REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Compasta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANTONIO MANNA – Presidente –
Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI – Consigliere –
Dott. MARGHERITA MARIA LEONE – Consigliere –
Dott. ANTONELLA PAGETTA – Consigliere –
Dott. CARLA PONTERIO – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 1219-2022 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.p.a. (OMISSIS) (OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 262/2021 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 03/11/2021 R.G.N. 243/2021;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/12/2024 dal Consigliere, Dott.ssa CARLA PONTERIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa OLGA PIRONE, che ha concluso per il rigetto del ricorso
udito l’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);
udito l’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS);
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Ancona ha accolto l’appello deIla società (OMISSIS) spa e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda proposta da (OMISSIS) (OMISSIS) volta aIla declaratoria di illegittimità del Iicenziamento per giusta causa intimatogIi il 5.3.2018.
2. La Corte territoriale ha preIiminarmente escluso che il (OMISSIS) (OMISSIS) avesse proposto reclamo incidentale condizionato, essendosi limitato a reiterare gIi argomenti difensivi gia spesi in prime grado.
Nel merito, ha premesso che con lettera del 22.2.2018 era state contestato al (OMISSIS) (OMISSIS) di avere pubblicato, sul profilo creato dalla società datrice di lavoro sulla piattaforma informatica “(OMISSIS)”, un post daI seguente contenuto ” … perdete ogni speranza…”, dando come votazione una stella su cinque. Ha ritenuto che il tribunale (che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento ed applicata la tutela di cui all’art. 18, comma 5, della legge 300/1970, come modificato dalla legge 92/2012), non avesse adeguatamente considerato la potenzialità lesiva del comportamento posto in essere daI lavoratore, consistente in una “consapevole e volontaria denigrazione dell’azienda” realizzata utilizzando un mezzo in grado di dare alla comunicazione una enorme diffusività, di raggiungere un numero elevatissimo di persone e di influenzarne negativamente l’orientamento. Tale potenzialità lesiva, secondo i giudici di appello, era di per se idonea ad elidere il vincolo fiduciario e a rendere proporzionata la massima sanzione espulsiva.
Ne poteva attribuirsi alcuna incidenza aIla scelta deIla società di non rimuovere il commento del dipendente, scelta rispondente a legittime valutazioni di opportunità ispirate ad una tattica di contenimento dei danni. Ove anche si considerasse veritiera l’immagine aziendale esternata attraverso iI citato commento, quest’ultimo, secondo la Corte di merito, non rispetterebbe comunque i limiti di continenza formale necessari per il legittimo esercizio del diritto di critica che, nell’ambito del rapporto di lavoro, deve essere funzionale ad un risultato costruttivo.
Inoltre, il requisito del “grave nocumento morale o materiale”, richiesto dal contratto collettivo Metalmeccanica Industria (art. 10) ai fini del licenziamento senza preavviso, doveva essere inteso come comprensivo di qualsiasi comportamento atto a ledere in modo serio gli interessi della società, non potendosi escludere dal suo spettro le condotte lesive dell’immagine e deIla reputazione aziendale rispetto ai terzi.
A fronte deIla prova di sussistenza dell’addebito, offerta dalla società, il lavoratore non aveva assolto all’onere di dimostrare l’avvenuta provocazione realizzata attraverso comportamenti vessatori di parte datoriale.
Parimenti indimostrata era rimasta la deduzione del delicato stato emotivo in cui si trovava il dipendente a causa del lutto per la perdita della madre.
3. Avverso la sentenza (OMISSIS) (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a sedici motivi. La (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) (OMISSIS) ha resistito con controricorso.
4. Il Sostituto Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
5. Con il primo motivo di ricorso é dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sui quattro motivi di reclamo incidentale condizionato concernenti:
1) la mancata ammissione delle istanze istruttorie sulle condizioni personali del lavoratore;
2) la omessa o errata valutazione del comportamento datoriale (costruttività ambientale e/o provocazione) ai fini della proporziona lita della sanzione sotto il profilo soggettivo;
3) la omessa attività istruttoria e/o errata valutazione delle risultanze istruttorie circa il comportamento datoriale provocatorio nelle immediatezze del fatto disciplinare ai fini della proporzionalità della sanzione;
4) l’errata valutazione del fatto materiale ai fini deIla proporzionalità deIla sanzione sotto il profilo oggettivo e soggettivo.
6. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per omessa o carente motivazione in ordine al mancato esame dei motivi di reclamo incidentale condizionato, in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. Si critica la sentenza impugnata perché non chiarisce le ragioni in virtù delle quaIi ha derubricato i motivi di impugnazione a semplici argomenti difensivi ed inoltre, pur ammesso che la stessa abbia analizzato i motivi di reclamo incidentale, per avere adottato una motivazione apparente e in insanabile contraddizione.
7. Con il terzo motivo di ricorso é dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 436, 323, 329, 333, 346 c.p.c., dell’art. 1, comma 58 e ss. della legge 92 del 2012, con riferimento alla ritenuta riconducibilità dei motivi di gravame incidentale condizionato a mere argomentazioni difensive.
8. I primi tre motivi, che si trattano congiuntamente per connessione logica, non sono fondati.
9. Deve anzitutto escludersi che sia configurabile il vizio di omessa pronuncia.
10. Secondo l’indirizzo consolidate di questa Corte, il vizio di omessa pronuncia causativo deIla nullità deIla sentenza per la violazione dell’art. 112 c.p.c. ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o aI convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulate in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto.
Analogamente, l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di impugnazione integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere ai sensi dell’art. 112 c.p.c. (v. Cass. 1170 del 2004; n. 27387 del 2005; n. 11844 del 2006; n. 12952 del 2007).
Non é, invece, configurabile la violazione dell’art. 112 c.p.c. ove il giudice di merito non abbia risposto a mere argomentazioni difensive. Ne viola l’art. 112 c.p.c. la sentenza che non prenda in esame i fatti secondari dedotti dalla parte. In tal caso, può ritenersi integrato il diverso vizio di cui all’art. 360, n. 5 c.p.c. nella misura in cui il giudice abbia omesso la considerazione di fatti rilevanti ai fini della ricostruzione della quaestio facti in funzione dell’esatta qualificazione e sussunzione in iure della fattispecie (v. Cass. 17698 del 2011; n. 7653 del 2012; 22799 del 2017; n. 28308 del 2017; n. 459 del 2021).
11. I motivi di reclamo incidentale condizionato proposti nell’interesse del lavoratore non avevano ad oggetto punti di decisione su cui lo stesso era rimasto soccombente in primo grado, ma mancata ammissione di prove o errata valutazione delle prove acquisite: nel primo caso non può parlarsi di omessa pronuncia (che, per definizione, concerne solo domande o eccezioni di merito), ma – al più é se del caso – di violazione del diritto alla prova ove la sentenza impugnata abbia erroneamente giudicato irrilevanti o inammissibili prove che, invece erano rilevanti e ammissibili; nel secondo caso, la censura impinge nel merito e, in quanto tale non spendibile in sede di legittimità.
12. Deve peraltro rilevarsi che la Corte d’appello non ha, comunque, omesso la pronuncia sui motivi di reclamo incidentale, ma ha qualificato gli stessi come riproposizione di argomenti difensivi e non come motivi di reclamo incidentale condizionato. Tale qualificazione appare conforme a diritto atteso che l’onere di impugnazione presuppone la soccombenza, anche parziale, della parte, intesa in senso sostanziale e non formale, venendo a mancare altrimenti l’interesse ad impugnare, richiesto dall’art. 100 cod. proc. civ. come essenziale requisito del diritto di azione o di eccezione e dello stesso diritto di impugnazione deIla sentenza (cosi Cass. n. 18691 del 2007; n. 6770 del 2012; n. 8934 del 2013; n. 21304 del 2016; n. 13395 del 2018).
