È costituzionalmente legittima la mancanza di una durata minima o massima delle prescrizioni imposte con l’avviso orale “rafforzato” del Questore? (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 16 dicembre 2021, n. 46076).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. CATENA Rossella – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Rel. Consigliere

Dott. DE MARZIO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Mirko, nato a Roma il 29/08/19xx;

avverso il decreto del 04/02/2020 del Tribunale di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE RICCARDI;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Tomaso Epidendio, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con provvedimento reso il 4 febbraio 2020 il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, ha rigettato l’opposizione proposta da (OMISSIS) Mirko avverso l’avviso orale contenente divieti aggiuntivi, ai sensi dell’art. 3, comma 4, d.lgs. n. 159 del 2011, emesso nei suoi confronti dal Questore di Roma l’8 agosto 2019.

L’avviso orale – che imponeva a (OMISSIS) lo specifico divieto di possesso e uso di “qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente (…)” e il divieto di accesso a Internet, ricomprendendo tra gli strumenti vietati anche i telefoni cellulari, nonché di sostanze infiammabili e artifici pirotecnici – si fondava sulla ritenuta pericolosità sociale del soggetto, valutata con giudizio prognostico sulla base delle condanne passate in giudicato per reati di tentata rapina, lesioni personali, rissa e minaccia, e dell’esito delle ulteriori indagini relativamente all’accertamento a suo carico di reati di maltrattamenti in famiglia, minaccia, furto, resistenza a pubblico ufficiale.

2. Avverso il provvedimento del Tribunale ha proposto appello il difensore di (OMISSIS) Mirko, Avv. Emanuela (OMISSIS), deducendo due motivi.

2.1. Con il primo motivo deduce l’assenza della pericolosità generica ed attuale.

Sostiene che nessun giudice abbia mai dichiarato la pericolosità sociale del prevenuto, e che i divieti imposti siano privi di collegamento con i reati commessi, peraltro risalenti nel tempo; non è sufficiente l’inquadramento del soggetto in una delle tre categorie di pericolosità ‘generica’, essendo necessaria una valutazione prognostica sulla base di elementi di fatto che fondino un giudizio di attualità della pericolosità sociale.

2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 8 CEDU, per la mancata indicazione della durata minima e massima degli obblighi imposti dal Questore, e per la compromissione di fondamentali diritti costituzionali, e l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, d.lgs. 159/2011.

3. Con ordinanza del 27.4.2021 la Corte di Appello di Roma ha riqualificato l’impugnazione come ricorso per cassazione ed ha trasmesso gli atti a questa Corte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Oggetto della questione di legittimità costituzionale.

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 comma 4 d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, per contrasto con gli artt. 3, 15, 21 e 117 della Costituzione in relazione agli articoli 8 e 10 CEDU.

2. Rilevanza della questione.

La questione di legittimità che viene rimessa al sindacato di costituzionalità ha rilevanza nel procedimento in corso, in quanto il ricorso ha ad oggetto i provvedimenti giurisdizionali riguardanti la misura di prevenzione dell’avviso orale emesso dal Questore, aggravato dai divieti previsti dal comma 4 dell’art. 3 d.lgs. 159/2011.

Al riguardo, il ricorso contesta, oltre alla sussistenza dei presupposti della misura di prevenzione – appartenenza ad una delle categorie di pericolosità e attualità della pericolosità sociale -, la mancata previsione della durata minima e massima dei divieti imposti dal Questore, nonostante l’incidenza su diritti fondamentali della persona.

Tuttavia, mentre il primo motivo di ricorso, oltre a sollecitare una non consentita rivalutazione del merito, è manifestamente infondato, in quanto il Tribunale di Roma, in sede di opposizione, ha evidenziato l’appartenenza del (OMISSIS) alla categoria di pericolosità ‘generica’ di cui alla lett. c) dell’art. 1 d.lgs. 159/2011 – in quanto dedito alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza o la tranquillità pubblica, essendo stato definitivamente condannato per delitti di lesioni personali, tentata rapina, rissa e minaccia aggravata – e l’attualità della pericolosità, in considerazione dei recenti fatti di maltrattamenti in famiglia (in ordine ai quali è stato altresì arrestato), di resistenza a pubblico ufficiale e di minaccia aggravata dall’uso di un coltello ai danni dei dipendenti di un bar (in ordine ai quali è stato deferito in stato di libertà all’A.G.), il secondo motivo propone una questione di illegittimità ‘convenzionale’ e costituzionale che non appare manifestamente infondata.

