REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MICCOLI Grazia – Presidente
Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere
Dott. PISTORELLI Luca – Rel. Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere
Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) Fausto, nato a (OMISSIS), il 23/10/19xx;
avverso la sentenza del 22/11/2019 della Corte d’appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Perla Lori, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Bologna ha confermato la condanna, anche agli effetti civili, di (OMISSIS) Fausto per il reato di sostituzione di persona e di minaccia.
I fatti riguardano l’apertura di un falso profilo “facebook” intestato alla persona offesa Franco (OMISSIS) ed alla pubblicazione nella bacheca dello stesso “social network” di un messaggio intimidatorio nei confronti di quest’ultimo.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato articolando cinque motivi.
Con i primi due deduce violazione di legge e vizi di motivazione. In particolare lamenta che la Corte abbia fondato la propria decisione sulla deposizione dell’operante (Giuseppe (OMISSIS)) che ha svolto gli accertamenti sul falso profilo “facebook” di cui all’imputazione, la cui trascrizione, alla quale il verbale d’udienza ha rinviato, non avrebbe in realtà visionato, in quanto non rinvenuta dal difensore agli atti a seguito di un accesso agli stessi successivamente all’emissione della sentenza impugnata.
Il giudice dell’appello avrebbe dunque omesso di valutare la prova e di disporne la rinnovazione ai sensi dell’art. 603 comma 3 c.p.p. e comunque contravvenuto all’obbligo di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado in quanto parimenti fondata sulle menzionate dichiarazioni testimoniali.
Con il terzo motivo vengono dedotti erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza del reato di sostituzione di persona.
In proposito il ricorrente lamenta l’illogicità del ragionamento probatorio sviluppato in sentenza su base indiziaria inconsistente e comunque contraddittoria, posto che il falso profilo “facebook” era collegato ad un indirizzo IP intestato a soggetto diverso dall’imputato e veniva alimentato attraverso l’utenza telefonica della sorella del medesimo.
Parimenti illogica è secondo il ricorso la ricostruzione del presunto movente che avrebbe animato il (OMISSIS), che la stessa Corte ritiene solo verosimile individuare nell’asserito risentimento da questi nutrito nei confronti del (OMISSIS) per circostanze invero solo supposte da quest’ultimo ed in riferimento alle quali alcun riscontro sarebbe stato acquisito, oltre a risultare temporalmente incompatibili con i fatti di cui all’imputazione.
Analoghi vizi vengono denunziati con il quarto motivo in merito all’affermata responsabilità per il reato di minaccia, posto che le frasi pubblicate sulla bacheca di “facebook” non avrebbero alcun carattere intimidatorio, non contenendo la prospettazione di alcun male ingiusto il cui verificarsi dipenda dalla volontà dell’imputato, mentre in ogni caso la persona offesa non avrebbe mai confermato che le stesse coincidano con quelle contestato nell’imputazione.
E sempre erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione vengono dedotti anche con il quinto motivo in merito al denegato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. non essendo stata provata l’abitualità della condotta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel suo complesso infondato e deve pertanto essere rigettato.
2. Secondo l’insegnamento di questa Corte la mancata trascrizione delle dichiarazioni fonoregistrate rese dai testimoni in sede di esame dibattimentale integra, laddove il verbale redatto in forma riassuntiva rimandi integralmente ad esse, una nullità d’ordine generale della sentenza per violazione del diritto di difesa, nel solo caso in cui la sentenza di condanna si sia fondata sul contenuto di dette dichiarazioni (Sez. 4, n. 17404 del 20/03/2018, Bozzi, Rv. 272650; Sez. 3, n. 42505 del 11/11/2010, Biava, Rv. 249153).
Non è invece nulla, in difetto di specifica previsione, la sentenza deliberata in assenza di documenti che, acquisiti al fascicolo processuale e andati dispersi nel corso del procedimento, non siano stati adeguatamente ricostituiti da parte del giudice (Sez. 2, n. 15821 del 26/02/2019, pc in proc. Abbena, Rv. 276555).
Nel caso di specie il ricorrente eccepisce che la deposizione del teste (OMISSIS) – che dal verbale dell’udienza dibattimentale di primo grado in cui è stata assunta risulta essere stata regolarmente fonoregistrata – non sia mai stata trascritta ovvero che la relativa trascrizione sia stata smarrita in quanto comunque non rinvenuta dal difensore nel fascicolo processuale.