Difatti, una soccombenza soltanto teorica in primo grado – che ha luogo quando la parte, pur vittoriosa, abbia però visto respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero accogliere le sue conclusioni per ragioni diverse da quelle prospettate – non fa sorgere l’interesse della stessa ad appellare, ma le impone unicamente l’onere di manifestare in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre le domande ed eccezioni rimaste assorbite nel giudizio di primo grado, onde superare la presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c. (cfr. per tutte e per la definizione degli ambiti fra appello incidentale e mera riproposizione ex art. 346 c.p.c. Cass. S.U. 11799 del 2017).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha escluso la sussistenza dei presupposti per la proposizione di un reclamo incidentale (condizionato) sul rilievo che il tribunale aveva accolto, sia pure in parte, la domanda del lavoratore e che le censure da questi proposte in secondo grado non investivano la parte di domanda non accolta ma miravano unicamente ad “ottenere la conferma decisione del tribunale”.
13. II rigetto del primo motivo di ricorso assorbe la prima censura del secondo motivo e il terzo motivo. La seconda censura del secondo motivo é infondata poiché non ricorrono le anomalie motivazionaIi cui é correlata la violazione dell’art. 132 c.p.c., come delineata dalie Sezioni Unite di questa Corte (sentenze n. 8053 e 8054 del 2014).
14. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 10, lett. B) sez. IV, titolo VII, c.c.n.l. Metalmeccanica Industria 26.11.2016, in relazione agli artt. 136, co. 2 e ss. c.c. nonché all’art. 7, legge n. 300 del 1970 e agli artt. 2119 e 2106 c.c., con riferimento alla ritenuta sussumibilità deIla potenzialità lesiva deIla condotta addebitata aI dipendente nell’ambito deIla categoria contrattuale del “grave nocumento”.
Si critica la decisione d’appello per aver ritenuto che la “potenzialità lesiva” deIla condotta potesse soddisfare la previsione del contratto collettivo che, ai fini deI Iicenziamento per giusta causa, richiede la concretizzazione di un danno effettivo oltre che grave.
15. Con il quinto, sesto e settimo motivo di ricorso si addebita alla sentenza, rispettivamente, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame su un punto decisivo oggetto di contraddittorio tra le parti, con riferimento alla fattispecie consistente nell’addebito di danneggiamento; inoltre, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o faIsa applicazione dell’art. 7, legge 300 del 1970, e dell’art. 2119 c.c. in relazione all’art. 5, legge 604 del 1966, all’art. 2697 c.c. e agli artt. 2727 e 2729 c.c., con riferimento aIla ritenuta sussistenza deIla fattispecie disciplinare e deIla giusta causa.
Si argomenta, sotto il primo profilo, che la contestazione disciplinare comprende anche la concreta causazione del danno tramite il citato post e che tale requisito non é stato indagato ed accertato dai giudici di appello.
Quanto ai vizi di violazione di legge, si denuncia l’errore commesso dai giudici del reclamo per aver addossato al lavoratore l’onere di dimostrare l’esistenza di scriminanti o esimenti atti a ridurre o elidere gli effetti pregiudizievoli considerati automaticamente discendenti del commento in questione. Si critica, infine, la decisione impugnata per la apodittica equiparazione della potenzialità lesiva ad una lesione concreta, attuale ed effettiva, senza neppure ii supporto di presunzioni gravi, precise e concordanti.
16. Con l’ottavo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 7, legge 300 del 1970, degIi artt. 2119 e 2106 c.c., dell’art. 3, legge 604 del 1966, in relazione agli artt. 1175, 1176, 1227, 1375, 1455, 2104 e 2105 c.c. con riferimento aIla valutazione deIla fattispecie disciplinare secondo i principi di graduazione del disvalore oggettivo, dell’elemento soggettivo/intenzionale del lavoratore, del comportamento e delie condizioni delie parti, della proporziona lita della sanzione.
Si imputa ai giudici di appello di avere, sul presupposto erroneo della sufficienza della potenzialità lesiva della condotta, obliterate ogni doveroso passaggio per accertare, ai fini della integrazione deIla giusta causa di recesso, la gravità dell’inadempimento sotto tutti gli aspetti, oggettivo e soggettivo, nonché l’entità concreta del danno arrecato e la presenza di eventuali circostanze esimenti o attenuanti.
