Affissione di manifesti contenenti messaggi pubblicitari senza autorizzazione e responsabilità solidale (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 16 dicembre 2021, n. 40328).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17563-2017 proposto da:

IL POPOLO DELLA LIBERTA’, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA (OMISSIS) 8, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LAURA GIULIANA (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (OMISSIS) 15, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONELLO (OMISSIS), IRMA (OMISSIS), RUGGERO (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13753/2016 del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 16/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/07/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione in appello il Popolo della Libertà impugnava la sentenza pronunciata dal giudice di Pace di Milano con la quale era stata respinta l’opposizione proposta ex articolo 22 I. n. 689 del 1981 avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dal Comune di Milano in relazione a 100 contestazioni di infrazione dell’articolo 4, comma 12, del regolamento comunale sulla pubblicità relativa all’affissione di manifesti elettorali in occasione delle elezioni amministrative del 2011 in data anteriore ai 30 giorni prima dell’evento elettorale.

2. Il Tribunale di Milano rigettava l’appello.

In particolare, secondo il Tribunale i l’unico motivo di appello da prendere in considerazione era quello della riferibilità della sanzione irrogata dal Comune al Pdl per contrasto con quanto disposto dall’art. 6, comma 1, I. n. 689 del 1981 in assenza della prova della qualità di proprietario dei manifesti in esame.

Sul punto il giudice dell’appello affermava che, per giurisprudenza pacifica, l’identificazione dell’autore materiale della violazione non costituiva un requisito di legittimità dell’ordinanza di ingiunzione nei confronti dell’obbligato solidale e che la lettera e la finalità del citato articolo 6 della I. n. 689 del 1981 consentiva di includere nella relativa previsione non solo i rapporti organici o di lavoro tra autore materiale della violazione e un ente determinato, bensì anche i rapporti caratterizzati in termini di beneficio di affidamento.

Risultava del tutto evidente che la propaganda elettorale oggetto delle contestazioni fosse stata effettuata nell’esclusivo interesse del Pdl.

Il Tribunale riteneva che gli enti, sia persone giuridiche che enti di fatto, erano obbligati in via solidale nei confronti dell’ente pubblico ancorché non potessero definirsi responsabili in qualità di autori materiali della violazione.

Il Tribunale non condivideva la tesi difensiva secondo la quale la responsabilità solidale del proprietario poteva affermarsi solo laddove si fosse accertato e individuato l’autore dell’affissione, così come non condivideva la definizione di proprietario, atteso che la responsabilità solidale si innestava sul concetto di soggetto beneficiario e non meramente di proprietario in termini civilistici.

L’esame dei manifesti riferiva gli stessi al Pdl e, peraltro, vi era anche una fattura che dimostrava che il Pdl medesimo aveva commissionato l’affissione dei manifesti alla società (OMISSIS) e (OMISSIS).

3. Il Popolo delle libertà ha proposto ricorso avverso la suddetta sentenza sulla base di un motivo.

4. Il Comune di Milano ha resistito con controricorso.

5. Con avviso notificato alle parti il ricorso è stato trattato in camera di consiglio in base alla disciplina dettata dall’art. 23, comma 8-bis, d. I. n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza la partecipazione delle parti che non hanno fatto richiesta di discussione orale.

6. L’ufficio della Procura Generale ha presentato conclusioni scritte ex art. 23, comma 8-bis, d. I. n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione dell’art. 6, commi 1 e 3, della I. n. 689 del 1981.

A parere della parte ricorrente la norma di riferimento da applicarsi al caso di specie è il comma 1 del citato art. 6 della I. n. 689 del 1981 che richiama la responsabilità del proprietario in via solidale e che opera anche quando sia rimasto ignoto l’autore materiale della violazione.

Diversamente nelle ipotesi di cui al successivo comma 3, per affermare la responsabilità dei dipendenti di una persona giuridica, o del rappresentante della stessa, è necessario individuare l’autore della violazione e provare il suddetto rapporto di dipendenza.

Ciò premesso, secondo la parte ricorrente, nella specie non vi sarebbe alcuna prova circa la proprietà dei manifesti oggetto della contestazione che poteva essere tanto del candidato, quanto del comitato elettorale dell’associazione locale o del partito nazionale.

Peraltro, in base alla legge, i manifesti elettorali dovevano indicare il committente responsabile e, dunque, era facilmente individuabile il responsabile.

Per cinque dei manifesti incriminati il committente responsabile era Cristina (OMISSIS) mentre per gli altri era Pier Antonio (OMISSIS). Quest’ultimo non era il legale rappresentante dell’associazione Popolo delle Libertà.

Infine, con riferimento alla fattura citata nella sentenza impugnata, essa riguardava manifesti diversi, destinati alla campagna istituzionale del partito, e non vi sarebbe alcuna riferibilità a quelli in contestazione.

1.2 Il motivo di ricorso è infondato.

Deve premettersi che i manifesti politici affissi all’infuori del periodo elettorale non sono assoggettali alla disciplina fissata dalla I. n. 212 del 1956 e dalla I. n. 81 del 1983, volta a garantire la correttezza della competizione tra i candidati, la quale sanziona le condotte illecite (affissione fuori dagli spazi individuati ed assegnati dal comune o affissione senza titolo in detti spazi) che si collocano in tale periodo, presupponendo la predisposizione da parte dell’amministrazione di quanto necessario alla pubblicità elettorale da parte dei gruppi o dei candidati; fuori dal periodo elettorale trova, viceversa, applicazione il d.lgs. n. 507 del 1993, posto a protezione degli interessi finanziari del comune e a tutela dell’ambiente e del decoro urbano del territorio amministrato, il cui art. 18 dispone che il servizio delle pubbliche affissioni è inteso a garantire la collocazione, a cura del comune, in appositi impianti a ciò destinati, di manifesti di qualunque materiale costituiti, contenenti comunicazioni aventi finalità istituzionali, sociali o comunque prive di rilevanza economica (Cass. civ. Sez. 2, Sent. n.20707 del 2019).

