Batosta sulla ONG “Mediterranea” di Luca Casarini: la Cassazione conferma i sequestri di sistemi informatici rinvenuti a bordo (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 2 dicembre 2021, n. 44588).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASA Filippo – Presidente

Dott. BONI Monica – Rel. Consigliere

Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere

Dott. BINENTI Roberto – Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

CASARINI LUCA nato a VENEZIA il 08/05/1967;

METZ ALESSANDRO nato a TRIESTE il 21/10/1968;

CACCIA GIUSEPPE nato a PARMA il 14/07/1968;

MARRONE PIETRO nato a MAZARA DEL VALLO il 12/02/1969;

SCIURBA ALESSANDRA nato a PALERMO il 11/06/1979;

avverso l’ordinanza del 26/03/2021 del TRIB. LIBERTA di RAGUSA;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa MONICA BONI;

lette/sentite le conclusioni del PG, Dott. LUIGI BIRRITTERI;

Il P.G. conclude chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore l’avvocato LANFRANCA GAETANO FABIO del foro di PALERMO in difesa di CASARINI LUCA, METZ ALESSANDRO, CACCIA GIUSEPPE, MARRONE PIETRO e SCIURBA ALESSANDRA conclude insistendo nell’accoglimento dei motivi di ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Con decreto in data 25 febbraio 2021 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ragusa, nell’ambito di un procedimento iscritto per il reato di cui all’art. 12, commi 3 lett. a) e d) e 3-bis lett. b, del D.Lgs. n. 286 del 1998, contestato in relazione al trasbordo sul rimorchiatore Mare Jonio ed al successivo sbarco avvenuto nel porto di Pozzallo tra l’11 ed il 12 dicembre 2020 di ventisette cittadini extracomunitari, soccorsi in mare dalla petroliera Maersk Etienne trentotto giorni prima, disponeva la perquisizione personale degli indagati Luca Casarini, Alessandro Metz, Giuseppe Caccia e Pietro Marrone e la perquisizione domiciliare dei locali nella loro disponibilità con conseguente sequestro probatorio di materiale documentale, telefoni cellulari, apparati di comunicazione, computer, supporti per l’archiviazione informatica rinvenuti nelle abitazioni degli indagati, a bordo del rimorchiatore Mare Jonio, presso la sede legale della società IRA Social Shipping s.r.l. e presso la sede legale dell’associazione Mediterranea Saving Humans APS, secondo quanto riportato nei verbali redatti dalla polizia giudiziaria I’1 marzo 2021.

1.1 Proposto riesame avverso il predetto decreto da parte di Luca Casarini, Alessandro Metz, Giuseppe Caccia, Pietro Marrone e di Alessandra Sciurba, il Tribunale di Ragusa con ordinanza in data 26 marzo 2021 confermava il decreto di sequestro.

A fondamento della decisione, il Tribunale rilevava l’infondatezza delle eccezioni preliminari sollevate dalle difesa e confermava la sussistenza dei requisiti di legge per l’imposizione del sequestro.

2. Avverso il provvedimento del Tribunale hanno proposto ricorso Luca Casarini, Alessandro Metz, Giuseppe Caccia, Pietro Marrone ed Alessandra Sciurba a mezzo del difensore, avv.to Gaetano Fabio Lanfranca, il quale ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:

a) violazione di norme processuali di cui agli artt. 253, 257 e 324 cod. proc. pen. in relazione all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. per avere il Tribunale respinto l’eccezione di perdita di efficacia della misura cautelare per l’omessa trasmissione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni e della proroga a ragione della mancata richiesta di acquisizione degli stessi da parte della difesa. Sebbene la mancata trasmissione non sia ritenuta causa di inefficacia della misura e di inutilizzabilità delle intercettazioni, tuttavia la giurisprudenza ritiene che i decreti debbano essere acquisiti d’ufficio dal tribunale del riesame ove la parte ne faccia richiesta anche per implicito, come accade quando venga eccepito il loro mancato inserimento negli atti processuali. Nel caso in esame gli esiti delle intercettazioni costituiscono la principale fonte di prova a fondamento del decreto. Inoltre, non era possibile per la difesa muovere alcuna censura di inesistenza o illegittimità dei decreti autorizzativi perchè gli stessi non erano stati inseriti nel fascicolo.

b) Violazione di legge in relazione agli artt. 253, 125, c. 3 cod. proc. pen. e 111 Cost., per difetto assoluto di motivazione in ordine alla censura sulla inutilizzabilità delle intercettazioni a causa della omessa trasmissione dei decreti autorizzativi e dei decreti di proroga, che il Tribunale ha ritenuto utilizzabili senza aver svolto nessun controllo al riguardo.

c) Violazione degli artt. 253, 257 e 324 cod. proc. pen., in relazione all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. per l’omessa trasmissione dei verbali del pronto soccorso e delle visite dei medici dell’Asp; violazione art. 192 cod. proc. pen.; violazione art. 6 Convenzione europea per i diritti dell’uomo. A fronte dell’eccezione, formulata con la richiesta di riesame, di omessa trasmissione dei verbali di pronto soccorso, relativi alle condizioni di salute della donna in presunto stato di gravidanza, evacuata con modalità Medevac insieme al marito in data 11 settembre 2020, e dei verbali delle visite effettuate allo sbarco dal personale Asp, il Tribunale ha replicato che l’omessa trasmissione dei predetti atti non comporterebbe «la inefficacia sopravvenuta della misura reale impugnata, in mancanza di una previsione sanzionatoria specifica (non potendosi applicare la disciplina dei provvedimento coercitivi personali) né, in conseguenza, la nullità del procedimento di riesame e dell’ordinanza conclusiva, ove si consideri che neanche in tal caso la difesa ha formulato istanza di acquisizione degli atti suddetti o ne ha contestato la illegittimità o l’inesistenza». Tali considerazioni si pongono in contrasto con l’art. 324, comma 3, cod. proc. pen. e con l’art. 6 Convenzione EDU perchè la trasmissione degli atti costituisce adempimento funzionale ad assicurare la parità tra accusa e difesa e l’attuazione dei principi fondamentali in materia di acquisizione e valutazione della prova.