17. Con il nono e decimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 7, legge 300 deI 1970, degIi artt. 2119, 2104, 2105 e 2106 c.c., in relazione agli artt. 1375, 1455, 1460 c.c. nonché agIi artt. 62 n. 2 e 5 e 599, comma 2, c.p. con riferimento al mancato accertamento del comportamento datoriale inadempiente e/o provocatorio in esito al quale é scaturita la condotta disciplinare.
In oltre, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame su un punto decisive oggetto di contraddittorio tra le parti, con riferimento alla permanente ostilità manifestata daI datore nei confronti del lavoratore, come desumibile dagli atti.
II ricorrente critica la pronuncia d’appello per avere del tutto omesso di valutare, ai fini deIla proporzionalità deIla sanzione espulsiva, la condotta datoriale sotto il profilo deIla provocazione o, comunque, della violazione dei canoni di correttezza e buona fede e per aver omesso di esaminare fatti decisivi sulle condizioni di lavoro del (OMISSIS) percepite come ostili e frustranti taIi da generare una sindrome ansioso depressiva accertata come reattiva a tensioni lavorative.
18. Con l’undicesimo e il dodicesimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, 3 c.p.c., violazione o faIsa applicazione dell’art. 7, legge n. 300 del 1970, in relazione agli artt. 1175, 1176 e 137 5 c.c. nonché agli artt. 62 bis e 43 c.p., con riferimento al mancato accertamento delle condizioni personali e familiari del lavoratore in costanza delle quali é scaturita la condotta di rilievo disciplinare; inoltre, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame su un punto decisivo oggetto di contraddittorio tra le parti, con riferimento alle condizioni di salute psico-fisica e aIla fragilità emotiva del lavoratore connessa alle sue condizioni familiari contemporaneamente alla condotta disciplinare.
19. Con il tredicesimo, quattordicesimo e quindicesimo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 7, legge n. 300 del 1970, degli artt. 2119 e 2106 c.c. in relazione agli artt. 1175, 1176 e 1227 c.c. nonché agli artt. 62 n. 5, 62-bis, 41 e 50 c.p., con riferimento all’accertamento sulle condizioni oggettive deIla condotta e sul comportamento datoriale, contestuale e successivo alla condotta disciplinare in termini di tolleranza e acquiescenza; inoltre, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame su un punto decisivo oggetto di contraddittorio tra le parti, con riferimento alle condizioni oggettive della condotta e aI comportamento datoriale contestuale e successivo alla condotta disciplinare, sostanziatosi in tolleranza e/o aggravamento degIi effetti; ancora, violazione o faIsa applicazione dell’art. 7, legge n. 300 del 1970, degli artt. 2119 e 2106 c.c. in relazione agli artt. 1175, 1176 e 1227 c.c. nonché agli artt. 21 e 39 Cost. e 51 c.p., con riferimento alla mancata valutazione del comportamento del datore in termini di tolleranza e/o acquiescenza preventiva.
II ricorrente osserva come i giudici di appello abbiano errato nel non considerare gli effetti della condotta datoriale, di mancata eliminazione della recensione del dipendente (prevista nella policy di Google), ai fini del danno che si assume causato, anche in relazione all’art. 1227 c.c.; rileva che il sito (OMISSIS) era usato dalla società in misura minoritaria rispetto ad aItri canaIi pubblicitari o di contatto telematico, che la datrice di lavoro svolge attività prevalente in favore di imprese aventi sede all’estero, che il post non evidenziava la qualifica del (OMISSIS) come dipendente e non conteneva alcun riferimento a fatti specifici o calunniosi, che iI giudizio sulla società rilevabile dalla piattaforma prima dell’inserimento del post e dopo lo stesso non ha subito significative variazioni, a conferma della irrilevanza lesiva della condotta del dipendente. Questi argomenta, ancora, la legittimità del proprio comportamento in quanto espressione del diritto di critica, peraltro esercitato attraverso uno strumento messo a disposizione del medesimo datore di lavoro e destinate a raccogliere ogni tipo di commento, ovviamente lecito, ma non necessariamente, positivo.
20. Con il sedicesimo motivo si imputa alla sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 595 c.p. in relazione agli artt. 2119 e 2106 c.c. nonché all’art. 1225 c.c. e all’art. 43 c.p. con riferimento aIla sussumibilità deIla condotta disciplinare nell’ambito della diffamazione aggravata.
