Atti processuali. Oltre l’errore: abnormità del provvedimento e impasse processuale (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 23 settembre 2022, n. 36028).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente –

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere –

Dott. SESSA Renata – Rel. Consigliere –

Dott. BIFULCO Daniela – Consigliere –

Dott. CARUSILLO Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA

nei confronti di:

(OMISSIS) ANITA CLOTILDE nata a TORINO il 02/05/19xx;

avverso l’ordinanza del 14/10/2021 del GIP TRIBUNALE di ROMA;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa RENATA SESSA;

lette le conclusioni del PG, che ha concluso per l’annullamento del provvedimento impugnato;

il difensore dell’imputata, ha chiesto rigettarsi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Col ricorso in scrutinio il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha impugnato l’ordinanza pronunziata in data 14.10.2021 con cui il Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Roma dichiarava nulla la richiesta di rinvio a giudizio per asserita diversità dei fatti descritti nell’imputazione riportata nella richiesta di rinvio a giudizio rispetto a quelli riportati nell’avviso di conclusione delle indagini, con conseguente restituzione degli atti al P.M., rilevando l’abnormità della stessa.

2. Il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte con requisitoria scritta ha concluso per l’annullamento del provvedimento impugnato.

3. Il difensore dell’imputata, (OMISSIS) Anita Clotilde, con la memoria pervenuta in atti ha chiesto rigettarsi il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

Il giudice ha errato nel ritenere la nullità, per lesione del diritto di difesa, della richiesta di rinvio a giudizio perché preceduta da un avviso di conclusione delle indagini che conteneva la indicazione del fatto in parte divergente rispetto alla richiesta di rinvio a giudizio, ma tale erronea declaratoria non si risolve in un atto abnorme.

Come è noto, sotto un profilo puramente letterale l’art. 415-bis c.p.p. e l’art. 417 c.p.p. sono diversi, nel senso che mentre il primo richiede la sommaria enunciazione del fatto, il secondo prevede l’enunciazione del fatto in forma chiara e precisa; ne discende anche la non sovrapponibilità del contenuto dei due atti che hanno del resto finalità differenti.

Con la richiesta di rinvio a giudizio si cita per il dibattimento una persona per rispondere ad una accusa specifica; quindi il documento serve anche per formalmente contestare l’accusa che perciò deve contenere una enunciazione chiara e precisa del fatto.

L’avviso di conclusione delle indagini non ha la funzione di contestare il fatto reato, ma ha uno scopo eminentemente informativo, nel senso che con esso il Pubblico ministero avvisa l’indagato che, con riferimento ad una determinata vicenda, le indagini sono concluse e che gli esiti delle stesse sono messi a sua disposizione.

Il Pubblico Ministero con l’avviso ex art. 415-bis c.p.p. avverte, inoltre, l’indagato che ha la possibilità di prendere visione dei documenti raccolti nel corso delle indagini, di presentare memorie, indagini difensive e di chiedere dì essere interrogato.

Insomma lo scopo evidente dell’istituto è quello di mettere in condizioni l’indagato di apprestare la sua difesa; e tali finalità sono perfettamente conseguite con una sommaria enunciazione del fatto proprio perché la finalità dell’istituto, come si è già notato, non è la contestazione del reato, che avverrà in un momento successivo, ma la individuazione del procedimento e del fatto sul quale si sono sviluppate le indagini.

Le finalità completamente diverse dei due atti legittimano e giustificano, quindi, una diversità di contenuto degli stessi.

D’altronde la declaratoria di nullità della citazione a giudizio è prevista dall’art. 416 cod. proc. pen. soltanto nell’ipotesi in cui manchi la notifica dell’avviso ex art. 415-bis e non quando la enunciazione del fatto sia ritenuta insufficiente, considerata la diversa funzione assolta dal citato art. 415-bis cod. proc. pen., rispetto a quella di cui all’art. 417 o all’art. 552 cod. proc. pen., laddove nel caso di specie non può ritenersi omesso l’avviso di conclusione delle indagini essendo mutati ovvero precisati solo alcuni aspetti fattuali della vicenda contestata che è rimasta pressoché invariata nella sostanza.

Ciò posto, si ritiene che da tale premessa non possa, però, scaturire – come invece ritenuto da Sez. 1 n. 11405 del 30/01/2004, Rv. 227820, conf. Sez. 5, Sentenza n. 28548 del 14/06/2007, Rv. 237568 – l’abnormità del provvedimento con cui il giudice ha erroneamente dichiarato, per i profili suindicati, la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, trattandosi pur sempre di atto che non si pone al di fuori dell’ordinamento, costituendo esso espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall’ordinamento medesimo, e che non determina la stasi del procedimento, potendo il pubblico ministero disporre la rinnovazione degli atti che il giudice ha ritenuto viziati, senza incorrere in alcuna nullità (cfr. per la non abnormità, Sez. 6, n. 22430 del 22/04/2008, Rv. 240567 che ha affermato che non è abnorme, e quindi non è ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice del dibattimento, rilevata la incompleta informazione sull’oggetto dell’imputazione, come risultante dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari e dal decreto di citazione a giudizio, dichiari la nullità di quest’ultimo, disponendo la restituzione degli atti al P.M.; nonché Sez. 2, n. 45383 del 05/11/2008, Rv. 241972, secondo cui non è abnorme, e pertanto non può essere oggetto di ricorso immediato per cassazione, il provvedimento con il quale il giudice dell’udienza preliminare – ritenendo, quand’anche erroneamente, la necessità che l’avviso previsto dall’art. 415-bis cod. proc. pen. contenga le indicazioni previste dall’art. 369-bis comma secondo lett. a) cod. proc. pen. – dichiara la nullità del decreto di citazione a giudizio, posto che l’atto è adottato comunque in forza di un potere di cui l’organo decidente è legittimamente dotato e che la decisione non si pone per la sua anomalia o singolarità al di fuori del sistema processuale).