d) Violazione di legge in relazione all’art. 253 cod. proc. pen. per difetto assoluto di motivazione; violazione degli artt. 6 e 8 della Convenzione EDU; violazione dell’art. 42 della Costituzione e dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale della Convenzione EDU. Si era lamentato con l’atto di riesame che le determinazioni ablative risultassero: indeterminate nei contenuti, essendo di fatto rimessa l’individuazione dei beni d’interesse investigativo alle valutazioni della polizia giudiziaria delegata all’apprensione; carenti nella enucleazione del nesso di pertinenzialità e delle finalità probatorie; orientate a finalità squisitamente esplorative che nulla hanno a che vedere con l’ipotesi delittuosa contestata; complessivamente sproporzionate, specie per quel che concerne il sequestro dei supporti informatici rispetto all’esigenza investigativa che riguarda il solo periodo compreso tra 18 settembre 2020 (data in cui sarebbero avvenuti i primi contatti) ed il 30 novembre 2020 (data del bonifico).

Il Tribunale riteneva le censure difensive inammissibili in quanto riferite a provvedimento di sequestro non qualificabile come giurisdizionale e infondate poichè l’oggetto del sequestro doveva essere specificato in fase successiva ad opera del personale di polizia delegato all’esecuzione. Tali considerazioni non tengono conto del fatto che è ritenuto censurabile il sequestro generico e categoriale, atto giurisdizionale sindacabile se privo di congrua motivazione e che, secondo i principi della giurisprudenza di legittimità ed europea, il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato deve essere determinato nell’oggetto, deve specificare il nesso di pertinenzialità rispetto all’ipotesi di reato investigata e riguardare beni legati alla fattispecie di reato ipotizzata e la finalità probatoria del vincolo.

Nel caso di specie, nel decreto contestato, quanto ai documenti relativi ad intese tra gli indagati e con i rappresentanti di Maersk e di Danish Shipping ed alla strumentazione di bordo della Mare ionio, difetta l’enunciazione del nesso di pertinenzialità e delle finalità probatorie, mentre con riferimento a telefoni, supporti magnetici, memorie Ram, posta elettronica non si comprendono le finalità probatorie e tutti i beni sono stati qualificati come corpo del reato o come cose pertinenti al reato senza specificazioni ulteriori, il che comporta la necessità di annullare senza rinvio il decreto di sequestro e l’ordinanza impugnata;

e) Violazione di legge in relazione all’art. 253 cod. proc. pen. per difetto assoluto di motivazione con riferimento alla apprensione di tutti i supporti informatici rinvenuti nella disponibilità degli indagati e violazione degli artt. 6 e 8 della Convenzione EDU. Nell’istanza di riesame si eccepiva il difetto assoluto di motivazione per avere il pubblico ministero disposto ed effettuato il sequestro di decine di supporti informatici senza fossero indicate le ragioni di un’apprensione integrale, in luogo di un accesso tecnico mirato (Cass., sez. 2, 23/09/2020, n. 37941). Il Tribunale del riesame ha replicato con argomentazioni che integrano in modo non consentito la motivazione carente del decreto di sequestro sulle esigenze probatorie, che, al contrario, devono essere specificate dall’autorità che dispone il sequestro (Sez. U, n. 36072 del 27/07/2019) e ha finito per svuotare di significato il principio di proporzionalità, la cui attuazione viene relegata ad una fase successiva all’emissione ed all’esecuzione del sequestro. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha già reputato illegittimo il sequestro di un computer per violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza per l’indiscriminata apprensione di tutte le informazioni ivi contenute. La legge n. 48 del 2008, con l’introduzione dell’art. 247, comma 1 -bis, cod. proc. pen., ha prescritto modalità di perquisizione di sistemi informatici per assicurare la conservazione dei dati senza vincolare l’intero contenuto dei macchinari, mentre nel caso non vi sono ragioni per avvalersi dell’ispezione informatica in luogo del sequestro disposto, che nel caso di specie ha assunto valore meramente esplorativo;

f) Violazione degli artt. 51 e 54 cod. pen., degli artt. 2 e ss. della Costituzione in relazione al cap. V, reg. 10 della Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare Solas dell’1/11/1974 ratificata con legge n. 313/1980; dei par. 2.1.8, 2.1.9, 2.1.9, 3.1.1 della Convenzione Sar di Amburgo del 1979, resa esecutiva dall’italia con legge 147/1989 e attuata con d.P.R. n. 662 del 1994; dell’art. 98 della Convenzione Onu sul diritto del mare (c.d. convenzione Unclos), conclusa a New York 11 10 dicembre 1982; della Convenzione Sar di Amburgo del 1979, come emendata dalla risoluzione MSC.167 (78)-linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare e dalla risoluzione MSC.155 (78) (annesso Sar 79).

Con il secondo motivo di riesame si contestava la sussistenza del fumus commissi delicti, sia quanto alla pretesa natura venale dell’intervento di salvataggio, sia quanto alla ritenuta insussistenza di cause di giustificazione della condotta, sebbene dal compendio istruttorio in atti e dalla produzione documentale della difesa fosse emerso che il trasbordo dei profughi era stato effettuato in adempimento del dovere di soccorso imposto dalle norme di diritto internazionale in risposta alla richiesta di supporto avanzata dal capitano della Maersk Etienne dopo che i ventisette profughi avevano subito torture e violenze in Libia, avevano trascorso molti giorni a bordo della petroliera in condizioni precarie con poco cibo, assenza di ripari e di assistenza sanitaria, forte stress psico-fisico e senza che nessuna iniziativa fosse stata assunta per individuare il punto di sbarco dalle autorità competenti di bandiera.

Il Collegio del riesame ha respinto le deduzioni difensive, ritenendo consentite le sole attività improcrastinabili e/o non rimediabili diversamente, in quanto necessarie per porre in salvo i migranti.

