Avvocati, compenso in base alle tariffe se non è provato il monte orario pattuito (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 7 febbraio 2024, n. 3492).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta da

Felice Manna              – Presidente –

Linalisa Cavallino       – Consigliere –

Giuseppe Fortunato  – Consigliere –

Riccardo Guida          – Consigliere –

Valeria Pirari               – Consigliere Rel. –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10516/2023 R.G. proposto da

(omissis) (omissis) rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli avv.ti (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) con elezione di domicilio digitale presso l’indirizzo PEC.;

ricorrente

contro

(omissis) S.N.C. DI (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) rappresentati e difesi dall’avv. (omissis) (omissis) ed elettivamente domiciliati presso il domicilio digitale di quest’ultimo;

controricorrenti-

 nonché contro

(omissis) (omissis);

-intimato-

Avverso la sentenza n. 541/2023, resa dalla Corte d’Appello di Milano, pubblicata il 16/2/2023 e notificata a mezzo PEC;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024 dalla dott.ssa Valeria Pirari;

Rilevato che:

1. Con atto di citazione notificato il 27 giugno 2018, in proprio e in qualità di legale rappresentante di (omissis) s.n.c e (omissis) (omissis) proposero opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. (omissis) emesso dal Tribunale di Milano in favore dell’Associazione professionale (omissis) (omissis) per compensi professionali di assistenza giudiziale e stragiudiziale, espletata sulla base dei contratti stipulati in data 22 ottobre 2015 tra la medesima società, e lo (omissis) esponendo che il Tribunale di Milano aveva ingiunto alla società (omissis) il pagamento di € 43.773,60 e al solo (omissis) (omissis) il pagamento di ulteriori € 68.578,04 nei confronti dello (omissis) che l’Associazione professionale aveva emesso nei confronti della società due fatture, mentre una terza fattura risultava integralmente pagata, e che il decreto era stato emesso considerando la produzione nei confronti del solo (omissis) (omissis) di tre fatture, e contestando l’an e il quantum della pretesa.

Costituitosi in giudizio lo studio Associato (omissis), il Tribunale di Milano, con sentenza n. 8273/2021, revocò il decreto ingiuntivo, in ragione dell’errore di calcolo compiuto, in sede monitoria, dallo (omissis) a pagare a (omissis) (omissis) la somma di € 63.578,64, e, rideterminato l’importo dovuto dalla società (omissis) s.n.c. per l’attività difensiva svolta a suo favore, la condannò a pagare la somma di € 17.870,00.

II giudizio d’appello, incardinato, con atto di citazione ritualmente notificato il 15 aprile 2022, dalla società (omissis) s.n.c., da (omissis) si concluse, nel contraddittorio con l’appellato (omissis) (omissis) con la sentenza n. 541/2023, pubblicata il 16 Febbraio 2023, con la quale la Corte d’appello di Milano accolse l’appello proposto, rigettò le domande avanzate dall’Associazione professionale (omissis) e la condannò alla restituzione degli importi corrisposti dagli appellanti in  esecuzione della sentenza impugnata.

2. Contro la predetta sentenza, (omissis) (omissis) propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, illustrato anche con memoria.

Si sono difesi con controricorso, illustrato anche con memoria (omissis) s.n.c. e (omissis) mentre (omissis) (omissis) é rimasto intimato.

Considerato che:

1. Con l’unico motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 1709, 2225 e 2233 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto che, in presenza di una espressa pattuizione, non potevano essere applicate le tariffe professionali per la quantificazione del compenso, essendo irrilevante l’onerosità dell’attività di patrocinio.

Ad avviso della ricorrente, invece, l’onerosità del contratto d’opera prescindeva dall’intervenuta pattuizione del compenso e dal mancato raggiungimento della prova sul quantum, essendo il giudice tenuto a determinare il compenso con criterio equitativo, indipendentemente dalla specifica richiesta del professionista e dalla carenza delle risultanze processuali suI quantum, e non potendo rigettare la domanda per carente assolvimento dell’onere probatorio sulla misura, sicché la Corte d’Appello avrebbe dovuto provvedere, non essendo contestato l’avvenuto espletamento dell’incarico sia giudiziale che stragiudiziale.