Ed invero, alla stregua delle diverse pronunce delle Sezioni Unite intervenute in materia, deve ritenersi che è affetto da abnormità innanzitutto il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, e che sia da qualificare abnorme anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite.

L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativa, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Sez. U, n. 17 del 10/12/1997 – dep. 1998 – Di Battista; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999 – dep. 2000 – Magnani).

Come autorevolmente ricordato in motivazione da Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, «non si può ricorrere alla categoria dell’abnormità quando l’atto o il provvedimento che si vuole rimuovere rientri nei poteri del giudice che lo ha adottato, e cioè discende da un potere riconosciuto o attribuito dalla legge, dato che in tal caso nessuna estraneità al sistema può evidenziarsi.

Così è nell’ipotesi in cui si faccia valere l’inosservanza di norme che prevedono l’adozione di un determinato atto a date condizioni di fatto, e l’eventuale insussistenza delle stesse ne determina l’illegittimità ma non l’abnormità e, quindi, si tratterà di un provvedimento “contro norma” ma non “extra norma” (…) la configurazione di un atto abnorme non richiede verifica ulteriore rispetto a quella concernente l’assenza di potere del giudice di provvedere, con la conseguenza che il ricorso per cassazione con denuncia di abnormità non può autorizzare la verifica, in sede di legittimità, di un vizio di legge dei provvedimento, ex art. 606 comma 1 lett. c) c.p.p., “salvo eludere lo stesso fondamento del concetto di abnormità” e porre nel nulla il principio di tassatività delle impugnazioni» (nello stesso senso, già Sez. U, n. 4 del 31/01/2001, Romano, secondo cui va ribadita la rigorosa affermazione giurisprudenziale (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 22.11.2000, P. M. in proc. Boniotti) per la quale il solo fatto che un provvedimento sia inficiato da una qualsivoglia violazione di legge non ne giustifica, di per sé, l’immediata ricorribilità per cassazione in nome della categoria dell’abnormità, la quale non può essere surrettiziamente utilizzata, dilatandone i confini, al fine di aggirare la preclusione correlata alla tipicità dei mezzi d’impugnazione secondo il dettato degli artt. 568 e 586 del codice di rito, insieme con il principio di tassatività delle nullità stabilito dall’art. 177 stesso codice).

Alla luce di tali parametri appare evidente che il provvedimento, sia pure errato, adottato dal giudice nel caso di specie non sia affatto abnorme: esso non si contraddistingue per singolarità né si pone extra ordinem, e, sebbene abbia comportato una illegittima regressione del procedimento, non ha determinato una stasi irreversibile di esso; stasi irreversibile che sì ha solo allorquando l’esecuzione dell’atto imposta dal remittente comporti la commissione di una nullità ovvero di un’attività processuale contra legem, successivamente suscettibile di eccezione; evenienza non ricorrente nel caso di specie dal momento che il Pubblico Ministero nel ripetere l’avviso di conclusione delle indagini col contenuto più specifico richiesto dal giudice, non incorre certamente in una nullità né, più in generale, nella violazione di norme.

Il discrimine tra l’atto abnorme e quello erroneo è stato, invero, di recente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte che, nel confermare un orientamento già manifestatosi nella giurisprudenza di questa Corte, pronunciandosi con riferimento al diverso caso della erronea restituzione degli atti al pubblico ministero ex art. 33-sexies del codice di rito, ha affermato che è abnorme, e quindi ricorribile per Cassazione, l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che investito di richiesta di rinvio a giudizio disponga ai sensi dell’art. 33 sexies, cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, trattandosi di atto che impone al pubblico ministero di compiere un’attività processuale contra legem e in violazione dei diritti difensivi, successivamente eccepibile, ed è idoneo pertanto a determinare un’indebita regressione nonché la stasi del procedimento (così nell’informazione provvisoria diffusa in relazione alla pronuncia delle Sezioni Unite del 28.4.2022, R.G. 18769/21).

In altri termini il fatto che l’erronea declaratoria di nullità comporti una illegittima regressione del procedimento non costituisce circostanza di per sé sufficiente a qualificare quel provvedimento come abnorme, essendo a tal fine necessario che si determini anche una stasi del procedimento non altrimenti risolvibile se non con l’adozione di un atto nullo che come tale non potrebbe giammai essere risolutivo dell’impasse creatasi.

2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso del P.M.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del P.M.

Così deciso il 28/6/2022.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.