Si critica la decisione d’appello per avere esasperato il commento del lavoratore, leggendolo nella sua massima connotazione lesiva, confondendo un aforisma allegorico per una apostrofo, una metafora iperbolica con una similitudine. Non solo, ma senza considerare che la diffamazione richiede requisiti ulteriori e che l’espressione incriminata (”lasciate ogni speranza”), divenuta di uso comune, é priva di qualsisia offensività.
21. I motivi dal quarto all’ottavo e il quindicesimo e sedicesimo motivo, che si esaminano congiuntamente perché pongono, sia pure da angoli di visuale diversi, la medesima questione giuridica, sono fondati nei sensi di seguito indicati.
22. Sul tema del diritto di critica del lavoratore nell’ambito del rapporto di lavoro la giurisprudenza di legittimità ha affermato principi ormai consolidati (v. da ultimo 1379 del 2019 con ampi riferimenti ai precedenti).
23. II diritto di critica trova fondamento nella nostra Costituzione, che all’art. 21, riconosce a tutti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, e nell’art. 10 della Cedu che ribadisce come “Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione”. L’art. 1 dello Statuto dei lavoratori riafferma “il diritto dei lavoratori, nei luoghi in cui prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero”, e la necessità di contemperare tale libertà col rispetto dei principi della Costituzione e delle norme dello Statuto medesimo.
24. II diritto di critica si esercita attraverso la esternazione di un giudizio o, più genericamente, di un’opinione che, per sua natura, é frutto di un’interpretazione soggettiva e personale di fatti e comportamenti. La manifestazione del pensiero in chiave critica reca con se, di regola, un giudizio negativo, di disapprovazione dei comportamenti altrui o di dissenso rispetto alie opinioni altrui e possiede, quindi, una incomprimibile potenzialità lesiva nei confronti del destinatario, del suo onore e della sua reputazione.
Come si é osservato, qualunque critica rivolta ad una persona e idonea ad incidere sulla sua reputazione é, tuttavia, escludere il diritto di critica ogniqualvolta leda, sia pure in modo minimo, la reputazione altrui, significherebbe negare il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (v. Cass. n. 12420 del 2008; n. 1434 del 2015; n. 38215 del 2021). La necessità di un contemperamento del diritto di critica con iI diritto, di pari rilevanza costituzionale, all’onore e aIla reputazione, impone l’osservanza di determinati limiti.
25. La giurisprudenza ha individuato i limiti del legittimo esercizio del diritto di critica nella continenza formale e sostanziale, legati rispettivamente alla correttezza e misura del linguaggio adoperato e alla veridicità dei fatti, intesa in senso non assoluto ma soggettivo, nonché nel requisito di pertinenza, intesa come rispondenza della critica ad un interesse meritevole di tutela in confronto con il bene suscettibile di lesione (v. Cass. n. 21362 del 2013; n. 29008 del 2008; 23798 del 2007; n. 11220 del 2004; più recentemente, Cass. n. 5523 del 2016; n. 19092 del 2018; 14527 del 2018; n. 18176 del 2018).
26. SuI versante deIla continenza formale si e specificato che l’esposizione della critica deve avvenire nel rispetto dei canoni di correttezza, misura e rispetto della dignita altrui. Possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo purché siano strumentaImente collegate aIla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato (v. Cass. n. 12420 del 2008; n. 1434 del 2015; n. 12522 del 2016). L’offesa é “gratuita” quando non sia in alcun modo collegata e funzionale allo scopo per cui la critica é mossa.
Con specifico riferimento al rapporto di lavoro si é affermato che il limite di continenza espressiva può dirsi “esemplificativamente superato ove si attribuiscano all’impresa datoriale od ai suoi rappresentanti qualità apertamente disonorevoli, con riferimenti volgari e infamanti e taIi da suscitare disprezzo e dileggio, ovvero si rendano affermazioni ingiuriose e denigratorie, con l’addebito di condotte riprovevoli o moralmente censurabili, se non addirittura integranti gli estremi di un reato, oppure anche ove la manifestazione di pensiero trasmodi in attacchi puramente offensivi della persona presa di mira” (cosi Cass. n. 1379 del 2019 cit.).