Le Convenzioni internazionali fanno obbligo a chi riceva segnale di pericolo di prestare soccorso alle persone in mare a salvaguardia della vita dell’integrità e dei diritti fondamentali della persona, obbligo che per essere assolto non consiste nella sola accoglienza a bordo, ma comprende anche lo sbarco in un porto sicuro.

I medesimi principi sono riferibili anche al caso presente in cui il soccorso a seguito di trasbordo da altra nave è evenienza lecita e contemplata dalla normativa internazionale in dipendenza delle circostanze del caso e di valutazioni rimesse al comandante della nave che ha operato il soccorso e che ha la responsabilità della vita dei passeggeri aggiuntivi.

Pertanto, il comandante della Mare Jonio ebbe a rispondere alla richiesta di aiuto del comandante della Maersk Etienne nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare SOLAS dell’1/11/1974, degli obblighi sanciti dalla Convenzione SAR di Amburgo del 1979 e dalla Convenzione OMU sul diritto del mare del 10 dicembre 1982.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e non merita, dunque, accoglimento.

1. Dagli atti acquisiti al processo emerge che la perquisizione personale e domiciliare, prodromica al provvedimento di sequestro impugnato, fu disposta «al fine di acquisire ulteriori elementi di prova a riscontro delle risultanze della attività già espletata e di ricostruire in maniera compiuta gli aspetti soggettivi (rete dei contatti tra gli indagati, tra di loro, e con i rappresentanti di MAERSK DANISH SHIPPING e di altre società amatoriali) ed aspetti oggettivi del complesso iter relativo alla operazione posta in essere da MARE JONIO in favore di MAERSK ETIENNE con riguardo alla fase iniziale dei primi contatti antecedenti alla partenza da Licata sino alla avvenuta corresponsione dei 125.000 euro ed alle circostanze relative al successivo impiego/reimpiego; tenuto conto di altre forme di comunicazione telematica ovvero mediante utilizzo di social e chat, come emerso in sede di attività tecnica-rilevato inoltre che il rischio di dispersione che parrebbe ragionevole motivare sulla scorta del doveroso richiamo al progr. 3263 del 06.12.20 dal quale emergeva che, in occasione di una più risalente missione, avendo a vista Lampedusa, il Caccia, anche allora capo missione, reduce da una operazione di salvataggio in mare, timoroso di subire perquisizioni e sequestri, si era affrettato a cancellare tutti i dati dal proprio telefono».

Si evince, inoltre, che il mezzo di ricerca della prova fu disposto nell’ambito di procedimento a carico dei ricorrenti ed altri soggetti, perseguiti per i reati di cui agli artt. 81 cpv. e 110 cod. pen., 12, commi 3 lett. A) e d), 3-bis, 3-ter lett. b) D.Lgs. n. 286 del 1998 (capo 1) e di cui gli artt. 110 cod. peri. e 1127 cod. navigazione (capo 2) in relazione alla vicenda del trasbordo su natante nella loro disponibilità di ventisette cittadini extracomunitari, privi di titolo di soggiorno, dalla petroliera Maersk Etienne e del successivo sbarco al porto di Pozzallo tra I’11 ed il 12 settembre 2020.

2. Il primo motivo è infondato.

Il Tribunale ha correttamente escluso di poter riscontrare la sopravvenuta inefficacia del provvedimento di sequestro a ragione della mancata trasmissione dei decreti di autorizzazione allo svolgimento delle operazioni di intercettazione.

2.1 Come ricordato anche dalla difesa, a norma dell’art. 324, comma 3, cod. proc. pen., l’autorità giudiziaria procedente deve trasmettere al tribunale del riesame «entro il giorno successivo, gli atti su cui si fonda il provvedimento oggetto di riesame».

Per costante insegnamento di questa Corte, dal quale non vi è motivo di discostarsi, dal chiaro tenore letterale della disposizione discende che quando si controverta di misura cautelare reale non sussiste un termine perentorio per la trasmissione degli atti, che può avvenire anche in tempi diversi, diversamente da quanto disposto dall’art. 309, comma 5, cod. proc pen. per il procedimento di riesame delle misure cautelari coercitive, disposizione non richiamata dal comma 7 dell’art. 324.

Secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 26268 del .28/03/2013, Cavalli, Rv. 255581, nel procedimento di riesame del provvedimento di sequestro è applicabile il solo termine indicato dall’art. 324, comma 3, cod. proc. pen., che ha natura meramente ordinatoria, mentre l’unico termine perentorio è quello di dieci giorni, entro cui deve intervenire la decisione a pena di inefficacia della misura; lo stesso decorre, però, nel caso di trasmissione degli atti dilazionata nel tempo o per effetto di provvedimento di integrazione disposto dal tribunale con riferimento ad atti eventualmente mancanti, dal momento in cui il tribunale ritenga completa l’acquisizione della base cognitiva sulla quale si è fondato il provvedimento impositivo della misura.

Tale conclusione è ritenuta tuttora valida anche dopo le modifiche apportate dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, che ha lasciato immutato il testo dell’art. 324, contenente una disciplina «autonoma, autosufficiente e, quantunque facente parte del medesimo sottosistema, speciale ratione materiae» (Sez. 3, n. 44640 del 29/09/2015, Zullo, Rv. 265571; in termini Sez. 6 n. 47883 del 25/09/2019, Yzeiraj, Rv. 277566), motivo per il quale la soggezione al termine perentorio di cui all’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. non può essere ricavata in via di mera interpretazione.

La giurisprudenza di legittimità ha individuato anche le conseguenze dell’omessa trasmissione di atti, ed in specie dei decreti autorizzativi delle intercettazioni, sui quali si basa il provvedimento cautelare, investito da impugnazione.