In proposito va anzitutto osservato che il mancato rinvenimento della trascrizione è stato sostanzialmente autocertificato dal ricorrente attraverso l’allegazione della richiesta di copia dell’atto in cui il difensore lamenta la circostanza.
Non è stata invece prodotta – e nemmeno risulta richiesta – alcuna attestazione da parte della cancelleria in merito all’effettiva mancanza in atti della trascrizione di cui si tratta.
Né rileva, in difetto di quest’ultima, che tra gli atti trasmessi a questa Corte la stessa non sia presente, atteso che la trasmissione può essere incompleta e proprio al fine di certificare lo stato dei medesimi alla partenza il difensore avrebbe dovuto farsi rilasciare la suddetta attestazione.
In secondo luogo deve annotarsi che la menzionata richiesta di copia degli atti nella quale si afferma il mancato rinvenimento dell’atto è stata presentata successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata.
Il fatto, dunque, che il difensore non abbia rinvenuto a quel momento l’atto non comprova che la trascrizione non sia mai stata effettuata ovvero che la stessa sia stata smarrita, come sostanzialmente sostenuto nel ricorso, già prima della decisione del Tribunale (circostanza che la difesa avrebbe peraltro dovuto eccepire con il gravame di merito e che invece non ha fatto), piuttosto che in un momento successivo alla deliberazione della Corte d’appello.
Peraltro la sentenza di primo grado e lo stesso atto d’appello contengono precisi riferimenti alla deposizione del teste, circostanza che induce a propendere che si sia effettivamente proceduto alla trascrizione della deposizione.
Non di meno va ricordato che la documentazione della prova è costituita dalla fonoregistrazione – che, come ricordato, dal verbale dell’udienza del 21 giugno 2018, risulta essere stata regolarmente effettuata – e dunque il difensore avrebbe dovuto allegare anche le ragioni per cui debba ritenersi che, nell’eventuale assenza della sua trascrizione, il giudice non possa aver fatto riferimento alla suddetta registrazione.
In conclusione la difesa non ha fornito alcun elemento concreto in grado di comprovare che i giudici del merito abbiano deliberato senza disporre della trascrizione della deposizione del teste e, pertanto, i primi due motivi di ricorso devono ritenersi infondati.
3. Parimenti infondati o inammissibili sono gli altri motivi.
3.1 In particolare infondato è il terzo motivo, poichè la Corte ha del tutto logicamente attribuito all’imputato la creazione del falso profilo “facebook” sulla base del movente dallo stesso coltivato e sugli accertamenti relativi alla sua origine.
Il primo non è stato ricostruito, come obiettato, esclusivamente sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, bensì anche delle minacce pubblicate dal (OMISSIS) a propria firma sulla bacheca del social network e che inequivocabilmente evidenziano il suo astio nei confronti del De (OMISSIS).
Quanto alle verifiche compiute dallo (OMISSIS), il ricorrente non ha considerato come l’utenza intestata alla sorella dell’imputato attraverso cui si accedeva all’indirizzo IP collegato al falso profilo non è una utenza cellulare, ma quella fissa installata nella comune abitazione dei due germani e dunque nella piena disponibilità dell’imputato.
3.2 Meramente assertive e comunque versate in fatto sono invece le doglianze articolate con il quarto motivo, posto che il contenuto e la costruzione delle frasi pubblicate dal (OMISSIS) e specificamente rivolte alla persona offesa non consente di dubitare sul loro carattere minatorio, posto che il tono allusivo delle medesime svela la mera strumentalità del tentativo di imputare ad altri o al caso il male ingiusto prospettato.
Ugualmente inammissibile è il quinto ed ultimo motivo, atteso che con motivazione logica e coerente alle risultanze esposte la Corte ha ritenuto l’offesa arrecata di non particolare tenuità, rimanendo del tutto irrilevante che la condotta dell’imputato non abbia assunto il carattere dell’abitualità.
Va infatti ribadito che l’abitualità è causa ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità, la cui integrazione dipende però da una positiva valutazione da parte del giudice sulla contenuta offensività del fatto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 07/06/2021.
Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2021.