Carcere duro, non viola il diritto al mantenimento dei legami familiari la rigida cadenza mensile dei colloqui (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 23 maggio 2023, n. 22298).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASA Filippo – Presidente –

Dott. BIANCHI Michele – Consigliere –

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere –

Dott. CAPPUCCIO Daniele – Rel. Consigliere –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del 17/06/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DANIELE CAPPUCCIO;

lette le conclusioni del PG, il quale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 17 giugno 2022 il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato il reclamo proposto dal Ministero della Giustizia avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza della stessa città, il 25 febbraio 2022, ha accolto il reclamo di (OMISSIS) (OMISSIS) avverso la decisione della Casa circondariale in cui egli è ristretto, in regime ex art. 41-bis legge 26 luglio 1975, 354, con la quale, in applicazione dell’art. 16 della Circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria n. 3676/6126 del 2 ottobre 2017, gli è stato vietato di effettuare colloqui, visivi e\o telefonici, a distanze di tempo regolari ma non con cadenze rigidamente prefissate.

2. Il Ministero della Giustizia propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge per avere il Tribunale di sorveglianza indebitamente trasgredito al precetto contenuto nell’art. 41-bis, comma 2-quater, legge 26 luglio 1975, n. 354 – laddove, in particolare, si precisa che dalla sottoposizione al regime detentivo speciale discende, tra l’altro, «la determinazione dei colloqui nel numero di uno al mese da svolgersi ad intervalli di tempo regolari» – come attuato dall’art. 16 della Circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria n. 3676/6126 del 2 ottobre 2017, che dispone che «nel rispetto della calendarizzazione delle giornate dei colloqui da parte della Direzione, gli stessi saranno autorizzati e fruiti a distanza di circa 30 giorni».

3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.

2. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che i colloqui, visivi e telefonici, dei detenuti rappresentano un diritto fondamentale, collegato alla vita familiare e al mantenimento di relazioni con i più stretti congiunti del soggetto recluso, riconosciuto dal combinato disposto degli artt. 15 e 18, comma 3, legge 26 luglio 1975, 354, che ritengono tale prerogativa individuale indispensabile nell’ambito del trattamento rieducativo, ai fini dell’attività di recupero sociale del condannato (Sez. 1, n. 47326 del 29/11/2011, Panaro, Rv. 251419-01; Sez. 1, n. 33032 del 18/04/2011, Solazzo, Rv. 250819-01; Sez. 1, n. 27344 del 28/05/2003, Emmanuello, Rv. 225011-01).

Non vi è dubbio, per contro, che le modalità di esercizio di questo diritto rientrano nell’ambito della discrezionalità dell’Amministrazione penitenziaria, che attraverso previsioni di carattere generale, quali circolari e regolamenti di istituto, può esplicarsi in disposizioni organizzative e operative, finalizzate a definire tempi e modi per la concreta attuazione di tale irrinunciabile prerogativa del detenuto: in detti casi, come avviene per tutte le ipotesi di atti amministrativi che incidono su situazioni soggettive, i provvedimenti che contengono tali misure sono, nondimeno, assoggettati a un controllo giurisdizionale, che spetta alla magistratura di sorveglianza (Corte cost., sent. n. 135 del 2013).

3. In questa cornice ermeneutica si inserisce il tema controverso, che attiene all’interpretazione dell’art. 41-bis, comma 2-quater, legge 26 luglio 1975, n. 354, che, per i detenuti sottoposto a regime detentivo differenziato, circoscrive ad uno al mese il numero dei colloqui e stabilisce che essi debbano «svolgersi ad intervalli di tempo regolari», locuzione che l’art. 16 della Circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria n. 3676/6126 del 2 ottobre 2017 ha inteso nel senso della fruizione dei singolo colloqui «a distanza di circa 30 giorni» l’uno dall’altro.

