Accede abusivamente alla mail e modifica la password: ricorre l’aggravante specifica del danneggiamento del sistema (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 5 dicembre 2022, n. 46076).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente –

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere –

Dott. CIRILLO Pierangelo – Consigliere –

Dott. CUOCO Michele – Rel. Consigliere –

Dott. CARUSILLO Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) AURELIO MARCO, nato a Reggio Calabria, il 28 luglio 19xx;

avverso la sentenza del 16 settembre 2021, della Corte d’appello di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. MICHELE CUOCO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa FRANCESCA CERONI, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’avv. Francesco (OMISSIS), nell’interesse della parte civile, che richiama la memoria già in atti e deposita conclusioni scritte e nota spese;

uditi gli avv.ti Luca (OMISSIS) e Paolo Antonio Felice (OMISSIS), nell’interesse del ricorrente.

RITENUTO IN FATTO

1. Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Roma ha confermato la condanna pronunciata in primo grado a carico di Aurelio Marco (OMISSIS), in relazione ai reati di cui agli artt. 595, comma 3 (capo A), 615-ter e 616 cod. pen. (capo B), in quanto avrebbe pubblicato sul suo account facebook un post lesivo della reputazione di Maurizio Tito (OMISSIS) e si sarebbe introdotto abusivamente sull’account di posta elettronica di quest’ultimo, protetto da misure di sicurezza, danneggiandolo e violando, conseguentemente, la corrispondenza del predetto.

2. Il ricorso è articolato su cinque motivi, formulati sotto i profili della violazione di legge, del vizio di motivazione e della mancata assunzione di una prova decisiva. In particolare;

2.1. con il primo motivo, afferente alla ritenuta responsabilità per i reti contestati al capo B), il ricorrente deduce che la Corte d’appello, nel respingere i relativi motivi d’impugnazione, non avrebbe sufficientemente motivato in ordine alle circostanze dedotte e relative:

a) alla disponibilità delle credenziali di accesso, da parte di altro soggetto, tale Alma (OMISSIS), rimasta estranea alle vicende processuali;

b) all’omesso accertamento dell’intestatario dell’indirizzo IP associato al computer dal quale sarebbe avvenuto l’accesso;

c) all’impossibilità di accesso alla casella di posta a seguito dei messaggi di avvertimento inviati dal gestore;

d) all’illogicità della ricostruzione offerta (quanto all’inserimento dei dati identificativi dello stesso imputato fra le credenziali di accesso, circostanza che avrebbe permesso la successiva identificazione del Perna).

2.2. Con il secondo motivo è afferente all’aggravante di cui al comma 2, n. 3 dell’art. 615-ter cod. pen. e deduce l’insussistenza dell’ipotizzato danneggiamento dei contenuti del sistema.

Secondo la difesa, nessun danneggiamento seguì l’ingresso abusivo, in quanto da un lato le operazioni di modifica delle credenziali fu avviata, ma immediatamente annullata, dall’altro, il mero invio di posta elettronica, seppur abusivamente effettuato, non avrebbe comportato alcuna modifica o manomissione del sistema, ma solo il suo (abusivo) utilizzo.

Il dato relativo alla temporanea inaccessibilità sarebbe rimasto sfornito di evidenza probatoria e non sarebbe idoneo ad integrare l’aggravante contestata.

2.3. Il terzo ed il quarto motivo afferiscono al capo A) e sono relativi al profilo della riconducibilità delle dichiarazioni oggetto di contestazione alla persona offesa e alla contestata aggravante.

Secondo la prospettazione difensiva, mancherebbe da un canto un criterio oggettivo idoneo a consentire l’individuazione, in termini di assoluta certezza, dell’effettivo destinatario, e dall’altro, conseguentemente, quella necessaria pluralità di persone capaci di ricondurre il contenuto diffamatorio del post al suo effettivo destinatario.

La Corte d’appello, invece, pur a fronte della mancanza di un’indicazione specifica, avrebbe valorizzato elementi (quali l’intuizione della persona offesa, le dichiarazioni dell’unico teste che avrebbe confermato tale circostanza, la “condivisione” di un numero significativo di amici in comune, il riconoscimento della poltrona raffigurata nella foto da parte della moglie della persona offesa) privi di valenza probatoria, in quanto fondati su conoscenze e valutazioni del tutto personali.

2.4. Il quinto, in ultimo, attiene al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con l’esame dei testi a discarico (OMISSIS) e (OMISSIS).

