C’è violazione del vincolo paesaggistico quando si occupa una porzione di spiaggia senza averne l’autorizzazione (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 27 settembre 2022, n. 36545).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente –

Dott. LIBERATI Giovanni – Rel. Consigliere –

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere –

Dott. MAGRO Maria Beatrice – Consigliere –

Dott. CORBO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce;

nel procedimento nei confronti di:

(OMISSIS) Francesca, nata a Scorrano il 6/2/19xx, quale legale rappresentante della (OMISSIS) S.a.s. di (OMISSIS) Francesca;

avverso la sentenza del 9/12/2021 del Tribunale di Lecce;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso, trattato ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giovanni Liberati;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Valentina Manuali, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso;

lette le conclusioni del difensore di (OMISSIS) Francesca, avv. Stefano (OMISSIS), che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 9 dicembre 2021 il Tribunale di Lecce ha assolto Francesca (OMISSIS), perché il fatto non sussiste, dai reati di cui agli artt. 734 cod. pen., 181 d.lgs. 42/2004, 54 e 1161 cod. nav., che le erano stati contestati per avere, quale legale rappresentante della S.a.s. (OMISSIS) di (OMISSIS) Francesca, proprietaria di una struttura balnearia sita in località (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS), posta in area sottoposta a vincolo paesaggistico e di interesse comunitario, in assenza delle prescritte autorizzazioni, occupato un tratto di spiaggia prospiciente il lido (OMISSIS) per una lunghezza di 80 metri, collocando pietrame, conci di tufo e sacchi di tela contenenti sabbia, per una superficie totale di 160 metri quadri, in parte sul bagnasciuga e nella parte emersa, deturpando le bellezze naturali della zona.

Il Tribunale ha escluso la configurabilità di tutti i reati contestati alla imputata in considerazione della temporaneità e della precarietà degli interventi dalla stessa eseguiti, consistenti nel posizionamento, limitato agli ultimi giorni dell’estate, di sacchi di sabbia per fronteggiare un imminente pericolo di crollo, non richiedente autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 2 d.P.R. 31/2017, considerando anche l’assenza di alterazioni del paesaggio e di condotte idonee a incidere sulla consistenza di beni demaniali o sul loro uso.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce, che lo ha affidato a due motivi.

2.1. In primo luogo, ha denunciato la violazione e l’errata applicazione degli artt. 181 d.lgs. 42/2004 e 54 e 1161 cod. nav., sottolineando l’erroneità del richiamo operato dal Tribunale agli interventi di cui all’allegato A del d.P.R. 31/2017, che riguardano situazioni del tutto diverse rispetto a quella nella quale si era trovata la ricorrente, consistenti nella necessità di operare interventi di modesto impatto ambientale e di salvaguardia della vegetazione, dei corsi d’acqua e dell’agricoltura, mentre l’intervento realizzato dalla imputata aveva inciso in maniera significativa sul territorio costiero a causa della collocazione per una superficie di 160 metri quadri di pietrame, conci di tufo e sacchi di plastica, che non potevano essere considerati interventi di lieve entità o rientranti fra gli interventi precari o facilmente amovibili.

Ha richiamato il carattere di fonte secondaria del regolamento emanato con il d.P.R. 31/2017, con la conseguente necessità di individuare gli interventi non assoggettati ad autorizzazione paesaggistica sulla base di un criterio di stretta interpretazione e da compiere tenendo conto della finalità di tale disciplina di semplificazione, ispirata, come chiarito nella relativa relazione di accompagnamento, ai criteri della non percepibilità paesaggistica, della innocuità dell’intervento (intesa come insuscettibilità di arrecare anche in astratto pregiudizio al bene paesaggistico protetto) della facile amovibilità e della sicura temporaneità dell’intervento, tale da escludere che costituisca una trasformazione stabile e permanente del territorio.

Sulla base di tali criteri l’intervento realizzato dalla ricorrente non poteva essere considerato di lieve entità, con la conseguente necessità per lo stesso della autorizzazione paesaggistica.