Ha affermato che tale carenza non determina l’inefficacia sopravvenuta della misura cautelare, ma eventualmente l’inutilizzabilità degli esiti delle operazioni captative, se compiute al di fuori dei casi consentiti dalla legge o in violazione delle disposizioni dettate dagli artt. 267 e 268, commi 1 e 3, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 19101 del 07/03/2013, D., Rv. 255117; Sez. 4, n. 18802 del 21/03/2017, Semilia ed altri, Rv. 269944) ed a condizione che la difesa dell’indagato abbia presentato specifica e tempestiva richiesta di acquisizione, non accolta, di modo che la stessa o il giudice non siano stati in condizione di effettuare un efficace controllo di legittimità (Sez. 6, n. 7521 del 24/01/2013, Cerbasio, Rv. 254586; Sez. 3, n. 42371 del 12/10/2007, Gulisano, Rv. 238059).

2.2 Nel caso specifico tali principi non sono utilmente invocati e non è censurabile la considerazione, operata dal Tribunale del riesame, circa la mancata formulazione della richiesta di acquisizione dei decreti non presenti agli atti.

L’ordinanza impugnata ha dato atto che con postilla manoscritta, inserita nella memoria difensiva depositata all’udienza, la difesa aveva sollevato le sole eccezioni di inefficacia della misura e di inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni, dalle quali non era evincibile la richiesta di acquisizione degli atti mancanti.

Il rilievo è corretto e rispetta puntualmente le risultanze processuali: la difesa aveva inteso sollecitare una pronuncia che riconoscesse il vizio procedurale del provvedimento cautelare per ottenerne l’eliminazione o la declaratoria di inefficacia senza che in termini espliciti o per implicito vi fosse contenuta anche la richiesta di integrazione degli atti con quanto ritenuto mancante.

Diversamente da quanto affermato da Sez. 4, n. 13896 del 24/04/2020, Di Martino, n.m. – che in procedimento riguardante misura cautelare personale ha annullato l’ordinanza del tribunale del riesame per verificare se il decreto autorizzativo delle intercettazioni, di cui la difesa aveva lamentato la mancata trasmissione, fosse realmente presente nel fascicolo processuale – il contenuto delle doglianze formulate non si presta sul piano letterale e logico, oltre che giuridico, ad essere inteso come diretto a provocare un intervento ufficioso del Tribunale per conseguire il completamento degli atti con quelli non resigli disponibili.

In tal senso ritiene il Collegio che, in termini difformi dal precedente sopra citato, debba formularsi il seguente principio di diritto: «Nel procedimento di riesame in tema di misure cautelari reali nella formulazione di eccezione di sopravvenuta inefficacia della misura per mancata trasmissione al tribunale del riesame degli atti sui quali si fonda il provvedimento applicativo non è compresa per implicito la richiesta di acquisizione degli atti non resi disponibili per il collegio del riesame».

2.3 Nè è illegittimo l’utilizzo probatorio dei risultati dell’attività captativa, posto che nulla indica il suo compimento in violazione del procedimento autorizzativo o al di fuori dei casi che ne consentono l’impiego. In altri termini, la valorizzazione delle conversazioni intercettate deve considerarsi corretta sul piano procedurale e consentita in assenza di specifiche contestazioni sulla legalità del mezzo di ricerca della prova.

Del resto l’impedimento che lamenta la difesa alla formulazione di censure sulla motivazione e sui presupposti di legittimità delle intercettazioni sarebbe stato agevolmente rimosso se si fosse determinata a chiedere di acquisire gli atti non trasmessi di talché, anche sotto detto profilo, non può ora dolersi della loro mancata acquisizione, avendo il Tribunale correttamente inteso le sue istanze senza essere incorso in fraintendimenti o omissioni.

2.4 Inoltre, le acquisizioni prodotte dalle intercettazioni non costituiscono l’unico dato probatorio valutabile, avendo i giudici di merito valorizzato anche il materiale documentale e gli apporti dichiarativi di alcuni testi, sicché sul punto la deduzione difensiva è infondata e priva di specificità perchè non dimostra la natura . essenziale e dirimente sul piano indiziario degli esiti intercettativi.

3. Il secondo motivo è privo di fondamento ed è anche inammissibile per generica formulazione.

Il denunciato omesso controllo da parte del Tribunale del riesame sulla legittimità dei decreti di autorizzazione alle operazioni captative si basa sul richiamo di principi astratti e generali sull’obbligo di motivazione dei predetti provvedimenti, che però non si deduce e non si dimostra siano riferibili alla presente fattispecie.

Per pacifico orientamento di questa Corte, che si ribadisce, non è sufficiente a chi propone ricorso per cassazione dedurre l’inutilizzabilità della prova, ma per l’ammissibilità del motivo sotto il profilo della sua specificità è richiesta la puntuale illustrazione dell’incidenza sulla decisione e della sua eventuale eliminazione sul complessivo compendio probatorio, ai fini della conduzione della cosiddetta “prova di resistenza”.

Anche gli elementi di prova illegittimamente acquisiti possono rivelarsi irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020 Lucamarini, Rv. 279829; Sez. 3, n. 9977 del 21/11/2019, dep. 2020, Dichiàra, Rv. 278423; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina ed altri, Rv. 269218).

In particolare, in tema di intercettazioni, si è affermato che «qualora in sede di legittimità venga eccepita l’inutilizzabilità dei relativi risultati, è onere della parte, a pena di’ inammissibilità del motivo per genericità, indicare specificamente l’atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato e la rilevanza degli elementi probatori desumibili dalle conversazioni, posto che l’omissione di tali indicazioni incide sulla valutazione della concretezza dell’interesse ad impugnare» (Sez. 5, n. 25082 del 27/02/2019, Baiano, Rv. 277608).

Per contro, è del tutto generica ed indimostrata l’affermazione, leggibile in ricorso, secondo la quale le intercettazioni costituirebbero gli unici elementi fondativi del provvedimento di sequestro, posto che ne difetta la dimostrazione mediante puntuali riferimenti al suo contenuto nella parte in cui ha delineato il requisito del fumus commissi delicti che, comunque, come già detto, si è avvalso anche di quanto emerso dal materiale documentale e dagli apporti dichiarativi di alcuni testi, sicché sul punto la deduzione difensiva è priva di specificità ed infondata.