Secondo la difesa, la corte territoriale avrebbe rigettato la richiesta formulata dalla difesa sull’erroneo presupposto dell’assoluta superfluità di tali testi, già inseriti nella lista testimoniale dello stesso imputato e oggetto di esplicita rinuncia, senza tener conto del fatto che la necessità dell’escussione sarebbe sorta solo all’esito del deposito delle motivazioni della sentenza di primo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La censura formulata con il primo motivo è infondata.

Appare opportuno premettere che la motivazione rappresenta il percorso logico-giuridico, attraverso il quale, partendo da una premessa, si giunge ad una conclusione.

Un percorso che non necessariamente deve essere esplicitato in forma espressa, ben potendo essere logicamente contenuto nelle ragioni esposte in relazione a questione diversa, ma la cui trattazione implica necessariamente, per imprescindibile presupposto logico, la prima soluzione (Sez. 5, n. 24241 dell’11/05/2004, Rv. 228107).

Cosicché, l’obbligo di motivazione imposto al giudice dell’impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti formulate dal ricorrente, essendo sufficiente che il suo percorso argomentativo indichi le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostri di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Rv. 260841).

Il difetto di motivazione, quindi, quale status patologico posto a presidio del devolutum e rilevante a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., si prospetta quando le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello, che, tuttavia, abbiano “potenziale capacità dimostrativa della insussistenza delle contestazioni” (Sez. 6, n. 35918 del 17 giugno 2009, Rv. 244763) e, quindi, siano decisive nel complessivo impianto argomentativo sotteso alla decisione.

L’omesso esame di un motivo di appello da parte della corte di merito non dà luogo a un difetto di motivazione rilevante a norma dell’art. 606 cod, proc. pen., né determina incompletezza della motivazione della sentenza allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto possa considerarsi implicitamente disatteso perché incompatibile con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Rv. 277593).

In concreto, la corte territoriale ha fondato il giudizio di responsabilità, in relazione ai reati di accesso abusivo e violazione di corrispondenza (capo B), su alcuni dati logici e fattuali ritenuti determinanti (la corrispondenza delle credenziali di recupero modificate al numero e all’indirizzo di posta elettronica aziendale dell’imputato; l’invio, dall’indirizzo di posta elettronica della vittima, di alcune e-mail all’indirizzo aziendale dell’imputato; l’associazione dell’utenza telefonica in uso pacificamente al ricorrente all’indirizzo IP dal quale erano state effettuate le operazioni), ritenendo, parallelamente, ininfluenti, dopo averle valutate, tutte le circostanze oggi riproposte nella formulazione del ricorso.

Tanto l’asserita incompletezza degli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria o gli altri rilievi tecnici sollevati (in sé inidonei ad escludere i dati fattuali in precedenza indicati), quanto la circostanza che la password fosse conosciuta da altra persona (anche in ragione del rapporto di collaborazione della (OMISSIS) con l’azienda del (OMISSIS)).

La motivazione è logica e coerente con i dati processuali richiamati e, in quanto tale, insindacabile in sede di legittimità.

Rispetto ad essa, nell’economia complessiva dell’impianto argomentativo offerto dalla corte territoriale, le censure sollevate (che, peraltro, si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata) appaiono del tutto inidonee ad incidere sulla ratio decidendi fondante il provvedimento impugnato.

Né rileva quanto dedotto in relazione all’asserita illogicità della ricostruzione offerta (circostanza che, peraltro, dall’esame della sentenza impugnata, non risulta evidenziata in appello), in quanto non solo afferente al solo profilo (irrilevante) dei motivi soggettivi della condotta, ma comunque anch’esso infondato, atteso l’oggettiva possibilità che la condotta sia comunque riconducibile al preesistente contenzioso giudiziario relativo al rapporto di lavoro che legava le parti e, quindi, alla necessità di avere la disponibilità di materiale da poter produrre in giudizio.

2. Anche il secondo motivo, afferente alla sussistenza dell’aggravante contestata (art. 615-ter, comma 2 n. 3) è infondato.

La corte territoriale ha ritenuto sussistente l’aggravante contestata alla luce della accertata modifica dei dati di accesso e di recupero, e dell’inoltro, contro la volontà del titolare dell’account, di e-mail riservate, con conseguente alterazione dei dati in essa contenuti e temporanea inaccessibilità a tale casella per il titolare del relativo dominio.