Per le medesime ragioni ha censurato l’affermazione della insussistenza della occupazione di una porzione del demanio marittimo in assenza della necessaria concessione, essendo stato occupato un tratto di spiaggia della lunghezza di 80 metri, collocandovi pietrame, conci di tufo e sacchi di materiale plastico contenenti sabbia, per la gran parte sommersi dall’acqua, per una superficie totale di 160 metri quadri, con la conseguente configurabilità, difettando un titolo concessorio per l’occupazione di tale porzione del demanio marittimo, del reato di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav.

2.2. Con il secondo motivo ha denunciato l’errata applicazione dell’art. 734 cod. pen., in quanto, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, la collocazione di pietrame, conci di tufo e sacchi di sabbia, anche se finalizzata a contenere la naturale erosione della spiaggia, aveva alterato le bellezze tipiche dell’area, caratterizzata da macchie verdi ed essenze locali e da un bosco che si sviluppa lungo una parte del litorale.

3. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, sottolineando che il Tribunale ha correttamente interpretato la normativa applicabile al caso di specie e che il Pubblico Ministero ricorrente propone una nuova valutazione da contrapporre a quella effettuata dai giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali, inammissibile in sede di legittimità.

4. Con memoria del 1 settembre 2022 l’imputata ha resistito al ricorso, evidenziandone la manifesta infondatezza e il contenuto non consentito, per essere volto a conseguire una nuova valutazione delle risultanze processuali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del pubblico ministero è fondato.

2. Il Tribunale di Lecce ha assolto l’imputata dai reati di cui agli artt. 734 cod. pen., 181 d.lgs. 42/2004 e 54 e 1161 cod. nav., che le erano stati contestati per l’indebita e non autorizzata occupazione di una porzione di demanio marittimo, attraverso la collocazione di conci di tufo, pietrame e sacchi di sabbia per una lunghezza di 80 metri di spiaggia e una estensione di 160 metri quadri, ritenendo trattarsi di intervento di carattere temporaneo e precario, rientrante nelle previsioni di cui all’art. 2 d.P.R. 31/2017, allegato A, come tale escluso dalla necessità di autorizzazione paesaggistica, inidoneo ad arrecare danno al paesaggio (“trattandosi come già detto di semplici sacchi di sabbia posti ad arginare il pericolo di crollo anche a tutela dell’incolumità dei bagnanti”, pag. 3 della sentenza impugnata) e anche a modificare parti del demanio marittimo o a incidere sul loro uso.

3. Va dunque osservato che l’art. 2 del d.P.R. 13 febbraio 2017, con cui è stato emanato il regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata, esclude dalla necessità di autorizzazione paesaggistica gli interventi e le opere di cui all’Allegato A del regolamento stesso. Quest’ultimo contiene, da A.1. ad A.31., l’elencazione di 31 classi di interventi su opere e in aree vincolate esclusi dalla autorizzazione paesaggistica, alcuni dei quali caratterizzati dalla facile amovibilità e dalla temporaneità (ad esempio quelli di cui alle lettere A.16. e A.17.).

Nel caso in esame il Tribunale, a fronte della contestazione di un intervento che, sulla base della sua analitica descrizione contenuta nella imputazione, risulta chiaramente di non minima entità, in ragione della sua estensione e delle sue caratteristiche (per essere stato realizzato mediante posa di conci in tufo e pietrame per una superficie di 160 metri quadri e una lunghezza di 80 metri di spiaggia), né facilmente amovibile, né transitorio, non ha spiegato in quale delle suddette 31 classi di interventi rientri quello realizzato dalla imputata, né, soprattutto, per quale ragione si tratterebbe di intervento temporaneo e precario, posto che dalla descrizione dello stesso e, in particolare, della natura dei materiali utilizzati, l’intervento in questione non risulta né precario, né transitorio (come, ad esempio, nel caso di opere facilmente amovibili e realizzate per soddisfare una esigenza momentanea, quali quelle di cui alla lettera A.16., che riguarda l’installazione di strutture o di manufatti semplicemente ancorati al suolo senza opere murarie o di fondazione, per manifestazioni, spettacoli, eventi o per esposizioni e vendita di merci, per il solo periodo di svolgimento della manifestazione).