27. II limite deIla continenza sostanziale esige che, quando la critica consista in un giudizio su fatti o condotte ascritti alla persona criticata, questi fatti siano veri, anche solo putativamente, e cioè sulla base di un’incolpevole convinzione del dichiarante (v. Cass. n. 7847 del 2011; n. 25420 del 2017; n. 38215 del 2021).
28. Sotto il profilo della pertinenza, si é osservato che la critica deve rispondere ad un interesse meritevole di tutela. Nell’ambito del diritto di cronaca tale requisito viene definito continenza materiale, parametrata all’interesse pubblico alla diffusione dell’informazione. Nel rapporto di lavoro é sicuramente interesse meritevole quello che si relazioni direttamente o indirettamente con le condizioni del lavoratore dell’impresa, come le rivendicazioni di carattere sindacale o le manifestazioni di opinione attinenti aI contratto di lavoro mentre sono suscettibili di esondare daI limite deIla pertinenza le critiche rivolte al datore di lavoro, magari afferenti le sue qualità personaIi, oggettivamente avulse da ogni correlazione con il rapporto contrattuale e gratuitamente mirate a ledere la sua onorabilità (cosi Cass. n. 1379 del 2019 cit.).
29. Proprio in tema di esercizio del diritto di critica del lavoratore nei confronti del datore di lavoro questa Corte ne ha affermato la legittimità ove il prestatore (anche nel caso in cui ii suo comportamento si traduca in una denuncia in sede penale, la cui legittimazione si fonda sugli articoli 24, primo comma e 21, primo comma, della Costituzione) si sia limitato a difendere la propria posizione soggettiva, senza travalicare, con dolo o colpa grave, la soglia del rispetto della verità oggettiva, con modalità e termini tali da non ledere gratuitamente il decoro del datore di lavoro o del proprio superiore gerarchico e determinare un pregiudizio per l’impresa (v. Cass. n. 29008 del 2008; n. 16000 del 2009; n. 21649 del 2016).
In tale ottica si e valorizzata anche la finalizzazione della critica a sollecitare l’attivazione del potere gerarchico ed organizzativo del datore di lavoro, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c., in funzione di una migliore coesistenza delle diverse realtà operanti all’interno dei luoghi di lavoro e ad evitare conflittualità (v. Cass. n. 21649 del 2016 cit.).
30. Deve premettersi che il giudizio di fatto sulla compatibilità di una determinata espressione con i limiti di continenza formale o sostanziale o con il canone di pertinenza non é suscettibile di censura in sede di legittimità (v. per tutte Cass. n. 1379 del 2019) mentre é certamente consentito a questa Corte esaminare il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto attraverso la verifica del rispetto, da parte dei giudici di appello, dei criteri in forza dei quaIi il diritto di critica possa dirsi legittimamente esercitato.
Nel caso di specie tali criteri non risultano correttamente applicati.
31. La sentenza impugnata ha ravvisato un eccesso, rispetto al Iimite deIla continenza formale, nell’espressione adoperata dal lavoratore e pubblicata sul sito (OMISSIS) (“perdete ogni speranza”) ed ha rilevato che “proprio l’esistenza ed essenzialità dell’elemento fiduciario a base del contratto di lavoro subordinato impone che qualsiasi fondata e doverosa esternazione del lavoratore all’indirizzo della parte datoriale sia funzionale ad un risultato costruttivo nell’ambito deIla relazione professionale, ossia debba essere finalizzata esclusivamente a sollecitare un approccio autocritico ed una ragionata revisione, da parte della datrice di lavoro, delle adottate politiche di gestione aziendale”.
Ha ritenuto che “i toni pungenti e le immagini chiaramente evocative di contesti oltremodo penalizzanti (quale indiscutibilmente e l’Inferno di dantesca memoria)” fossero sintomatici di “un intento denigratorio e di rappresaglia fine a se stesso” (sentenza, p. 4).