4. Anche il terzo motivo solleva eccezione in rito, incentrata sulla omessa trasmissione dei verbali del pronto soccorso e delle visite dei medici dell’Asp, che non può trovare accoglimento.

4.1 Al riguardo va condiviso il rilievo, operato dal Tribunale, in ordine alla mancata proposizione da parte della difesa di una richiesta di acquisizione dei verbali, valendo le argomentazioni già svolte al punto 1.

4.2 Sotto diverso profilo, occorre rilevare che il decreto di sequestro non si è avvalso di quanto emergente dai predetti verbali, non resi valutabili per i giudici del riesame, come del resto riconosciuto a pag. 13 del ricorso.

Il decreto, per accertare in via indiziaria e per quanto rileva ai fini del fumus commissi delicti, le reali condizioni di salute dei migranti prima del trasbordo operato dagli indagati, ha piuttosto valorizzato elementi probatori di diversa natura, ossia documentali e dichiarativi, costituiti dalla certificazione sanitaria del medico USMAF, dr. Vincenzo Morello, che aveva visitato i migranti sulla nave una volta arrivata a Pozzallo (pag.37, che richiama l’allegato 24 inf. N. 8/20 del 13/09/2020, del decretò di perquisizione e sequestro) e dalle dichiarazioni rese da Ngoeffo Mtem Muti& (pag. 36, ivi) e dal marito Mtem Biortho (pag. 36, ivi) sul fatto che l’infermiera salita a bordo del rimorchiatore Mare Jonio non sapeva trovare la vena alla Ngoeffo e che, appreso dei disturbi allo stomaco dalla stessa lamentati, le aveva detto che era incinta.

Inoltre, risultano allegati all’informativa del 13/09/2020 al n. 4 il verbale della visita in pronto soccorso cui era stata sottoposta Ngoeffo Mtem Berthe ed al n. 20 il “report aggiornamento sulle condizioni di salute dei 25 naufraghi a bordo della nave R.re Mare Jonio” a firma della dr.ssa Colpani del 12 settembre 2020 ed il report della visita a bordo dell’Il settembre 2020 a firma di Colpani, Gatti e Caccia, descrittivi di una situazione personale e sanitaria dei migranti che in tesi accusatoria sarebbe risultata non veritiera.

Infine, a pag. 36 del decreto risulta trascritto il testo di un messaggio inviato per posta elettronica, con la quale Maersk Etienne aveva chiesto a Mare Jonio di garantire assistenza medica professionale, cosa che era stata riscontrata positivamente, ma in modo ritenuto frettoloso e non rispondente alla reale preparazione del personale messo a disposizione.

L’ordinanza del Tribunale del riesame ha a sua volta tratto elementi per configurare il fumus del delitto di cui all’art. 12 D.Igs. n. 286 del 1998 dal rapporto medico di aggiornamento redatto dalla dr.ssa Colpani (pag. 7 della motivazione) e dai citati accertamenti condotti dal dr. Morello, medico USMAF, nonchè dalle circostanze delle immediate dimissioni della donna che la dr.ssa Colpani aveva indicato come in stato di gravidanza fortemente a rischio, situazione risultata non rispondente al vero (pag. 10, ivi).

Tanto dimostra che la decisione assunta in sede di riesame non si è basata sui verbali, che si afferma non essere stati trasmessi al Tribunale, ma su atti ritualmente inseriti nel fascicolo processuale e validamente considerati.

4.3 Nè la difesa ha illustrato quali risultanze a discarico avrebbero potuto dedursi dai verbali mancanti, che, si ripete, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, non hanno fornito gli elementi “fondativi del provvedimento ablativo” (pag. 12 ricorso), per non essere stati nemmeno citati.

5. Il quarto motivo ripropone la doglianza incentrata sulla indeterminatezza del decreto di sequestro quanto all’individuazione dei beni da sottoporre a vincolo, caratteristica che varrebbe a qualificarlo come “generico e categoriale” ed a dimostrarne la motivazione carente, quindi suscettibile di contestazione a mezzo di riesame.

5.1 II Tribunale ha riscontrato che il decreto di sequestro probatorio, dopo avere esposto la perseguita finalità «di corroborare ulteriormente l’accusa attraverso una più compiuta ricostruzione della rete di contatti degli indagati, tra essi e i rappresentanti di “MAERSK, DANISH SHIPPING, e di altre società armatoriali” nonché dell’iter seguito per portare a compimento l’operazione posta in essere da MARE JONIO in favore di MAERSK ETIENNE”, dai primi contatti anteriori alla partenza della MARE JONIO dal porto di Licata sino alla avvenuta corresponsione di 125.000 euro ad opera dell’armatore della MAERSK ETIENNE in favore di quello della MARE JONIO medesima ed al successivo impiego/reimpiego della somma», ha analizzato quanto era stato oggetto dell’attività di ricerca e di successiva apprensione coatta, disposta dal pubblico ministero, suddiviso in quattro gruppi.

Si tratta di:

a) documentazione «(di tipo amministrativo-contabile ed extra, posta elettronica, chat)», relativa alle varie fasi del perfezionamento dell’accordo in forza del quale Maersk aveva corrisposto il compenso in favore a Idra Social Shipping s.r.I.;

b) documentazione inerente ogni altra eventuale intesa tra gli indagati, tra di loro e con i rappresentanti di Maersk, Danish Shipping ed altre società armatoriali destinate a disciplinare per il futuro rapporti di collaborazione;

c) strumentazione di bordo del rimorchiatore Mare ionio;

d) «dispositivi di telefonia mobile, supporti magnetici quali dispositivi USB, memorie RAM, caselle di posta elettronica personali, anche mediante effettuazione di copia forense e quant’altro valga a ricostruire il profitto diretto», in quanto oggetti costituenti prova del reato e cose pertinenti al reato.

Richiamando gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, il Tribunale ha concluso per l’infondatezza del motivo di riesame a ragione della inesigibilità di una preventiva specificazione in dettaglio delle cose oggetto di vincolo, essendo sufficiente che alla loro individuazione potesse pervenirsi durante l’esecuzione mediante la considerazione della natura del reato, delle finalità probatorie perseguite e delle nozioni normative di corpo di reato e di cose ad esso pertinenti.