La mancata indicazione, nella disposizione normativa in esame, della durata minima e massima dei divieti imponibili al destinatario di un avviso orale non appare infatti suscettibile di una interpretazione costituzionalmente orientata, per l’assoluta carenza di un dato normativo al quale agganciare l’operazione ermeneutica, che fonderebbe, dunque, l’assunzione di un non consentito ruolo di supplenza paranormativa di questa Corte.

La giurisprudenza di legittimità (Sez. F, n. 38514 del 01/09/2009, Finizio, Rv. 245301), del resto, ha già evidenziato che non è previsto alcun termine di durata della misura di prevenzione.

La decisione del ricorso è, pertanto, condizionata dalla soluzione della questione proposta, che riguarda l’assenza di una indicazione normativa in ordine alla durata minima e massima dei divieti imposti con l’avviso orale del Questore, nei casi previsti dall’art. 3, comma 4, d.lgs. 159/2011.

3. Non manifesta infondatezza.

3.1. Per illustrare i profili che appaiono a questa Corte porsi in contrasto con alcune fondamentali norme costituzionali e ‘convenzionali’ (in tal senso alludendo alle libertà previste dalla CEDU, anche nella interpretazione ad esse fornita dalla Corte di Strasburgo), non appare ridondante rilevare che il divieto di possedere determinati apparati (di comunicazione, di trasporto) o determinati oggetti e/o sostanze (pirotecniche, infiammabili, ecc.) è stato introdotto, nell’art. 4 I. 1423/1956, dalla legge n. 128 del 2001 (e successivamente modificato, in parte, dalla I. 15 luglio 2009, n. 94).

Con l’entrata in vigore del d.lgs. 159 del 2011 (c.d. Codice Antimafia), l’art. 3, commi 4, 5 e 6, ha riprodotto le disposizioni previgenti, prevedendo che i divieti possano essere imposti, con l’avviso orale, alle persone riconducibili ad una delle categorie di pericolosità ‘generica’ previste dall’art. 1, purché già condannati definitivamente per delitti non colposi; i medesimi divieti, inoltre, possono essere imposti ai sottoposti alla sorveglianza speciale, purché condannati definitivamente per delitti non colposi, ai sensi del comma 5 dell’art. 3 d.lgs. 159/2011.

Prescindendo dalla singolarità di una misura applicata dall’autorità amministrativa (il Questore) anche nei confronti di persone già ritenute pericolose dall’autorità giudiziaria che ha applicato la sorveglianza speciale, i divieti imposti ai sensi del comma 5 non pongono problemi interpretativi in merito alla durata, che può ritenersi assoggettata alla disciplina dell’art. 8, comma 1, per la misura della sorveglianza speciale, che prevede una durata non inferiore ad un anno né superiore a cinque anni.

La questione resta, invece, irrisolta con riferimento ai divieti accessori alla misura di prevenzione personale dell’avviso orale, applicata dall’autorità amministrativa, non già alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale applicata dall’autorità giudiziaria.

Come è noto, infatti, l’avviso orale c.d. ‘semplice’, disciplinato dai primi 3 commi dell’art. 3 d.lgs. 159/2011, e che rappresenta una mera esortazione rivolta alla persona ritenuta pericolosa a mutare condotta, rinviene il proprio antecedente normativo nella “diffida”, prevista dagli artt. 3 e 4 della legge n. 1423 del 1956; originariamente per la diffida, che costituiva il presupposto di applicabilità della misura della sorveglianza speciale, non era fissato alcun termine di durata minima e massima.

