Per rigettare l’appello del PM sulle misure cautelari, il giudice deve pronunciarsi sia sui gravi indizi che sulle esigenze cautelari (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 6 febbraio 2024, n. 5332).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE PENALE

Composta da

Dott. Giorgio Fidelbo -Presidente

Dott. Angelo Costanzo -Consigliere

Dott. Ercole Aprile -Consigliere

Dott. Enrico Gallucci -Relatore

Dott. Maria Sabina Vigna -Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza

nel procedimento nei confronti di

(omissis) (omissis), nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del Tribunale di Potenza del 24/07/2023;

visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Enrico Gallucci;

lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Antonio Balsamo, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;

letta la memoria scritta depositata dal difensore dell’indagato, Avvocato (omissis) (omissis), che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Potenza con ordinanza emessa in data 24 luglio 2023 ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l’ordinanza del Gip che aveva rigettato – per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza – la richiesta di applicazione della misura cautelare del divieto di dimora o, in subordine, della sospensione dall’esercizio della pubblica funzione di ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, nei confronti di (omissis) (omissis), indagato per il reato di tentata induzione indebita(1).

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica di Potenza deducendo che illegittimamente il Tribunale del riesame ha dichiarato inammissibile il proprio appello sul presupposto che nello stesso si contestava esclusivamente la decisione del Gip sotto il profilo della ritenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza mentre nulla si deduceva in merito alle esigenze cautelari.

Ciò in quanto, da un lato, nel corso dell’appello “erano state individuate le esigenze cautelari evidenziando come l’indagato avesse distorto le sue funzioni a fini personali”; dall’altro lato, “l’impugnazione del PM avverso il diniego di emissione di ordinanze di custodia cautelare per l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza devolve al giudice di appello la verifica di tutte le condizioni richieste per l’adozione della misura cautelare e dunque quando questi intenda accogliere l’impugnazione è tenuto a pronunciarsi anche in ordine alla configurabilità delle esigenze cautelari (ex plurimis, Cass. VI, sent. 10532 dell’Il marzo 2010)”.

3. Il difensore dell’indagato, Avvocato (omissis), ha depositato memoria scritta nella quale ha contestato il ricorso e le conformi conclusioni del PG, evidenziando, quanto all’esistenza di esigenze cautelari, che il (omissis) ha cessato dal servizio con provvedimento del Ministero della Difesa del 28 giugno 2023 e che, comunque, le pronunce di legittimità indicate dal Pm ricorrente e dal PG concernono una situazione diversa da quella oggetto del ricorso, ossia il caso in cui il Tribunale del riesame ritenga di dove accogliere l’appello del PM relativo agli indizi di colpevolezza (e allora deve pronunciarsi sulla sussistenza anche delle esigenze cautelari) e non anche quando, come nel caso in esame, ritenga di doverlo rigettare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. E’ principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui «l’impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento di diniego di emissione dell’ordinanza cautelare per l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza devolve al giudice di appello la verifica di tutte le condizioni richieste per l’adozione delle misure cautelari e dunque questi, qualora intenda accogliere l’impugnazione, è tenuto a pronunziarsi anche in ordine alla configurabilità delle esigenze cautelari non considerate dal primo giudice» (da ultimo, Sez. 6, n. 17749 del 01/03/2017, Friggi, Rv. 269853 – 01; Sez. 3, n. 34631 del 07/06/2022, Cutrì, Rv. 283646 – 01).

3. Peraltro, nel caso in esame, a fronte dell’appello del PM relativo all’ordinanza “genetica”, che si era pronunciata solo in riferimento ai gravi indizi ritenendoli insussistenti (elemento pregiudiziale rispetto all’esame delle esigenze cautelari), il Giudice dell’appello cautelare non ha verificato se la decisione del Gip fosse corretta (cioè se vi fossero o meno i gravi indizi, nel qual caso si sarebbe dovuto esprimere anche in tema di esigenze cautelari), limitandosi a dichiarare l’inammissibilità del gravame del PM che, nel dolersi della decisione del primo giudice, nulla aveva detto in merito alle esigenze.

4. Questa Sezione (sent. n. 46129 del 25/11/2021, PMT in proc. c. Marcus Steven, Rv. 282355 – 01) ha precisato che « … qualsiasi impugnazione deve essere assistita da uno specifico e concreto interesse, di cui deve essere apprezzata l’attualità, interesse che in materia cautelare, con riguardo alla posizione del Pubblico ministero, deve essere correlato alla possibilità di adozione o di ripristino della misura richiesta. Ciò significa che il Pubblico ministero deve in linea di massima fornire elementi idonei a suffragare l’attualità del suo interesse, in relazione ai presupposti per l’adozione della misura, anche se il provvedimento impugnato non abbia esaminato taluno di quei presupposti.