5.2 II ricorso oppone a siffatto argomentare rilievi in insanabile contrasto logico e giuridico tra loro: da un lato afferma che, se il sequestro probatorio demandi alla polizia giudiziaria delegata per l’esecuzione l’individuazione di quanto da sequestrare, non è contestabile mediante riesame, ma con richiesta di restituzione dei beni appresi ed eventuale opposizione al giudice per le indagini preliminari ai sensi dell’art. 263, comma 4, cod. proc. pen.; dall’altro sostiene che il sequestro “generico e categoriale”, come verificatosi nel caso in esame, costituisce atto giurisdizionale e, siccome privo di motivazione, suscettibile di riesame.

5.3 Ad avviso del Collegio la prospettazione difensiva richiama pertinenti principi di diritto affermati dalla Corte di cassazione, ma li invoca in termini non corretti anche in riferimento ai mezzi di impugnazione esperibili. Invero, in ordine agli oneri motivazionali legati all’oggetto del provvedimento di sequestro risponde al vero che, da un lato, non è ammesso che il decreto di perquisizione possa, per la sua genericità, diventare uno strumento di ricerca non di elementi di prova, ma di notizie di reato, dovendo, al contrario, individuare, almeno nelle linee essenziali, quanto va ricercato in riferimento ai fatti di reato investigati in modo da consentire la verifica delle esigenze probatorie rappresentate e della natura degli oggetti appresi, se corpo del reato o cose pertinenti al reato (Sez. 6, n. 2882 del 6/10/1998, Calcaterra, Rv. 212678).

D’altro canto, non può nemmeno esigersi l’indicazione dettagliata delle cose da ricercare e sottoporre a sequestro, sia perché non sempre già note e specificate prima dell’emissione del provvedimento, sia perché l’art. 248 cod. proc. pen., nel prevedere la richiesta di consegna quando attraverso la perquisizione si cerchi una cosa determinata, implica che oggetto di ricerca possano essere anche cose non già precisate in modo specifico, che potranno essere individuate solo all’esito dell’eseguita perquisizione.

Nel caso di ricerca di oggetti non determinati, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, ai fini della legittimità del sequestro di cose ritenute corpo di reato o pertinenti al reato, effettuato dalla polizia giudiziaria all’esito di perquisizione disposta dal pubblico ministero, non è richiesto che i beni anzidetti siano preventivamente individuati, dovendosi al contrario ritenere sufficiente che alla loro individuazione possa pervenirsi mediante il riferimento, sia alla natura del reato in relazione al quale la perquisizione è stata disposta, sia alle nozioni normative di “corpo di reato” e “cosa pertinente al reato” (Sez. 5, n. 4263 del 15/12/2005, Fanesi, rv. 233625; Sez. 6, n. 23101 del 21/04/2004, Fornari ed altri, rv. 229958; Sez. 6, n. 1934 del 27/05/1998, Melloni, Rv. 211593; Sez. 1, n. 1953 del 10/03/1997, Corini ed altri, Rv 207430; Sez. 6, n. 39040 del 02/05/2013 Massa Rv. 256327; Sez. 2, n. 51867 del 20/11/2013, Gaeta ed altri, rv. 258074; Sez. 2, n. 40657 del 09/10/2012, Azzariti Fumaroli, rv. 243679).

Diversa situazione ricorre quando la polizia giudiziaria abbia individuato e sequestrato cose non indicate nel decreto, oppure il cui ordine di sequestro non sia desumibile dalle nozioni di corpo di reato o di cose pertinenti al reato, in relazione ai fatti per i quali si procede.

Soltanto in questi casi si parla di sequestro categoriale per alludere ad una categoria di oggetti da vincolare non specificati nella loro identità, ma soltanto nella generica tipologia, come quando si indichi documentazione senza ulteriori specificazioni, oppure ci si riferisca a quanto sia necessario o utile alle indagini in corso.

Ebbene, per costante insegnamento di questa Corte, a fronte di un provvedimento di sequestro di tale contenuto l’autorità giudiziaria che lo ha emesso deve procedere alla convalida in relazione alle cose non individuate previamente come da sequestrare, ovvero ordinare la restituzione di quanto non sia suscettibile di apprensione.

La indeterminatezza della indicazione originaria rimette al giudizio della polizia giudiziaria operante l’individuazione dei presupposti legittimanti l’imposizione della misura cautelare e necessita, dunque, di un tempestivo controllo da parte della autorità giudiziaria da esercitarsi ai sensi dell’art. 355 cod. proc. pen..

Ulteriore conseguenza di tale ricostruzione è che soltanto il decreto di convalida può essere investito da istanza di riesame, non già il decreto di perquisizione e di sequestro generico o categoriale, che, se non convalidato, impone a chi lo ha subito di rivolgere al pubblico ministero richiesta di restituzione e, in caso di diniego, di proporre opposizione al giudice per le indagini preliminari secondo lo schema previsto dall’art. 263, comma 4, cod. proc. pen..

Resta, invece, preclusa, perché non consentita, la proposizione del riesame, che va dichiarato inammissibile (Sez. 4, n. 8867 del 19/02/2020, Brencich, Rv. 278605; Sez. 6, n. 39040 del 02/05/2013 Massa Rv. 256327; Sez. 6, n. 23101 del 21/04/2004, Fornari ed altri, Rv. 229958).

5.4 Tanto premesso, nel caso di specie non si ritiene di poter aderire alla prospettazione difensiva circa la natura generica e categoriale del decreto di sequestro, che, se realmente tale, imporrebbe di dichiarare inammissibile il riesame ed anche il ricorso. Il decreto in verifica, invece, sia nella descrizione di quanto da ricercare, sia mediante il riferimento alla qualità di corpo del reato e di cose pertinenti al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, contiene sufficienti elementi per far comprendere quale documentazione e quale strumentazione tecnica di bordo dovessero essere individuate ed apprese in funzione di elemento di prova dei reati in corso di investigazione e di altri possibili reati non ancora conosciuti, ma riguardanti operazioni di salvataggio di migranti naufraghi, da organizzare e compiere in base ad accordi commerciali preventivi e dietro remunerazione, tali da integrare il fine di profitto rilevante per ipotizzare la fattispecie aggravata di cui all’art. 12 D.Igs. n. 286 del 1998.