Ne consegue la sussistenza della violazione della disposizione di legge penale denunciata dal pubblico ministero, posto che è stata esclusa la configurabilità del reato paesaggistico di cui all’art. 181 d.lgs. 42/2004 sulla base di una errata applicazione dell’art. 2 d.P.R. 31/2017.

4. Va, peraltro, ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato la necessità della autorizzazione paesaggistica anche per le opere precarie, se eseguite in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.

Già con la sentenza Arcucci (Sez. 3, n. 2267 del 28/01/1997, Arcucci, Rv. 207907), è stato ritenuto configurabile il reato previsto dall’articolo 1 sexies della legge 431\85 nel caso in cui si proceda alla costruzione, anche provvisoria, di una struttura idonea ad “alterare lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici” (nella fattispecie sì trattava della realizzazione, nell’isola dì Capri, di una struttura costituita da un palcoscenico sorretto da cassoni in cemento armato collegati tra loro da un cordolo perimetrale e da una platea per posti a sedere, montata su traverse ed altre strutture in cemento armato e sormontato da “tubi innocenti” e traverse in legno, destinata allo svolgimento di rappresentazioni teatrali).

In tale decisione, con cui era stata peraltro esclusa la natura precaria dell’intervento realizzato, è stato precisato che l’art. 1 della I. 431\85 prevede che siano realizzabili strutture precarie in zone soggette a vincolo solo con riferimento a quelle strumentali all’esercizio di attività agro-silvo-pastorali, evidenziando come nessun riferimento alla provvisorietà venga effettuato con riguardo agli interventi urbanistico-edilizi di diversa natura.

In altra occasione, è stata ribadita la irrilevanza della precarietà dell’intervento ai fini della configurabilità del reato paesaggistico, osservando, tra l’altro, come la preventiva autorizzazione sia comunque richiesta non solo perché possa verificarsi la effettiva temporaneità dell’intervento, ma anche per un necessario controllo circa l’adozione delle dovute cautele nella fase della esecuzione e della rimozione (Sez. 3, n. 13716 del 15/10/1999, Di Tommaso, Rv. 214980).

Tale principio è stato ribadito affermando che il reato dì pericolo previsto dall’art. 181 del d.l.gs. 22 gennaio 2004, n. 42 è integrato anche dalla realizzazione di manufatti precari e facilmente amovibili (nella specie, una struttura in ferro con copertura superiore e laterale in plastica di mq. 36), essendo assoggettabile ad autorizzazione ogni intervento modificativo, con esclusione delle sole condotte che si palesino inidonee, anche in astratto, a compromettere i valori del paesaggio (Sez. 3, n. 38525 del 25/09/2012, Gruosso, Rv. 253690; nel medesimo senso Sez. 3, n. 39429 del 12/06/2018, Scrocchi).

La giurisprudenza di legittimità ha anche chiarito che la precarietà di un intervento non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dall’utilizzatore e che sono irrilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l’agevole rimovibilità, in quanto è richiesta una intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo e l’opera deve essere destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione dell’uso (così, in motivazione, la sentenza Scrocchi citata).

5. Ora, al di là del fatto che tali evenienze non risultano accertate nella fattispecie in esame, né, come evidenziato, è stato indicato in quale delle suddette 31 classi di interventi previste dall’allegato A del regolamento emanato con il d.P.R. 13 febbraio 2017 (recante l’individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata) rientri, e per quali ragioni, quello realizzato dalla imputata, non v’è dubbio, come sottolineato anche nel ricorso del pubblico ministero, alla luce dei principi affermati in modo univoco e costante dalla giurisprudenza di legittimità e tenendo conto della natura dì fonte secondaria del regolamento emanato con il d.P.R. n. 31 del 2017, che l’elenco degli interventi non assoggettati ad autorizzazione paesaggistica (o soggetti ad autorizzazione semplificata) deve essere letto e interpretato secondo un criterio di stretta interpretazione, che tenga conto della finalità di tale regolamento e del sistema nel quale esso si inserisce.