La legge n. 327 del 1988 ha sostituito la “diffida” con I”avviso orale”, prevedendo un termine – tra 6 mesi e 3 anni – entro il quale il mancato mutamento della condotta costituiva presupposto per avanzare la proposta di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale.

Al riguardo, la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 499 del 1987, ha ritenuto che la diffida (all’epoca non era ancora stato introdotto l’avviso orale, né semplice, né aggravato) non fosse in contrasto con la Costituzione, in quanto non produceva effetti riduttivi per la libertà personale: invero era stata sollevata questione (analoga a questa in esame) di legittimità costituzionale dell’art. 1 della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, nella parte in cui non fissa(va) un termine massimo di efficacia del provvedimento di diffida del questore, con la conseguenza di facultizzare in ogni tempo il prefetto ad adottare provvedimenti di diniego o sospensione della patente di guida; ebbene, la Corte Costituzionale, rilevando che “la diffida è un’ingiunzione a cambiare condotta e ad osservare i princìpi dell’ordinamento e che, contrariamente alle misure di prevenzione dell’obbligo di soggiorno, rimpatrio obbligatorio ecc., non produce, di per sè, effetti riduttivi o compressivi delle libertà individuali”, che “l’efficacia temporale della diffida è legata al permanere di una determinata condotta e spiega i suoi effetti fino al momento in cui l’interessato non ne abbia chiesto, ed ottenuto, l’annullamento o la revoca in sede amministrativa, a seguito di cambiamento di condotta”, e che, “al contrario, le misure dell’obbligo di soggiorno, del rimpatrio obbligatorio ecc., appunto in virtù del loro effetto riduttivo delle libertà individuali, devono essere, per loro natura, temporanee”, ha dichiarato manifestamente infondata la questione.

Dunque, la legittimità dell’omessa previsione di termini di durata è stata ritenuta costituzionalmente legittima in quanto la “diffida” non determinava effetti pregiudizievoli per le libertà individuali.

Nel solco di tale pronuncia, emessa con riferimento alla diffida, ma in assenza della possibilità di imporre dei divieti, il legislatore delegato, in sede di adozione del Codice Antimafia, non ha fissato un termine di efficacia alla misura di prevenzione dell’avviso orale.

Tuttavia, la stratificazione normativa che ha caratterizzato in maniera particolarmente profonda il sottosistema delle misure di prevenzione ha determinato, appunto, l’introduzione, in uno dei molteplici interventi legislativi puntuali e asistematici in precedenza richiamati, di una misura di prevenzione personale che, invece, incide, ed anche in maniera significativa, sui diritti fondamentali delle persone.

Invero, oltre all’avviso orale semplice (art. 3, commi 1, 2 e 3 d.lgs. 159/2011), che non determina effetti diretti riduttivi delle libertà personali, la normativa attualmente vigente prevede altresì l’avviso orale c.d. aggravato, con il quale, oltre all’invito a tenere una condotta conforme alla legge, il Questore può imporre una serie di divieti (“di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, armi a modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone, prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare Io sprigionarsi delle fiamme, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi”), che sono, all’evidenza, significativamente incidenti su alcune libertà costituzionali.

Naturalmente ciò che viene in rilievo non è la astratta previsione di incidere, mediante imposizione di divieti, sui diritti e sulle libertà fondamentali della persona, ma è, oltre alla competenza attribuita ad una autorità amministrativa, l’assenza della previsione di un termine di durata degli stessi divieti, che non soltanto possono comprimere a tempo indeterminato alcune fondamentali libertà, ma possono altresì integrare, in caso di trasgressione, il delitto di cui all’art. 76, comma 2, d.lgs. 159/2011; in tal senso collocando una sorta di ‘spada di Dannocle’ permanentemente incombente sulla persona destinataria dell’avviso orale c.d. aggravato.

3.2. I divieti che possono essere imposti dal Questore ai sensi del comma 4 dell’art. 3 d.lgs. 159/2011 incidono in maniera significativa su diverse libertà fondamentali, tutelate dalle norme costituzionali e dalla CEDU.

