REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. MARIA FRANCESCO CIAMPI – Presidente –
Dott. DANIELA CALAFIORE – Consigliere –
Dott. GABRIELLA CAPPELLO – Consigliere –
Dott. LOREDANA MICCICHÉ – Consigliere –
Dott. ANNA LUISA ANGELA RICCI – Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 01/10/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dr.ssa ANNA LUISA ANGELA RICCI;
lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore generale, dr.ssa Lucia Odello che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Reggio Calabria, in data 1 ottobre 2024, ha confermato la sentenza del Tribunale di Locri di condanna di (OMISSIS) (OMISSIS) in ordine al delitto di cui all’art. 589 bis cod. pen. (commesso in Locri il 3 aprile 2018) alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale e della non menzione, e alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di anni 1.
Il processo ha ad oggetto un incidente stradale, ricostruito nelle conformi sentenze di merito nel modo seguente.
Nela serata del 3 aprile 2018, (OMISSIS), percorrendo la strada statale 106 nell’abitato di Locri con direzione di marcia Taranto – Reggio Calabria alla guida della sua autovettura Fiat Panda, a una velocità superiore al limite di 50 km/h previsto in loco, giunta alla progressiva chilometrica 101+100, non avvedendosi della presenza del pedone (OMISSIS) (OMISSIS) che stava camminando in prossimità della linea longitudinale di delimitazione della carreggiata, lo aveva urtato con la parte anteriore destra dell’autovettura; a seguito dell’urto, (OMISSIS) era finito sul cofano della macchina, sfondandone il parabrezza, e era stato proiettato circa 26 metri in avanti, per poi ricadere al suolo; qui era stato arrotato dall’autovettura Fiat Grande Punto condotta da (OMISSIS) (OMISSIS), nel frattempo sopraggiunta, ed era deceduto.
A (OMISSIS) sono stati addebitati, quali profili di colpa, la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia e la violazione dell’art. 141 del d.lgs 30 aprile 1992 n. 285.
2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso l’imputata, a mezzo di difensore, formulando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla affermazione della penale responsabilità.
Secondo il difensore, la Corte d’appello avrebbe addebitato all’imputata la violazione di regole cautelari con motivazione inadeguata e insufficiente: in particolare, la Corte avrebbe sostenuto che la velocità di marcia dell’autovettura condotta da (OMISSIS) era stata eccessiva, nonostante lo stesso consulente non fosse stato in grado di determinarla.
Dall’istruttoria – prosegue il difensore- era emerso che il tratto di strada, posto al di fuori del centro abitato, non era illuminato e che la vittima, indossante abiti scuri, lo stava percorrendo a ridosso della linea di carreggiata, nonostante vi fosse una distanza con il guard-rail di almeno 1,5 metri: difetterebbe, dunque, il requisito della cosiddetta causalità della colpa, ovvero la verifica della introduzione da parte del soggetto agente del fattore di rischio poi concretizzatosi con l’evento.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente rileva che la Corte si era limitata a invocare la mancanza di positivi elementi di valutazione, così venendo meno all’onere di fornire adeguata motivazione in ordine all’esercizio del potere discrezionale.
3. Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto, dr.ssa Lucia Odello, ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Il primo motivo, con cui si censura l’affermazione della responsabilità, è inammissibile, in quanto generico e meramente reiterativo della doglianza formulata in sede di appello della sentenza di primo grado, in assenza di confronto con la sentenza impugnata, e, comunque, manifestamente infondato.
La ricostruzione della dinamica dell’incidente appare pacifica e non è stata neppure oggetto di censura da parte del ricorrente, che, in maniera, invero, piuttosto confusa, sembra incentrare la doglianza sul mancato accertamento della violazione della regola cautelare e sulla mancata verifica in ordine alla c.d. causalità della colpa.
Sotto il primo profilo, la censura per cui la Corte avrebbe sostenuto che la velocità di marcia dell’autovettura condotta da (OMISSIS) era stata eccessiva, pur non essendo stato in grado il consulente del Pubblico Ministero di determinarla, non si confronta con l’iter argornentativo adottato dai giudici di merito.