Ebbene, l’art. 615-ter cod. pen prevede un aggravamento della pena edittale in tutte le ipotesi in cui dalla condotta posta in essere derivi “la distruzione o il danneggiamento del sistema o l’interruzione totale o parziale del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso contenuti”.

La previsione normativa si riferisce a tutte le ipotesi in cui dall’accesso abusivo (in sé non finalizzato ad impedire che il sistema funzioni, condotta che integrerebbe il reato di cui all’art. 635-bis cod. pen.: Sez. 2, n. 54715 del 01/12/2016, Pesce, Rv. 268871) derivi un danno al sistema o alle sue componenti, logiche o fisiche, o anche l’interruzione totale o parziale del suo funzionamento e, così, rendendo il sistema parzialmente o totalmente inservibile per gli usi cui è destinato.

In concreto, è dato pacifico che sia stata modificata la password e le credenziali di recupero (seppur per breve periodo di tempo). E tanto è da ritenersi sufficiente ad integrare la fattispecie aggravata.

La casella di posta elettronica è, infatti, uno spazio di memoria di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi, o di informazioni di altra natura, nell’esclusiva disponibilità del suo titolare, identificato da un account registrato presso il provider del servizio (Sez. V, n. 13057 del 28.10.2015, Bastoni, Rv. 266182).

La password, in sé, rappresenta una serie di caratteri alfanumerici che regola l’accesso al sistema informatico ed è diretta a tutelare il sistema in sé e le informazioni in esso contenute. In quanto tale, quindi, rappresenta parte integrante del sistema, poiché permette al sistema stesso di svolgere le sue funzioni, impedendo l’accesso ad estranei.

Ne consegue che l’alterazione della password e la sua modifica integra l’aggravante contestata in quanto condotta che altera una componente essenziale del sistema, rendendola inidonea all’uso al quale è destinata.

Il rigetto del motivo di ricorso impone, ai soli fini penali, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla condotta, di cui al capo B), contestata ai sensi dell’art. 615-ter cod. pen., essendosi il reato estinto per prescrizione.

3. Il terzo ed il quarto motivo sono invece inammissibili, in quanto sollecitano una diversa valutazione del materiale probatorio, che la corte distrettuale ha invece correttamente operato, sostenendola con motivazione coerente ai dati probatori richiamati e immune da vizi logici.

Per come si è detto con riferimento al capo B), la corte territoriale ha ricostruito analiticamente i fatti oggetto della contestazione ed ha ritenuto di ricondurre la condotta di accesso abusivo alla luce di plurimi elementi oggettivamente significativi.

Ebbene, la valutazione dei dati probatori e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare in modo accurato le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623).

Le censure sollevate si risolvono, invece, in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, articolata sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. E, in quanto tali, non evidenziando profilo di manifesta illogicità o contraddittorietà, sono inammissibili.

4. Ugualmente inammissibile è quinto motivo di ricorso.

Da un canto la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello può costituire violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (Sez. 1, n. 40705 del 10/01/2018, Rv. 274337; Sez. 1, n. 3972 del 28/11/2013 – dep. 29/01/2014, Rv. 259136; Sez. 5, n. 34643 del 08/05/2008, Rv. 240995); dall’altro, non sussiste alcun prospettato vizio di motivazione, atteso che la Corte territoriale ha diffusamente e plausibilmente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto non necessario, ai fini del decidere, disporre il supplemento istruttorio sollecitato “dalla difesa, evidenziando la completezza dell’indagine dibattimentale e la conseguente superfluità dei testi indicati avrebbero dovuto deporre su circostanze irrilevanti ai fini della decisione, quali lo stato di salute del prevenuto e il luogo in cui si trovava nel giorno dell’accesso abusivo.

5. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, ai soli effetti penali, limatamente alla condotta, di cui al capo B), contestata ai sensi dell’art. 615-ter cod. pen., essendosi il reato estinto per prescrizione.

Il ricorso deve essere rigettato, ai fini civili, quanto alle predette condotte e dichiarato inammissibile con riferimento alle residue censure.

La dichiarazione d’inammissibilità preclude la possibilità di rilevare il decorso del termine di prescrizione con riferimento agli ulteriori reati.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato di cui all’art. 615-ter cod. pen. è estinto per prescrizione e trasmette gli atti ad altra sezione della Corte d’appello di Roma per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

Rigetta il ricorso nel resto agli effetti civili con riferimento al medesimo fatto.

Inammissibile il ricorso nel resto.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.500,00, oltre accessori di legge.

Così deciso il 15 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.