3.2.1. Prescindendo dagli altri divieti, che pure concernono altre libertà personali, senza tuttavia comprimerle del tutto (si pensi alla circolazione con mezzi di trasporto modificati, al possesso di artifici pirotecnici), occorre concentrare l’attenzione sui divieti “di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente”, oggetto precipuo dell’avviso orale oggetto di ricorso, per la potenziale capacità di compromettere del tutto, o comunque in maniera significativa, le libertà fondamentali connesse, ove si consideri che essi comprendono il telefono cellulare, la televisione, i telefoni cordless, i wireless, e qualsiasi altro apparecchio idoneo alle comunicazioni (in tal senso, Sez. F, n. 38514 del 01/09/2009, Finizio, Rv. 245301).

Nella fattispecie oggetto di sindacato, del resto, è stato precisato, nel provvedimento di avviso orale, il divieto di accedere ad internet, anche mediante telefoni cellulari, e di usare software o altri strumenti idonei alla cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi.

3.2.2. Al riguardo, viene dunque in rilievo una serie di divieti concernenti il possesso e l’utilizzazione del telefono cellulare, ma anche di altri apparati di comunicazione (televisione, radio, ecc.), nonché l’accesso ad internet, che comprimono la libertà di comunicazione (art. 15 Cost.) e la libertà di espressione (art. 21 Cost.), anche nella dimensione passiva – enucleata espressamente dall’art. 10 CEDU e dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, rilevante quale parametro interposto, ai sensi dell’art. 117 Cost. – della “libertà di ricevere informazioni”.

In particolare, l’art. 15 Cost., nel sancire l’inviolabilità della corrispondenza e di “ogni altra forma di comunicazione”, prevede che “la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”: la norma protegge, dunque, qualsiasi forma di “corrispondenza” e di “comunicazione”, che, nella realtà sociale odierna, comprende evidentemente anche le comunicazioni telefoniche, per messaggi – sms o tramite applicativi (whatsapp, telegram, ecc.) -, ed il profilo della “libertà” è distinto, e più ampio, rispetto al profilo della “segretezza”.

Nell’ambito delle “comunicazioni”, peraltro, se l’art. 15 Cost. considera le “comunicazioni interpersonali”, rivolte a destinatari previamente individuati, l’art. 21 Cost. protegge le “comunicazioni alla generalità”; sicché il divieto di possedere e utilizzare qualsiasi apparecchio di comunicazione risulta suscettibile di compromettere, sotto aspetti complementari, entrambe le libertà costituzionali richiamate.

Del resto, la libertà di manifestazione del pensiero, esercitabile anche mediante i moderni strumenti di “comunicazione” (quali il telefono cellulare, il computer, le applicazioni di ‘messaggistica’, i social network), va considerata, come già accennato, anche nella sua dimensione passiva.

Invero, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero garantito dall’art. 21 Cost. viene anch’esso tradizionalmente declinato nella triplice dimensione della libertà di informare, della libertà di essere informati (o di ricevere informazioni) e della libertà di informarsi (o di ricercare informazioni):secondo una parte della dottrina costituzionalistica, dei tre, solo il diritto di informare troverebbe diretto riconoscimento e garanzia nell’art. 21 Cost., in quanto il diritto di ricevere informazioni si ritiene già soddisfatto attraverso la più rigorosa tutela del diritto attivo di informare, mentre il diritto di ricercare informazioni si ritiene tutelato non solo dall’art. 21, ma anche da altre norme costituzionali (a titolo esemplificativo: dall’art. 33 Cost. che tutela la ricerca scientifica; dall’art. 41 Cost. che tutela la libertà di iniziativa economica; dall’art. 48 Cost. che tutela la libertà di voto); altra parte della dottrina sottolinea che “dall’esercizio della libertà di informazione nasce, di fatto, la libertà di informarsi, che è libertà di attingere, secondo modalità influenzate da vari fattori, ai prodotti informativi che siano disponibili.

La libertà di informarsi, insomma, si nutre della libertà di informazione, e viceversa”.

Nella formulazione dell’art. 10 CEDU, la libertà di espressione comprende, invece, esplicitamente la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenze delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.