La Corte ha, invero, spiegato che il consulente aveva desunto l’eccesso di velocità dell’imputata, superiore al limite di 50 km/h sussistente in loco, da precisi dati tecnici, quali, in particolare, i danni riscontrati sulla Fiat Panda, ovvero la rottura del paraurti, la profonda introflessione del cofano motore, lo sfondamento del parabrezza, la deformazione del tetto.
Prima ancora la censura non tiene conto che la Corte, in ogni caso, ha ritenuto accertata anche la violazione delle prescrizioni dettate dall’art. 141 CdS, espressamente indicata nel capo di imputazione e ha osservato che l’imputata aveva tenuto una condotta di guida non adeguata alle caratteristiche della strada, in assenza di illuminazione e in un tratto in cui erano presenti esercizi commerciali e fabbricati segnalati anche attraverso il segnale di pericolo “abitato”.
Sotto il secondo profilo i giudici hanno adeguatamente sondato anche il tema della casualità della colpa, rilevando che l’evento verificatosi era la concretizzazione del rischio che le regole cautelari violate erano volte ad azzerare e che il rispetto di tali regole avrebbe impedito il verificarsi dell’impatto.
La motivazione adottata è coerente con la elaborazione giurisprudenziale in ordine alla responsabilità colposa del conducente nel caso di investimento di pedone.
Si deve ribadire che “in tema di circolazione stradale, il principio dell’affidamento trova un temperamento nell’opposto principio, secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità” (ex plurimis Sez.4 n. 24414 del 06/05/2021, Busdraghi Rv. 281399; Sez. 4, n. 5691 del 02/02/2016, Tettamanti, Rv. 265981; Sez. 4, n. 27513 del 6 10/05/2017, Mulas, Rv. 269997; Sez. 4, n. 7664 del 06/12/2017, dep. 2018, Bonfrisco, Rv. 272223).
Con particolare riferimento al tema dell’investimento del pedone, si è sostenuto che il conducente del veicolo va esente da responsabilità quando, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile (Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, Corigliano, Rv. 255995; Sez. 4,n. 10635 del 20/02/2013, Calarco, Rv. 255288).
Il conducente di un veicolo è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone, implicando il relativo avvistamento la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare la marcia del veicolo) al fine di prevenire il rischio di un investimento.
Da ciò consegue che, nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la morte, rileva la sua “avvistabilità” da parte del conducente del veicolo investitore.
È cioè necessario che quest’ultimo si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso; occorre, inoltre, che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente del veicolo. Di contro il rispetto del limite massimo di velocità consentito non esclude la responsabilità del conducente qualora la causazione dell’evento sia comunque riconducibile alla violazione delle regole di condotta stabilite dall’art. 141 cod. strada. (Sez. 4 n. 7093 del 27/01/2021, Di Liberto Rv. 280549).
La Corte di Appello e, prima ancora, il Tribunale hanno coerentemente osservato che la presenza di una persona a piedi nel tratto di strada interessato dal sinistro era prevedibile, trattandosi di strada fiancheggiata da edifici in cui era presente il cartello con la segnalazione “abitato” e che la condotta di guida rispettosa delle regole di cui all’art. 141 CdS avrebbe evitato l’impatto dell’auto con la vittima.
3. Il secondo motivo, con cui si censura il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, è inammissibile per difetto di specificità e, comunque, manifestamente infondato.
In tema di circostanze attenuanti generiche, infatti, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione.
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, peraltro, il giudice non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691) e potendo il diniego essere legittimamente motivato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986).
La Corte di Appello, in coerenza con tali principi, ha ritenuto che non fossero riconoscibili le circostanze attenuanti generiche, in assenza di positivi elementi di valutazione ai fini della mitigazione del trattamento sanzionatorio. Il ricorrente, di contro, si è limitato a contestare, in maniera avversativa, tale giudizio, richiamando principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, del tutto, disancorati dal caso concreto, senza contrapporre all’iter argomentativo seguito dalla Corte alcuna valida ragione in fatto e in diritto.
4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art.616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma, lì 5 febbraio 2025
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2025.