Danaro provento dall’attività criminosa dell’autoriciclaggio (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 30 luglio 2020, n. 23370).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CERVADORO Mirella – Presidente –

Dott. ALMA Marco Maria – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI PAOLA Sergio – Rel. Consigliere –

Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

ZANOLI BENVENUTO nato a SPIRANO il 12/09/1977;

LUPPINO ANTONIO nato a TAURIANOVA il 17/07/1968;

BIMBATO ANDREA nato a LEGNAGO il 01/11/1966;

avverso la sentenza del 18/12/2019 del G.i.p. del Tribunale di Verona;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Sergio Di Paola.

RITENUTO IN FATTO

1. Il G.i.p del Tribunale di Verona, con sentenza in data 18 dicembre 2019, applicava nei confronti di Zanoli Benvenuto, Luppino Antonio e Bimbato Andrea (oltre ad altri imputati) le pene concordate dalle parti ex art. 444 c.p.p., in relazione ai reati di riciclaggio e autoriciclaggio, loro rispettivamente ascritti, disponendo altresì la confisca di somme di denaro nella disponibilità degli imputati Zanoli e Luppino, ai sensi dell’art. 240 bis cod. pen.

2. Propongono ricorso per cassazione le difese degli imputati:

– i difensori degli imputati Zanoli e Luppino, con ricorsi di contenuto analogo, deducono con unico motivo di ricorso la violazione di norme processuali previste a pena di nullità e inutilizzabilità, in relazione agli artt. 324, 352, 354, 355, 178 lett. c) e 191 cod. proc. pen.; rilevando che le somme oggetto di confisca erano state sequestrate dalla p.g., senza che fosse intervenuto alcun provvedimento di convalida del P.M., con pregiudizio per la possibilità delle parti di adire il tribunale del riesame e allegare elementi di prova sulla legittima disponibilità delle somme;

– il difensore dell’imputato Bimbato deduce, con unico motivo, l’illegalità della pena applicata per violazione del disposto degli artt. 133 e 133 bis cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. I ricorsi degli imputati Zanoli e Luppino sono inammissibili, perché proposti per motivi manifestamente infondati.

Pur se in astratto i ricorsi, censurando la legittimità della confisca disposta, appaiono ammissibili, il motivo illustrato dai ricorrenti denuncia la manifesta inammissibilità dell’impugnazione che prospetta un vizio di inutilizzabilità della prova, del tutto eccentrico rispetto al contenuto della statuizione di confisca.

Va, infatti, rammentato che la confisca prevista dall’art. 240 bis cod. pen. (e già disciplinata dall’art. 12 sexies I. 356/92) non richiede necessariamente che la misura sia preceduta dal sequestro delle cose da sottoporre al provvedimento ablatorio (risultando solo necessario che i beni siano altrimenti individuabili nel momento in cui il provvedimento deve essere eseguito, così da rispettare il contraddittorio sulla misura di sicurezza che risulta in tal modo assicurato dalla correlazione fra accusa e sentenza (Sez. 1, n. 43812 del 16/04/2018 – dep. 03/10/2018, Taverniti, Rv. 274485; Sez. 3, n. 7079 del 23/01/2013, Buzi, Rv. 254751; Sez. 2, n. 6383 del 29/01/2008, De Blasio, Rv. 239448).

Conseguentemente, l’eventuale vizio della carenza del provvedimento di convalida del sequestro operato dalla p.g. non rileva, sia perché non si tratta di sequestro finalizzato alla prova dei fatti concernenti l’imputazione, sia perché ciò che rileva è la concreta individuazione dei beni nella disponibilità dell’imputato responsabile dei delitti indicati dalla norma che collega la misura della confisca all’accertamento delle condizioni dell’ingiustificata disponibilità di quei beni e della sproporzione tra il valore dei beni stessi e le condizioni reddituali del soggetto destinatario della confisca.

1.2. Il ricorso della difesa dell’imputato Bimbato risulta formulato per motivo non consentito.

Il ricorrente, infatti, formalmente denuncia l’illegalità della pena applicata (da intendersi come sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero eccedente, per specie e quantità, il limite legale), per poi censurare l’erronea valutazione della misura della pena, in relazione al contenuto egli artt. 133 e 133 bis cod. pen.: si tratta, pacificamente, di materia che non può formare oggetto di ricorso in sede di legittimità, secondo l’inequivoco disposto dell’art. 448, comma 2 bis cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 19757 del 16/04/2019, Bonfiglio, Rv. 276509; il medesimo principio era già stato affermato prima che fosse introdotta la norma dell’art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen.: Sez. 3, n. 10286 del 13/02/2013, Matteliano, Rv. 254980).

2. All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento da parte di ciascuno di essi della somma, che si ritiene equa, di euro duemila a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 20/7/2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.