2. Il motivo é fondato.

Come recentemente affermato dalle Sezioni unite di questa Corte in tema di compensi professionali (Cass., Sez. U, 8/7/2021, n. 19427), la norma architrave, data dall’art. 2233 cod. civ., «a tenore del quale ii compenso dovuto per le prestazioni d’opera intellettuale, se non é convenuto dalle parti e se non può essere stabilito secondo le tariffe o gli usi, é determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene, pone una gerarchia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti (la quale deve essere redatta per gli avvocati in forma scritta, a pena di nullità), e poi, esclusivamente in mancanza di quest’ultima ed in ordine successivo, alle tariffe ed agli usi (della cui sopravvivenza e peraltro legittimo dubitare, in ragione dell’eliminazione del sistema tariffario avviata con ii D.L. 4 luglio 2006 n. 223, convertito nella L. 4 agosto 2006, n. 248) e, infine, alla determinazione del giudice, previo parere dell’associazione professionale».

«II ricorso ai criteri sussidiari (tariffe professionali, usi, decisione giudiziale)», proseguono le Sezioni unite, «e cosi precluso al giudice quando esiste uno specifico accordo tra le parti, le cui pattuizioni risultano preminenti su ogni altro criterio di liquidazione» (Cass. 29/11/2019, n. 31311; Cass. 25/1/2017, n. 1900; Cass. 29/12/2011, n. 29837; Cass. 29/1/2003, n. 1317; Cass. 23/5/2000, n. 6732), svolgendo le tariffe «una funzione integrativa della norma e suppletiva per il giudice, il quale se ne avvale quale criterio di riferimento nella determinazione del compenso al professionista, se ed in quanto manchi un accordo tra professionista e cliente sulla sua misura, ovvero non esistano tariffe obbligatorie», sicché «fuori da questi ultimi due casi, l’esercizio da parte del giudice del potere discrezionale di liquidazione del compenso trova limite nell’obbligo, per lo stesso giudice, di acquisire il parere della competente associazione professionale, dal quale può legittimamente discostarsi a condizione, però, di fornire adeguata motivazione (Cass. 19/1/2017, 12681; Cass. 5/1/2011, n. 236; v. anche Cass. 22/1/2000, n. 694) e di non ricorrere al criterio dell’equità (Cass. 22/5/1998, n. 5111).

Gli stessi principi valgono, peraltro, anche con riferimento all’attività stragiudiziale svolta dall’avvocato, in relazione alla quale, in caso di mancato compimento dell’incarico stragiudiziale affidatogli, spetta al predetto il diritto di ricevere il compenso relativo all’attività concretamente svolta, qualora ne venga accertata l’idoneità a conseguire il risultato programmato dalle parti, da determinarsi, soltanto in mancanza di accordo tra le parti, sulla base delle voci tariffarie relative alle singole prestazioni rese o, in mancanza, in via equitativa, ai sensi dell’art. 2233 cod. civ. (Cass., Sez. 2, 31/1/2023, n. 2788).

Tali principi non possono essere pero interpretati nel senso che, in assenza di prova del criterio di quantificazione pattuito, il legale non abbia diritto ad ottenere alcun compenso, allorché, come nella specie, sia rimasto accertato l’avvenuto espletamento della prestazione, stante il carattere oneroso del rapporto contrattuale sotteso alla pretesa creditoria.

Difatti, la mancata dimostrazione del monte orario occorso per lo svolgimento dell’incarico impedisce esclusivamente l’applicazione del parametro pattizio, il quale costituisce mero criterio di quantificazione del compenso non incidente sull’an del credito, ma non inibisce al giudice il potere di ricorrere al criterio residuale delle tariffe.

Ciò comporta che i giudici di merito hanno errato allorché hanno ritenuto che il compenso potesse essere quantificato esclusivamente sulla base delle tariffe orarie e omesso di liquidare gli onorari in ragione della mancata dimostrazione di tale presupposto, con conseguente fondatezza della censura.

3. In conclusione, dichiarata la fondatezza del motivo, la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa  composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24/1/2024.

II Presidente

Felice Manna

Depositato in cancelleria il 7 febbraio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.