A differenza dell’art. 21 Cost., dunque, la norma convenzionale comprende espressamente anche il lato passivo dell’informazione, ossia il diritto di ricevere informazioni.

Al riguardo, non appare ridondante evidenziare che la tutela della libertà di espressione, sia nel sistema di protezione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sia nell’intelaiatura costituzionale, riveste un’importanza fondamentale nella delineazione di un sistema democratico moderno, costituendo un diritto al contempo individuale e sociale: un diritto individuale fondamentale, del singolo, “perché l’uomo possa unirsi all’altro uomo nel pensiero e col pensiero” (secondo una classica dottrina), proiezione della stessa dignità umana; ma anche un diritto sociale, inteso quale pretesa di un comportamento attivo dello Stato alla formazione di un’opinione pubblica consapevole, funzionale alla garanzia del metodo democratico ed alla partecipazione di tutti i cittadini “all’organizzazione politica, economica e sociale” del Paese (art. 3, comma 2, Cost.), con il compito di «intervenire anche positivamente per realizzare e conservare l’esistenza di un “libero mercato delle idee e delle notizie”».

In tal senso, viene in rilievo anche l’art. 3, comma 2, Cost., nella sua dimensione di ‘uguaglianza sostanziale’ che lo Stato ha il compito di promuovere.

3.2.3. La rilevanza anche dei moderni mezzi di comunicazione, ed in particolare di internet, nella società odierna è stata sempre più sottolineata anche dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, recentemente, nel caso Ramanaz Demír c. Turchia (Corte EDU, 09/02/2021) ha ravvisato una violazione dell’art. 10 CEDU in relazione al diritto di ricevere informazioni invocato da un cittadino turco detenuto, la cui richiesta di accedere ad Internet (in particolare, a siti web istituzionali), sotto il controllo delle autorità carcerarie, anche per seguire, in qualità di avvocato, i suoi clienti e preparare la propria difesa, era stata respinta dalle autorità nazionali.

Al riguardo, la Corte EDU, evidenziando l’importanza di Internet, non solo come strumento per ricevere informazioni, ma servizio pubblico funzionale al godimento di molteplici diritti umani, ha ritenuto insufficienti le giustificazioni dell’interferenza da parte dello Stato nazionale, non avendo le autorità fornito spiegazioni sufficienti sul perché l’accesso del ricorrente a siti istituzionali di giustizia non potesse considerarsi parte della sua formazione e riabilitazione, né sul pericolo che l’accoglimento della richiesta avrebbe determinato, trattandosi di una ‘navigazione’ controllabile dall’amministrazione penitenziaria.

Analogamente in quattro sentenze del 23 giugno 2020 concernenti la Russia (Corte EDU, caso Kharitonov c. Russia, 23.6.2020; Corte EDU, caso Ooo Flavus e altri c. Russia, 23.6.2020; Corte EDU, caso Bulgakov c. Russia, 23.6.2020; Corte EDU, caso Engels c. Russia, 23.6.2020), la Corte di Strasburgo ha affrontato questioni concernenti la libertà di trasmettere e ricevere informazioni tramite internet, pregiudicata da misure preventive di “blocco” di siti web.

Anche in tal caso, la Corte europea ha innanzitutto sottolineato l’importanza di internet, che è diventato uno dei mezzi principali con cui le persone esercitano il loro diritto alla libertà di espressione e di informazione, in quanto rende più agevole la diffusione delle informazioni al pubblico.

In considerazione di ciò, ha ribadito che l’articolo 10 CEDU, garantendo a tutti la libertà di ricevere e trasmettere informazioni e idee, si applica non solo al contenuto delle informazioni, ma anche ai mezzi di diffusione, poiché qualsiasi restrizione imposta a queste ultime interferisce necessariamente con tale libertà (in tal senso, già Corte EDU, Ahmet Yildir,m c. Turchia, 18/03/2013, § 48-54).