32. Ora, la Corte di merito non mette in discussione il rispetto del canone di continenza sostanziale e, difatti, prende in esame l’ipotesi di “ritenere veritiera l’immagine aziendale esternata attraverso il commento suI sito internet”.
A tal fine, come già detto, é sufficiente una veridicità anche solo putativa, basata su una incolpevole convinzione del dichiarante. I giudici di appello ritengono, invece, che la frase incriminata oltrepassi i limiti della continenza formale ed anche della pertinenza, se pure non esplicitamente evocata, e ciò affermano sul presupposto per cui ogni critica, nell’ambito del rapporto di lavoro, debba essere costruttiva e debba perché essere formulata in maniera idonea a sollecitare un ripensamento neI destinatario, risultando, in mancanza di ciò, gratuita e fine a se stessa.
33. Tali requisiti, cosi come ritagliati nella sentenza d’appello, non trovano supporto nella giurisprudenza di legittimità.
34. Non riveste particolare rilievo nel caso in esame il mezzo adoperato, il sito (OMISSIS) aperto per destinazione alle recensioni di qualsiasi persona, nessuna esclusa, nei confronti deIla società, quindi clienti, fornitori, aziende concorrenti ed anche lavoratori dipendenti. Un sito finalizzato propriamente a raccogliere le valutazioni sull’operato deIla società, in maniera sintetica ed anche attraverso l’unità di misura rappresentata da apposite stelline, che l’utente puo selezionare da una a cinque, corrispondenti al minore e al massimo gradimento.
É innegabile che quel sito sia stato adoperato dal (OMISSIS) (OMISSIS) per veicolare una propria critica in veste di dipendente nei confronti del datore di lavoro; una opinione critica legata unicamente aIla propria relazione lavorativa e riflettente, nella convinzione dell’attuale ricorrente, le problematiche connesse a quella specifica relazione.
35. Ai fini della continenza formale, occorre considerare che la critica é per definizione espressione di dissenso, di disapprovazione, di giudizi negativi sull’altrui operato e per sua stessa conformazione é astrattamente idonea a mettere il destinatario, che sappia ascoltare, in condizione di interrogarsi suIla veridicità o meno dei rilievi mossi e sulla eventuale possibilità di modificare le condotte espressamente o implicitamente censurate.
La critica può anche consistere in uno sfogo, nella espressione di una disillusione o di uno sconforto perché anche taIi modalità sono teoricamente idonee ad innescare l’altrui ripensamento.
Non é requisito immanente della critica che essa sia esplicitamente costruttiva, che evidenzi expressis verbis gli errori o i difetti, altrui si da provocare “un approccio autocritico ed una ragionata revisione […] delle politiche di gestione aziendale”, purché sia espressa con toni e parole non volgari e non infamanti e sia correlata ad un bene meritevole di tutela, come certamente sono le condizioni dignitose di lavoro.
Né, in linea generale, la volgarità o l’infamia delle espressioni adoperate può essere misurata solo sulle immagini che esse evocano, specie ove si tratti di citazioni tratte dalla letteratura, come in tal caso, oppure dal patrimonio storico e cultura le che accomuna le persone, dovendo ogni frase essere letta cercando di cogliere il significato concreto della critica espressa, al di la della citazione o della assimilazione a cui si fa ricorso, risultando altrimenti la latitudine del diritto in parola dipendente da fattori del tutto estranei alla fattispecie concreta e alla volontà dell’autore deIla critica.
36. La decisione d’appello non ha interpretato ed applicato i canoni di continenza formale e di pertinenza in modo aderente ai requisiti appena tracciati e ciò determina l’accoglimento, nei sensi della motivazione qui adottata, dei motivi dal quarto all’ottavo e del quindicesimo e sedicesimo, risultando invece infondati i primi tre motivi e assorbiti gli aItri.
37. Per taIi ragioni, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà a pronunciarsi solo sulle conseguenze dell’invalidità del licenziamento per cui é causa nonché sulla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi di ricorso dal quarto all’ottavo ed il quindicesimo e sedicesimo motivo nei sensi di cui in motivazione, rigetta i primi tre motivi e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della pubblica udienza del 4 dicembre 2024
La Consigliera est. Il Presidente
Carla Ponterio Antonio Manna
Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2025.