La regola generale di cui all’art. 146 d.lgs. 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio), che prescrive che ogni intervento che comporti modificazioni o rechi pregiudizio all’aspetto esteriore delle aree vincolate e soggetto al previo dell’autorizzazione paesaggistica, consacrata in una fonte di rango primario, non può certamente essere derogata da una fonte di rango secondario, quale è il suddetto regolamento 31/2017, che è di attuazione e non di delegificazione, e dunque non può liberalizzare interventi che per la norma di rango primario sono assoggettati ad autorizzazione.

Ne consegue che l’accertamento, in punto di fatto, della riconducibilità degli interventi eseguiti in area sottoposta a vincolo nel novero di quelli non soggetti ad autorizzazione (cioè quelli di cui all’elenco allegato sub A al citato d.P.R. 31/2017) o di quelli di lieve entità soggetti a procedimento autorizzatorio semplificato (di cui all’elenco allegato sub B del medesimo regolamento), deve essere condotto attenendosi a una interpretazione logico sistematica di carattere finalistico delle disposizioni del regolamento.

Può, dunque, essere affermato il seguente principio di diritto:

L’accertamento, in punto di fatto, della riconducibilità degli interventi eseguiti in area sottoposta a vincolo paesaggistico nel novero di quelli non soggetti ad autorizzazione (cioè quelli di cui all’elenco allegato sub A al d.P.R. 31/2017) o tra quelli di lieve entità soggetti a procedimento autorizzatorio semplificato (di cui all’elenco allegato sub B del medesimo regolamento), deve essere condotto attenendosi a una interpretazione logico sistematica di carattere finalistico delle disposizioni del regolamento, che determini l’applicazione delle disposizioni derogatorie solamente agli interventi di lieve entità, ossia gli interventi che per tipologia, caratteristiche e contesto in cui si inseriscono non siano idonei a pregiudicare i valori paesaggistici tutelati dal vincolo“.

6. Considerazioni in parte analoghe possono essere svolte per quanto riguarda l’esclusione della sussistenza delle contravvenzioni di cui all’art. 734 cod. pen. e agli artt. 54 e 1161 cod. nav., cui il Tribunale è pervenuto limitandosi ad affermare che la installazione di sacchi di sabbia allo scopo di arginare pericoli di crollo e di salvaguardare l’incolumità dei bagnanti non comporterebbe alterazione della bellezza dell’area, né modificazione del demanio marittimo od ostacoli al suo utilizzo, omettendo del tutto di considerare, anche a questo proposito, sia la natura e le caratteristiche dei materiali impiegati; sia l’entità dell’intervento; sia il fatto che l’alterazione delle bellezze naturali contemplata dall’art 734 cod. pen. sussiste anche quando la bellezza dei luoghi possa essere ripristinata (v., in tal senso, Sez. 3, n. 29508 del 04/04/2019, Schettino, Rv. 276359; conf. n. 1700 del 1969, Rv. 110154; n. 2685 del 1992, Rv. 190738); sia perché non è stato illustrato per quali ragioni, nonostante entità e caratteristiche dell’intervento, lo stesso non sarebbe idoneo a modificare i beni del demanio marittimo o a incidere sul loro utilizzo, posto che il reato di occupazione arbitraria di bene demaniale marittimo sussiste quando sia in qualunque modo compromesso o pregiudicato l’interesse della collettività a usare in maniera completa e in tutte le sue implicazioni il bene demaniale (v. Sez. 3, n. 15415 del 17/02/2016, Nica, Rv. 266814; Sez. 3, n. 30666 del 29/03/2018, Sorreca, Rv. 273762).

7. La sentenza impugnata risulta, dunque, viziata dalla errata applicazione delle disposizioni di legge penale denunciata dal pubblico ministero ricorrente, cosicché la stessa deve essere annullata, con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, per nuovo giudizio, da compiere tenendo conto della effettiva entità e incidenza dell’intervento realizzato dalla imputata e delle condizioni per poter ritenere configurabili le fattispecie di reato alla stessa contestate, ovvero per escluderle, o ritenere applicabile la disciplina di cui al regolamento adottato con il d.P.R. 31/2017.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Lecce.

Così deciso il 14/9/2022.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.