Peraltro, va evidenziato, ai fini che qui rilevano, che la Corte di Strasburgo, nel formulare il c.d. test di legalità dell’interferenza, oltre all’aspetto ‘formale’ della legge, è sempre più attenta al profilo della “qualità della legge”, che deve essere accessibile e prevedibile, in modo che l’individuo possa adattare la propria condotta alle prescrizioni legali (Corte EDU, caso Sunday Times (n. 1) c. Regno Unito, 26.4.1979, §§ 47-49).

Ebbene, nei recenti casi decisi con le quattro sentenze del 23 giugno 2020 concernenti la Russia, in cui la Corte EDU ha affrontato questioni concernenti la libertà di trasmettere e ricevere informazioni tramite internet, pregiudicata da misure preventive di “blocco” di siti web, la Corte ha sottolineato, in primo luogo, che, sebbene l’art. 10 CEDU ammetta deroghe “prescritte dalla legge”, non è sufficiente la formale esistenza di una base legale, ma si richiede anche che la legge stessa sia adeguatamente accessibile e prevedibile e che indichi con sufficiente chiarezza quali siano i poteri conferiti alla pubblica autorità e le modalità del loro esercizio: tali caratteristiche non sono state riscontrate nella legislazione russa, i cui contenuti sono stati ritenuti vaghi ed eccessivamente ampi e quindi non consentono ai proprietari di siti Web di sapere in anticipo quali contenuti siano suscettibili di essere vietati e quando sia applicabile la misura del blocco dell’intero sito Web.

Sempre nella dimensione ‘convenzionale’, va rilevato che il test di necessità rappresenta la terza fase del controllo della Corte di Strasburgo: una volta verificata la ‘legalità’ e la ‘legittimità’ (degli scopi perseguiti) dell’interferenza statale, la Corte deve verificare che la limitazione della libertà – di espressione e di comunicazione – del ricorrente sia necessaria in una società democratica.

La necessità di una limitazione corrisponde, secondo la collaudata definizione della giurisprudenza europea, ad un bisogno sociale imperioso (“pressing social need”), e la restrizione deve essere proporzionata allo scopo legittimo perseguito.

3.2.4. La dimensione della comunicazione interpersonale rientra, invece, nel diritto al rispetto della “corrispondenza”, che è uno dei quattro ambiti di tutela dell’art. 8 CEDU, ed è finalizzato a tutelare la riservatezza di ogni mezzo di comunicazione privata contro ogni ingerenza pubblica.

Al riguardo, la nozione rilevante di “corrispondenza”, per la giurisprudenza della Corte EDU, è ampia, e vi rientrano, per quanto rileva in questa sede, le conversazioni telefoniche tra familiari (Corte EDU, caso Margareta e Roger Andersson c. Svezia, 25.2.1992, § 72.), o con altre persone (Corte EDU, caso Ludi c. Svizzera, 15.6.1992, §§ 38- 39; Corte EDU, caso Klass e altri c. Germania, 6.9.1978, §§ 21 e 41; Corte EDU, caso Malone c. Regno Unito, 2.8.1984, § 64), anche effettuate da locali privati o professionali (Corte EDU, Grand Chambre, caso Amann c. Svizzera, 16.2.2000, § 44; Corte EDU, caso Halford c. Regno Unito, 25.6.1997, §§ 44-46; Corte EDU, caso Copland c. Regno Unito, 3.4.2007, § 41; Corte EDU, caso Kopp c. Svizzera, 25.3.1998, § 50) e da un carcere (Corte EDU, caso Petrov c. Bulgaria, 22.5.2008, § 51); con l’evoluzione tecnologica sono state ricomprese nella garanzia dell’art. 8 anche i messaggi di posta elettronica (e -mail) (Corte EDU, caso Copland c. Regno Unito, 3.4.2007, § 41; Corte EDU, Grande Camera, caso Barbulescu c. Romania, 5.9.2017), l’utilizzo di internet (Corte EDU, caso Copland c. Regno Unito, 3.4.2007, §§ 41-42), i dati memorizzati nei server informatici (Corte EDU, caso Wieser e Bicos Beteiligungen GmbH c. Austria, 16.10.2007, § 45.), nonché negli hard disk (Corte EDU, caso Petri Sallinen e altri c. Finlandia, 27.9.2005, § 71) e nei floppy disk (Corte EDU, caso Iliya Stefanov c. Bulgaria, 22.5.2008, § 42).

