvenuta contestazione rituale della aggravante di cui all’art. 61 n. 2 del codice penale […].
Difatti, ai sensi dell’art. 582, secondo comma, la procedibilità per il delitto di lesioni per- sonali è a querela di parte ove non ricorra taluna delle aggravanti di cui all’art. 583 e 585 cod.pen.; l’art. 585 citato a sua volta prevede un aumento di pena per tutte le ipotesi di circostanze aggravanti inserite nell’art. 576 cod. pen. che, al primo comma n. 1, indica espressamente proprio l’aggravante teleologica di cui al n. 2 dell’art. 61 cod.pen.».
Da ciò consegue la manifesta infondatezza dell’ultimo motivo di ricorso, atteso che l’avvenuta contestazione dell’aggravante, non esclusa nelle fasi di merito, determina la procedibilità di ufficio del reato di lesioni, in quanto l’aggressione è stata portata a termine per eseguire altro reato.
4. Da quanto esposto discende l’inammissibilità del ricorso, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro Tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16/04/2025
Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2025.