Nel caso in esame le condotte si sono verificate prima del trentesimo giorno antecedente le elezioni amministrative comunali e, dunque, si deve applicare la generale regolamentazione, ed il conseguente impianto sanzionatorio, inerente alle “ordinarie” pubbliche affissioni, come appunto contenuti nel d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e nelle disposizioni comunali di dettaglio (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2, 31/07/2019, n. 20707; Cass. Sez. 2, 27/08/2019, n. 21724).

Ciò premesso l’approfondita requisitoria del procuratore generale che ha concluso per l’accoglimento del ricorso può condividersi solo in parte.

Il P.G. ricostruisce correttamente la giurisprudenza di questa Corte nel senso che, ai fini della responsabilità solidale ex art. 6 I. n. 689 del 1981, è necessario che sia provata la proprietà del mezzo usato per commettere l’infrazione o il rapporto oggettivo e funzionale della condotta tenuta con l’interesse o gli scopi della persona giuridica o ente di fatto.

Tuttavia, nel caso di specie, il Tribunale di Milano ha accertato che l’associazione ricorrente aveva “commissionato” l’affissione dei manifesti in contestazione alla (OMISSIS) e (OMISSIS) S.r.l.”, come risultava dagli atti e in particolare dalla fattura del 29 aprile 2011.

Il ricorrente censura tale statuizione in modo del tutto generico affermando di aver dedotto nelle sue difese di aver commissionato alla suddetta ditta (OMISSIS) e (OMISSIS) altri manifesti e non quelli oggetto di contestazione.

Deve, invece, rilevarsi che nella sentenza impugnata la questione dell’identità dei manifesti commissionati dalla ricorrente con quelli oggetto di contestazione non risulta in alcun modo affrontata, sicché era onere della ricorrente indicare dettagliatamente quando e come, nel corso del giudizio di merito, aveva dedotto che la fattura riguardava altri manifesti.

Pertanto, sulla base di tale accertamento di fatto non sindacabile in questa sede, il Tribunale di Milano ha coerentemente ritenuto soggetto alla sanzione il Popolo della Libertà quale “proprietario” o “titolare” dei manifesti ad esso favorevoli affissi senza autorizzazione, avendo desunto in fatto che i manifesti con pubblicità a favore dell’associazione Popolo della Libertà fossero di proprietà della stessa che li aveva commissionati e che la medesima associazione aveva anche “beneficiato” dell’affissione.

In altri termini i l’aver commissionato i manifesti provava sia la proprietà dei manifesti che il nesso funzionale con coloro che materialmente li avevano apposti e della cui opera si era avvalsa l’associazione ricorrente.

Infatti, l’affidamento o l’avvalimento presuppongono che sia accertato aliunde (come nel caso di specie) che l’attività pubblicitaria sia riconducibile al beneficiario, identificato con uno dei soggetti di cui all’art. 6, comma 3, I. n. 689 del 1981 (persona giuridica, ente o comunque imprenditore) e sia stata svolta su suo impulso quale committente o autore del messaggio pubblicitario.

Di conseguenza ove si fosse pervenuti all’identificazione degli autori materiali dell’illecito, questi avrebbero dovuto rispondere personalmente della loro condotta, restando fermo l’obbligo solidale dell’associazione ricorrente essendo stato abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2007 il comma 5-ter dell’art. 24 della I. n. 507 del 1993 che escludeva la responsabilità solidale per i soggetti indicati dall’art. 20 della medesima legge tra i quali era ricompresa anche l’associazione ricorrente (abrogazione intervenuta ad opera dell’art. 1, comma 176, lett. a), L. 27 dicembre 2006, n. 296 per contrastare il fenomeno delle affissioni abusive).

Deve pertanto darsi continuità al seguente principio di diritto: «In tema di sanzioni amministrative emesse, ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, per l’affissione di manifesti contenenti messaggi pubblicitari senza la prescritta autorizzazione, la responsabilità solidale della persona giuridica, o dell’ente privo di personalità giuridica – nel caso di violazione commessa dal rappresentante o dal dipendente degli enti medesimi, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze – consente di includere nell’ambito applicativo della norma non soltanto i soggetti legati alla persona giuridica o all’ente da un formale rapporto organico, ovvero da un rapporto di lavoro subordinato, ma anche tutti i casi in cui i rapporti siano caratterizzati in termini di affidamento (inteso come materiale consegna all’autore della violazione del materiale pubblicitario) o di avvalimento (inteso come attività di cui il committente profitta); ciò tuttavia, a condizione che l’attività pubblicitaria sia comprovatamene riconducibile all’iniziativa del beneficiario quale committente o autore del messaggio pubblicitario o che sia documentato il rapporto tra autore della trasgressione ed ente o persona giuridica opponente, restando comunque escluso che il beneficiario del messaggio pubblicitario sia solidalmente responsabile della violazione per il solo fatto di averne potuto trarre giovamento» (Sez. 2, Sent. n. 13770 del 2009)».

3. Il ricorso è rigettato.

4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 3000 più 200 per esborsi;

ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile, in data 11 novembre 2021.

Depositata in Cancelleria, addì 16 dicembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.