3.3. Ciò posto, pacifica la limitazione e/o compressione della libertà di comunicazione e di espressione tutelate dagli artt. 15, 21 e, tramite il parametro interposto dell’art. 117 Cost., dagli artt. 8 e 10 CEDU, vanno evidenziati due profili di frizione con il tessuto costituzionale. Innanzitutto, la disposizione di cui all’art. 3, comma 4, d.lgs. 159/2011 fonda dubbi di legittimità sotto il profilo della legalità costituzionale e convenzionale.

3.3.1. Sotto il primo profilo, infatti, l’art. 15 Cost. prevede una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, per le limitazioni alla libertà di comunicazione; una garanzia ex ante, affidata al legislatore, ed una garanzia ex post, affidata al giudice.

Dunque, la Costituzione richiede, affinché lo Stato possa legittimamente limitare il diritto individuale, l’intervento della legge (“con le garanzie previste dalla legge”, c.d. riserva di legge) e successivamente il provvedimento dell’autorità giudiziaria (c.d. riserva di giurisdizione), senza riconoscere poteri preventivi all’autorità di pubblica sicurezza. Quanto al contenuto della legge, si ritiene, anche in dottrina, che la formula legislativa adottata (“con le garanzie adottate dalla legge”) costituisca un quid pluris rispetto alla fissazione dei casi e modi richiesta dagli artt. 13-14 Cost.

Una lettura sistematica degli artt. 13 e 15 porta infatti a ritenere che il legislatore debba non solo individuare i casi (richiesti dall’art. 13 Cost.) in cui si possa procedere alla limitazione, ma anche le garanzie tecniche e giuridiche idonee a limitare il sacrificio della libertà fondamentale (C. Cost. 34/1973).

La Costituzione richiede poi l’intervento con atto motivato dell’autorità giudiziaria.

La garanzia è, dunque, duplice: da un lato la disposizione costituzionale riserva all’autorità giudiziaria la concreta limitazione della libertà e della segretezza, escludendo l’intervento di organi e poteri diversi, dall’altro richiede che il provvedimento sia motivato per assicurare il controllo giurisdizionale nei gradi successivi di giudizio.

Va rilevato che, rispetto ad altre norme affini, l’art. 15 non prevede espressamente l’intervento preventivo, in casi di urgenza, dell’autorità di pubblica sicurezza.

Ebbene, la norma di cui all’art. 3, comma 4, d.lgs. 159/2011 non appare rispettosa innanzitutto della riserva di giurisdizione, in quanto affida l’imposizione dei divieti connessi all’avviso orale all’autorità amministrativa, non già all’autorità giudiziaria.

Sotto altro profilo, la riserva di legge risulta compromessa e vanificata, nella sua funzione di garanzia, da una disposizione che, nel prevedere la possibilità di imporre divieti all’esercizio di libertà costituzionali (i “casi” e i “modi” di cui all’art. 13 Cost.), non riconosce “le garanzie” legate alla predeterminazione della durata, massima e minima, del provvedimento limitativo.

L’assenza della previsione di un termine di durata dei divieti previsti dal comma 4 dell’art. 3 d.lgs. 159/2011, dunque, non soltanto è in grado di comprimere a tempo indeterminato alcune fondamentali libertà, ma può altresì integrare, in caso di trasgressione, il delitto di cui all’art. 76, comma 2, d.lgs. 159/2011; in tal senso collocando, come già evidenziato, una sorta di ‘spada di Damocle’ permanentemente incombente sulla persona destinataria dell’avviso orale c.d. aggravato.