Per contro, la deduzione difensiva sulla natura generica del provvedimento è articolata in termini vaghi e privi di puntuali riferimenti agli atti processuali: il ricorso rimanda all’elenco di beni sequestrati di cui all’allegato 2) ma non deduce che si tratti di cose non indicate nel decreto di perquisizione e sequestro, né di oggetti svincolati dalla funzione probatoria in esso prospettata.

6. Il quinto motivo di ricorso investe il provvedimento di sequestro di materiale informatico, che si assume essere stato eseguito in assenza di congrua motivazione ed in violazione del principio di proporzionalità.

Anche sul punto si ritiene di dissentire e di non poter accogliere le doglianze difensive.

6.1 Non ignora il Collegio la lezione interpretativa della giurisprudenza di legittimità, per la quale sono riferibili anche alle misure cautelari reali, sequestro probatorio compreso, i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali e la loro osservanza deve essere assicurata sin dalla fase applicativa, al fine di evitare un’ingiustificata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata al di fuori dei casi in cui ciò sia strettamente necessario per l’accertamento del reato (Sez. U, n. 36072 del 2018, Pm in proc. Botticelli, Rv. 273548).

6.2 A tale criterio ermeneutico il Tribunale del riesame di Ragusa si è uniformato, avendo spiegato come, in relazione allo specifico reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per il quale le indagini erano iniziate, dell’esistenza di diverse forme di comunicazione a distanza intercorse tra indagati ed i referenti danesi e degli accordi raggiunti, è stata correttamente riferita la pertinenzialità delle cose sequestrate: il contenuto del materiale vincolato era funzionale ad offrire riscontro della condotta ipotizzata e di altre intese illecite raggiunte dagli indagati con armatori danesi o di altri paesi.

Deve, dunque, escludersi che il provvedimento di sequestro sia carente nell’esposizione delle ragioni probatorie della misura imposta.

6.3. Quanto all’intervenuto sequestro di molteplici dispositivi informatici e della totalità dei dati in essi immagazzinati, la necessità di fornire dimostrazione dell’ipotesi di un fenomeno criminoso di concorso di persone nel reato ipotizzato, più ampio dello specifico episodio già noto, in base a contatti ed intese svoltesi in paese estero, dà conto della affermata impossibilità di conseguire quel risultato attraverso strumenti investigativi diversi e delle difficoltà tecniche di procedere ad una perquisizione mirata al reperimento di singoli specifici documenti, informatici o cartacei, che nel caso non erano già noti in precedenza.

Tanto non equivale ad autorizzare prassi applicative lassiste, né a consentire sequestri di natura meramente esplorativa alla ricerca di notizie di reato non ancora acquisite, ma a prendere atto delle difficoltà di condurre le indagini in questo contesto specifico e, come esposto nel decreto di sequestro, di accertare «forme di comunicazione telematica ovvero mediante utilizzo di social e chat».

Nella giurisprudenza di questa Corte sono note pronunce che hanno ravvisato la legittima imposizione di un sequestro probatorio esteso ad interi archivi informatici se l’acquisizione della prova implichi la disamina di una grande quantità di dati e contenuti potenzialmente rilevanti quando le indagini in corso abbiano ad oggetto forme di criminalità complesse, plurisoggettive ed estese nel tempo, sicchè il vincolo può riguardare, sia il dato informatico, sia il macchinario che contenga le informazioni ricercate (Sez. U, n. 40963 del 20/07/2017, Andreucci, Rv. 270497; Sez. 5, n. 8382 del 16/01/2013, Caruso, Rv. 254712; Sez. 5 , n. 38456 del 17/05/2019, Benigni, Rv. 277343).

Anche i precedenti citati in ricorso, che dovrebbero accreditare soluzione opposta, a ben vedere non negano in assoluto la possibilità che il sequestro probatorio abbia contenuti molto estesi quando si tratti di esaminare una massa molto ampia di informazioni potenzialmente utili alle indagini, ma ne subordinano l’ammissibilità al rispetto del principio di proporzionalità ed adeguatezza, da garantire mediante l’immediata restituzione delle cose sottoposte a vincolo non appena sia decorso il tempo ragionevolmente necessario per gli accertamenti ed il riconoscimento che, in caso di mancata tempestiva restituzione, è consentito all’interessato presentare la relativa istanza e, in caso di reiezione, attivare i rimedi impugnatori (Sez. 6, n. 6623 del 09/12/2020, dep. 2021, Pessotto, Rv. 280838; Sez. 6, n. 34265 del 22/9/2020, Aleotti, Rv. 279949; Sez. 6, n. 13165 del 4/3/2020, Scagliarini, Rv. 279143; Sez. 5, n. 16622 del 14/03/2017, Storari; Sez. 6, n. 53168 del 11/11/2016, Amores, Rv. 268489).

Con l’impugnazione in esame la difesa non ha rappresentato in quale modo sarebbe stato possibile compiere un accesso tecnico mirato e contenuto nel tempo ai dispositivi in possesso degli indagati per conseguire il risultato che l’organo dell’accusa si era prefissato, così come non ha contestato che l’esigenza di acquisizione di elementi di prova era resa più urgente dalla constatazione dell’avvenuta cancellazione dei dati relativi alle comunicazioni intercorse in occasione di una precedente operazione di salvataggio di migranti.

6.4 I ricorrenti censurano anche le modalità esecutive del sequestrò, sostenendo essersi compiute in contrasto con quanto disposto dall’art. 247, comma 1-bis, cod. proc. pen. per la praticabilità, in luogo del sequestro, dell’ispezione informatica.