Peraltro, ove quest’ultimo abbia specificamente escluso sia la gravità indiziaria sia le esigenze cautelari, l’impugnazione non può essere riferita ad uno solo dei due presupposti, ma dovrà articolare specifiche e argomentate censure con riferimento ad entrambi, giacché non può ravvisarsi l’interesse del Pubblico ministero ad affermazioni astratte, in specie in materia di gravità indiziaria, e deve inoltre escludersi che il Pubblico ministero abbia un interesse contrario a quello dell’indagato a vedersi riconosciuta la riparazione dell’ingiusta detenzione ex art 314 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 2386 del 24/6/1998, Machetti, Rv. 212898)».

5. Decisive, per la risoluzione della specifica questione oggetto del ricorso – in ordine alla quale non risultano specifici precedenti – sono peraltro le argomentazioni contenute in una significativa pronuncia delle Sezioni Unite (sent. n. 18339 del 31/03/2004, Lullo, non massimata sul punto) che, nel ricostruire l’ambito oggettivo dell’appello cautelare proposto dal P.M. avverso il rigetto del Gip della richiesta cautelare personale, ha precisato (§ 3.2. del Considerato in diritto) che tale impugnativa «devolve infatti al tribunale investito dell’appello una cognizione non limitata ai singoli punti oggetto di specifica censura, bensì estesa all’integrale verifica delle condizioni e dei presupposti richiesti dalla legge perché sia giustificata l’adozione di una misura restrittiva della libertà personale, secondo il modello di ordinanza cautelare previsto, a pena di nullità, dall’art. 292 c.p.p. (Cass., Sez. II, 14.1.1991, Z., rv. 188013; Sez. VI, 12.3.1993, F., rv. 195635; Sez. VI, 12.5.1995, 0., rv. 202979; Sez. IV, 19.4.1996, S., rv. 205237; Sez. II, 13.2.1997, D. M., rv. 207556 ; Sez. V, 24.6.1999, M., rv. 214476; Sez. II, 14.3.2000, M., rv. 216930; Sez. II, 10.4..2000, P., rv. 215900 ; Sez. VI, 28.2.2001, N., rv. 218618; Sez. VI, 14.6.2001, P., rv. 220310; Sez. VI, 14.6.2001, P.M. in proc. G., rv. 220398)», aggiungendo che «alla verifica dell’esistenza di tutti i presupposti richiesti per l’adozione di un’ordinanza applicativa della misura cautelare, poiché il tribunale della libertà funge, in tal caso, non solo come organo di revisione critica del provvedimento reiettivo alla stregua dei motivi di gravame del P.M., ma anche come giudice al quale è affidato il potere-dovere di riesaminare ex novo la vicenda cautelare nella sua interezza, onde verificare la puntuale sussistenza delle condizioni e dei presupposti di cui agli artt. 273, 274, 275, 278, 280, 287 c.p.p. e, all’esito di siffatto scrutinio, di adottare infine, eventualmente, il provvedimento genetico della misura che, secondo lo schema di motivazione previsto dall’art. 292, risponda ai criteri di concretezza e attualità degli indizi e delle esigenze cautelari, nonché a quelli di adeguatezza e proporzionalità della misura».

6. Sviluppando dette argomentazioni, deve affermarsi il principio secondo cui «nel caso in cui il Giudice delle indagini preliminari, investito della richiesta cautelare nella quale il Pubblico Ministero abbia indicato, a norma dell’art. 291 cod. proc. pen., gli elementi a sostegno dell’esistenza sia dei gravi indizi di colpevolezza e che delle esigenze cautelari, l’abbia rigettata ritenendo non sussistenti i primi, non pronunciandosi in merito alle seconde, l’appello presentato dal Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. non può essere dichiarato inammissibile perché l’Organo requirente non abbia nuovamente motivato in ordine alle esigenze cautelari.

Nel caso in esame, il Tribunale dell’appello cautelare dovrà, una volta che abbia ritenuto esistenti i gravi indizi, esaminare le esigenze cautelari indicate nella richiesta e quindi decidere con gli stessi poteri attribuiti dall’art. 292 cod. proc. pen. al primo Giudice».

7. Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Potenza che si atterrà al principio sopra indicato.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Potenza competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.

Così deciso il 6 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

_______// (1)

Induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.)

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi.

Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni ovvero con la reclusione fino a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000.