3.3.2. Sotto il profilo della legalità convenzionale, benché la misura limitativa possa essere giustificata dalla finalità, espressamente prevista sia dall’art. 8 che dall’art. 10 CEDU, della “prevenzione dei reati”, l’interferenza statale non appare essere fondata su una sufficiente “base legale”: come già evidenziato in precedenza, la Corte di Strasburgo, nel formulare il c.d. test di legalità dell’interferenza, oltre all’aspetto ‘formale’ della legge, è sempre più attenta al profilo della “qualità della legge”, che deve essere accessibile e prevedibile, in modo che l’individuo possa adattare la propria condotta alle prescrizioni legali (Corte EDU, caso Sunday Times (n. 1) c. Regno Unito, 26.4.1979, §§ 47-49); sicché non è sufficiente la formale esistenza di una base legale, ma si richiede anche che la legge stessa sia adeguatamente accessibile e prevedibile e che indichi con sufficiente chiarezza quali siano i poteri conferiti alla pubblica autorità e le modalità del loro esercizio.

Nel caso dei divieti imposti con l’avviso orale del Questore, la mancata previsione della durata degli stessi determina un deficit di legalità convenzionale, non essendo prevedibile, da parte del destinatario della misura di prevenzione, la modalità temporale di esercizio del potere limitativo.

3.3.3. La mancata previsione dei termini di durata dei divieti, infine, rileva anche sotto il profilo della proporzione della misura. In tal senso, la proporzionalità della misura limitativa viene in rilievo non soltanto nell’alveo interpretativo dell’art. 3 Cost., ma altresì nella dimensione della “necessità” dell’interferenza statale.

Sempre nella dimensione ‘convenzionale’, infatti, il test di necessità rappresenta la terza fase del controllo della Corte di Strasburgo: una volta verificata la ‘legalità’ e la ‘legittimità’ (degli scopi perseguiti) dell’interferenza statale, la Corte deve verificare che la limitazione della libertà – di espressione e di comunicazione – del ricorrente sia necessaria in una società democratica.

Al riguardo, la necessità di una limitazione corrisponde, secondo la collaudata definizione della giurisprudenza europea, ad un bisogno sociale imperioso (“pressing soda! need”), e la restrizione deve essere proporzionata allo scopo legittimo perseguito. In tale declinazione, una misura limitativa di libertà fondamentali, priva di termini di durata, appare sproporzionata allo scopo legittimo di prevenzione dei reati perseguito.

La stessa Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 499 del 1987, aveva già affermato che, se la “diffida” non era in contrasto con la Costituzione, trattandosi di “un’ingiunzione a cambiare condotta e ad osservare i princìpi dell’ordinamento e che, contrariamente alle misure di prevenzione dell’obbligo di soggiorno, rimpatrio obbligatorio ecc., non produce, di per sè, effetti riduttivi o compressivi delle libertà individuali”, “al contrario, le misure dell’obbligo di soggiorno, del rimpatrio obbligatorio ecc., appunto in virtù del loro effetto riduttivo delle libertà individuali, devono essere, per loro natura, temporanee”.

Né, del resto, la natura temporanea può essere legittimamente desunta dalla possibilità, prevista dal comma 3 dell’art. 3 d.lgs. 159/2011, di chiedere la “revoca” al Questore dell’avviso orale (semplice o aggravato): si tratta, infatti, di facoltà rimessa al destinatario della misura, che tuttavia non arricchisce la ‘base legale’ della limitazione mediante preventivo riconoscimento legislativo dei termini di durata, rimettendo all’autorità amministrativa la valutazione dell’esercizio del relativo potere (di revoca).

4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, dunque, va sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui omette di prevedere la durata minima e massima dei divieti imponibili con l’avviso orale del questore e nella parte in cui affida il potere di limitazione all’autorità amministrativa, per contrasto con gli artt. 3, 15, 21 e 117 Cost., in relazione agli artt. 8 e 10 CEDU.

P.Q.M.

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 comma 4 d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, in riferimento agli artt. 3, 15, 21 e 117 della Costituzione in relazione agli articoli 8 e 10 CEDU.

Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso.

Ordina, che a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al ricorrente, al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due camere del Parlamento.

Così deciso in Roma il 25/10/2021.

Depositata in Cancelleria in data 16 dicembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.