Sul punto, l’indirizzo ermeneutico favorevole ad un’interpretazione elastica del dettato normativo e, in particolare, del concetto di «regolarità» degli intervalli tra un colloquio e l’altro, tale da consentire l’accorpamento e lo svolgimento in giorni ravvicinati – l’uno alla fine del mese, l’altro all’inizio del successivo – funzionale a contenere i tempi e i costi delle trasferte dei familiari per raggiungere il luogo di detenzione del loro congiunto (consacrato, tra le altre, da Sez. 1, n. 10462 del 25/11/2016, dep. 2017, Santafede, Rv. 269515 – 01) è stato successivamente contraddetto e superato da altro, di segno contrario, secondo cui «In tema di regime penitenziario differenziato ai sensi dell’art. 41-bis ord. pen., è legittima la disposizione dell’Amministrazione penitenziaria che, in attuazione dell’art. 16 della circolare del D.A.P. del 2 ottobre 2017, preveda, per i detenuti sottoposti a tale regime, che i colloqui visivi e telefonici abbiano luogo a distanza di circa trenta giorni l’uno dall’altro, con conseguente esclusione della possibilità di accorpamento degli stessi rispettivamente alla fine del mese e all’inizio di quello successivo, atteso che detta regolamentazione costituisce un ragionevole esercizio del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione dal comma 2-quater, lett. b), del citato art. 41-bis in punto di concreta disciplina delle modalità di fruizione dei colloqui, contemperando il diritto del detenuto – per l’effetto degradato ad interesse legittimo – a coltivare i legami relazionali più stretti con l’esigenza organizzativa – funzionale alla tutela della sicurezza pubblica – di diluire i flussi di informazioni che, in occasione dei colloqui, nonostante i controlli, potrebbero intervenire tra il detenuto e gruppi di criminalità esterni» (Sez. 1, n. 23945 del 26/06/2020, Capizzi, Rv. 279526 –                           01;  Sez. 1, n. 5446 del 15/11/2019, dep. 2020, Amato, Rv. 278180 – 01).

4. Ciò posto, ritiene il Collegio di attenersi al suesposto principio di diritto – ribadito, ancora di recente, da Sez. 1, n. 49576 del 14/09/2022, Amato, e Sez. 1, 49577 del 14/09/2022, Licciardi, entrambe non massimate – che muove, condivisibilmente, dall’attribuzione all’Amministrazione penitenziaria, per espressa scelta legislativa, di un ambito di discrezionalità, il cui esercizio può essere sindacato mediante verifica della logicità e della ragionevolezza della scelta organizzativa compiuta, che risponde, soprattutto, all’esigenza di rendere meno agevoli, o comunque meno concentrati, i collegamenti con l’esterno, costituenti un veicolo potenziale di trasmissione di informazioni non consentite.

Al cospetto, dunque, di una disciplina di ordine generale, espressione di un potere di organizzazione dell’Amministrazione penitenziaria che sia stato correttamente esercitato attraverso l’adozione di regole caratterizzate da assoluta ragionevolezza e coerenza con le finalità del regime differenziato cui afferiscono, la pretesa soggettiva del detenuto di accorpamento dei colloqui in giorni ravvicinati può essere legittimamente incisa dall’esercizio di tale potestà amministrativa, funzionale al soddisfacimento del preminente interesse alla tutela della sicurezza pubblica cui la disposizione organizzativa è finalizzata, venendo, dunque, in gioco un mero interesse legittimo del detenuto e non un diritto soggettivo.

5. La precedente conclusione si pone in diretto, insanabile contrasto con le argomentazioni addotte, a sostegno della decisione impugnata, dal Tribunale di sorveglianza, che ha qualificato l’esigenza di sicurezza richiamata dal(omissis) alla stregua di «argomento suggestivo e comunque fondato su una pura illazione» e stimato, per contro, che «La rigidità legata al rispetto dell’intervallo temporale dei trenta giorni fissi appare invece una vera e propria compressione del diritto del detenuto, non giustificata da ragioni di sicurezza pubblica, né impedita dalla norma», dovendosi tenere conto, in specie, della difficoltà, per i congiunti del detenuto che siano residenti a notevole distanza, di effettuare ripetute trasferte verso il luogo di restrizione.

6. Le considerazioni appena esposte impongono, dunque, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con il conseguente rinvio al Tribunale di sorveglianza di Milano per un nuovo giudizio, che dovrà essere eseguito nel rispetto dei parametri che sono stati enunciati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Milano.

Così deciso il 10/01/2023.

Depositata in Cancelleria oggi Roma, lì 23 maggio 2023.

SENTENZA -.