Osserva la Cortei in primo luogo che il decreto di perquisizione e sequestro aveva disposto che l’acquisizione di «dispositivi di telefonia mobile, supporti magnetici quali dispositivi USB, memorie RAM, caselle di posta elettronica personali» fosse compiuta «anche mediante effettuazione di copia forense», adempimento che è stato seguito nel caso del sequestro operato nei confronti di IDRA SOCIAL SHIPPING s.r.I..

Il vincolo così descritto non si discosta dalle prescrizioni dell’art. 247, comma 1-bis, cod. proc. pen., che, nel consentire la perquisizione di un sistema informatico o telematico, anche se protetto da misure di sicurezza, quando vi è fondato motivo di ritenere che in essi si trovino dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato, prevede l’adozione di accorgimenti tecnici, finalizzati a garantire la conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione.

Si è affermato che tra le cautele di ordine tecnico indicate dalla norma rientra anche la formazione della c.d. copia originale, un duplicato informatico di tutti i dati presenti nei dispositivi perquisiti, trattenuto dal pubblico ministero al fine di consentire le operazioni di disamina del materiale e di selezione di quanto sia funzionale alla dimostrazione degli illeciti investigati, che consente le restituzione all’avente diritto dei supporti, ma che, per rispettare il principio di proporzionalità, deve essere trattenuto il tempo strettamente necessario per selezionare le informazioni rilevanti da quelle inutili e, una volta terminato il processo di selezione, va anch’esso restituito.

Ebbene, nel caso di specie non risulta che i ricorrenti abbiano richiesto alla Procura procedente la restituzione dei dispositivi sequestrati e della copia forense delle informazioni, laddove realizzata, né che si siano visti opporre un rifiuto ingiustificato e dilatorio.

7. Infine, non ha pregio nemmeno il sesto motivo di ricorso, col quale si censura il giudizio di insussistenza della causa di giustificazione dello stato di necessità.

7.1 Sul punto il Tribunale del riesame ha escluso i presupposti per poter riconoscere la predetta scriminante a ragione dell’assenza di uno stato di pericolo attuale ed imminente per la vita e la sicurezza dei migranti, in quanto già accolti a bordo della petroliera MAERSK, quindi sottratti al rischio di perire in mare, e, seppur collocati in condizioni precarie e difficili, non privi di ripari e della possibilità di alimentarsi e non versanti in una situazione di pericolo per la loro salute, posto che le relazioni redatte da personale medico incaricato dai ricorrenti, poco qualificato ed inesperto, aveva volutamente rappresentato un’emergenza sanitaria inesistente per ottenere l’autorizzazione allo sbarco in un porto sicuro italiano, situazione che non aveva trovato riscontro all’atto degli accertamenti condotti sui migranti una volta giunti a Pozzallo.

Inoltre, l’ordinanza in esame ha congruamente giustificato anche il giudizio di insussistenza del presupposto dell’inevitabilità della condotta criminosa per la negazione di una situazione di necessità inderogabile e cogente, tale da non aver consentito altre scelte alternative possibili.

In tal senso le opzioni praticabili in senso conforme alla legge sono state individuate nella previa segnalazione della presenza dei naufraghi accolti dalla petroliera alle autorità marittime italiane, in realtà informate solo dopo che il trasbordo era avvenuto su imbarcazione non autorizzata al trasporto di persone in condizioni di emergenza e trovatasi ben lontana dalla rotta segnalata e per ragioni del tutto differenti da quelle rappresentate prima della partenza, oppure nella permanenza a bordo della petroliera, che aveva già accolto i migranti, alla quale avrebbero potuto essere forniti viveri, generi di abbigliamento e medicinali per protrarne la permanenza in attesa dell’autorizzazione allo sbarco, che avrebbe potuto essere richiesta direttamente da MAERSK ETIENNE.

Le medesime ragioni hanno giustificato anche la ravvisata esclusione della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen. dell’adempimento del dovere di soccorso in mare, che, oltre ad essere obbligatorio, può essere riconosciuto soltanto a fronte della gratuità dell’azione di salvataggio.

Nel caso di specie, con ampia esposizione di dati probatori di supporto, il Tribunale del riesame ha confermato il giudizio circa l’onerosità del soccorso, non compiuto in ottemperanza degli obblighi imposti dal diritto nazionale e/o sovranazionale, ma in base ad un accordo privatistico, raggiunto con la società armatoriale danese, che quindi esula dalla invocata causa di giustificazione.

7.2 Le considerazioni esposte convincono dell’inammissibilità del motivo che, ad onta dell’apparente denuncia del vizio di violazione di norme di legge, in realtà censura la motivazione dell’ordinanza impugnata sul punto, prospettando una ricostruzione alternativa e più favorevole della vicenda, incentrata sulla natura “liberale” del compenso erogato dalla società danese all’armatore di Mare Jonio e sulla doverosità della condotta, che costituiscono aspetti fattuali ricostruiti in via indiziaria dai giudici cautelari in modo fedele alle risultanze acquisite e comunque non sindacabili nel giudizio di legittimità in materia di misure cautelari reali ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen..

Né giova alla difesa richiamare quanto stabilito da Sez. 3, n. 6626 del 16/01/2020, Pm in proc. Rackete, Rv. 278578, circa l’inclusione nell’obbligo di soccorso in mare anche della prestazione accessoria, ma egualmente dovuta, della conduzione in un porto sicuro di chi sia salvato, posto che il caso presente differisce da quello risolto dalla pronuncia citata per le caratteristiche del già avvenuto salvataggio dal mare dei migranti da parte di altra imbarcazione, che però era interessata a proseguire nella propria rotta e nella propria attività, e dell’intervento dei ricorrenti in seconda battuta dopo che i paesi direttamente coinvolti, Malta e Danimarca, gli unici interpellati, si erano mostrati del tutto indifferenti alle loro sorti e non avevano autorizzato lo sbarco.

Ne discende il rigetto del ricorso, siccome infondato in tutte le sue deduzioni, ed in parte anche inammissibile, con la condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria, addì 2 dicembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.