Furto in caveau, senza elementi certi la liquidazione del danno è equitativa (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 21 giugno 2024, n. 17207).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sig.ri Magistrati

MAURO DI MARZIO                   Presidente

ROSARIO CAIAZZO                    Consigliere – Rel.

ALESSANDRA DAL MORO         Consigliere

EDUARDO CAMPESE                 Consigliere

DANIELA VALENTINO                Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 23009/2020 proposto da:

(omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) gli ultimi tre quali eredi di (omissis) (omissis) elett.te dom.ti in Roma (omissis) presso l’avv. (omissis) (omissis) dal quale sono rappres. e difesi, per procura speciale in atti;

-ricorrenti –

contro

BANCA (omissis) s.p.a,, in persona del legale rappresentante p.t., elett.te domic. in Roma, (omissis), presso l’avv. (omissis) (omissis) rappresent. e difesa dall’avv. (omissis) (omissis) per procura speciale in atti;

-controricorrente-­

avverso la sentenza n. 578/19 della Corte d’appello di Reggio Calabria, pubblicata il 4.07.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7.06.2024 dal Cons. rel., dott. ROSARIO CAIAZZO.

RILEVATO CHE

Con citazione notificata ii 18.9.2009, i coniugi (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) convenivano innanzi alla Corte d’appello di Reggio Calabria la Banca (omissis) s.p.a., riproponendo le domande, eccezioni e difese -aventi ad oggetto il risarcimento dei danni subiti in occasione di un furto consumato il 2.3.92 da ignoti presso il caveau della sede di Reggio Calabria della banca convenuta- rigettate con la sentenza emessa dal Tribunale di Reggio Calabria il 30.5.09 che aveva argomentato dal caso fortuito di cui all’art. 1839 c.c., quale esimente per la parte convenuta.

Con sentenza del 4.7.19, la Corte territoriale accoglieva l’appello degli attori e, nel dichiarare la colpa grave della banca e la nullità delle clausole contrattuali limitative della responsabilità della convenuta, condannava la banca convenuta al pagamento, in favore degli attori, della somma complessiva di euro 271.139,87 in valore attuale, oltre interessi legali dal giorno della pronuncia sino al soddisfo.

Al riguardo, la Corte d’appello osservava che:

le clausole limitative della responsabilità erano in contrasto con l’art. 1229 c.c.; nel merito dei fatti, non era configura bile l’esimente del caso fortuito, in quanta la banca non aveva dimostrato, ex art. 1839 c.c., che l’inadempimento dell’obbligazione di custodia fosse da attribuire all’impossibilita della prestazione ad essa non imputabile, non escludendo la colpa della banca la prova generica della sua diligenza;

la banca si era limitata ad invocare l’esistenza di una serie di presidi posti a difesa delle cassette di sicurezza descritti nella sentenza penale;

da quest’ultima si desumeva la certezza che i ladri avevano goduto della complicità di una o più persone all’interno della banca;

al riguardo, la stessa banca aveva dimostrato solo di aver predisposto sistemi di sicurezza­ espugnati dai ladri senza che fosse emerso ii ricorso a strumenti tecnologici altamente sofisticati- omettendo di spiegare e giustificare, come era suo onere, le ragioni della loro inidoneità ad impedire l’accesso dei ladri nel locale;

circa la determinazione del danno, in mancanza di dati di riscontro della stima offerta dagli attori circa i beni rubati, la liquidazione poteva avvenire a titolo equitativo, previa riduzione di un quarto dell’importo stimato, sia per la possibile sopravalutazione originaria dei beni trafugati, per la componente affettiva, sia per il progressivo notorio decadimento d’interesse del mercato verso pietre preziose collocate con lavorazione non più di moda e su incastonature oltremodo datate;

pertanto, era liquidata equitativamente, a titolo risarcitorio, la somma di euro 271.139,87.

(omissis) (omissis) e gli eredi di (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) ricorrono in cassazione con tre motivi.

La (omissis) s.p.a. resiste con controricorso, illustrato da memoria.

RITENUTO CHE

II primo motivo denunzia violazione dell’art. 1226 c.c., e dell’art. 132 c.p.c., per aver la Corte d’appello stimato equitativamente il danno sofferto, con motivazione illogica circa il valore attribuito ai beni trafugati, non corrispondente al valore reale, senza tener conto dell’elenco dettagliato dei preziosi sottratti che ne indicava la qualità e la composizione.

In particolare, i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale: abbia considerato antichi i gioielli all’attualità, non tenendo conto della data del furto e della domanda; abbia considerato utilizzabile il controvalore dedotto dai ricorrenti, riducendolo di un quarto immotivatamente, omettendo di esaminare gli elementi forniti dal mercato ufficiale.

II secondo motivo denunzia omesso esame di fatto decisive, relative all’elenco dei beni trafugati, quale elemento utile per la quantificazione dei danni patiti.

II terzo motivo denunzia violazione degli artt. 241c.p.c., 2736, n. 2, c.c., per non aver la Corte d’appello ammesso l’interrogatorio d’estimazione in relazione al valore dei beni sottratti nella cassetta di sicurezza, potendo esso essere sostituito dalla valutazione equitativa, in quanta tale mezzo di prova avrebbe colmato le incertezze in ordine al valore dei beni.

II primo motivo é inammissibile.

La liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. (richiamato, per la responsabilità extracontrattuale, dall’art. 2056 c.c.) presuppone che, a fronte dell’avvenuta dimostrazione dell’esistenza e dell’entità materiale del danno, per la parte interessata, risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo esatto ammontare, ferma restando la necessità di riferirsi all’integralità dei pregiudizi accertati (Cass., n. 31546/18).

II potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c. ed il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza, dovendosi, peraltro, intendere l’impossibilità di provare l’ammontare precise del danno in senso relative e ritenendosi sufficiente anche una difficoltà solo di un certo rilievo.

In tali casi, non é, invero, consentita al giudice del merito una decisione di non liquet, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanta, invece, già definitivamente accertato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità della relativa richiesta risarcitoria (Cass., n. 13515/22)

Nella specie, il giudice di secondo grado ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, avendo liquidato equitativamente il danno cagionato dall’illecita sottrazione dei beni custoditi nella cassetta di sicurezza della banca, accertando la mancanza di dati certi di risconto del valore reale dei beni, e rilevando che la decurtazione del valore ridotto di un quarto era giustificato anche dal fatto che si trattava di gioielli non conformi ai criteri di moda attuali.

Pertanto, il motivo é diretto al riesame dei fatti.

II secondo motivo é inammissibile, in quanto la Corte d’appello ha esaminato l’elenco dei beni trafugati, e sia per la possibile sopravalutazione originaria degli stessi, per la componente affettiva, sia per ii progressivo notorio decadimento d’interesse del mercato verso pietre preziose collocate con lavorazione non più di moda e su incastonature oltremodo datate, ha ritenuto di ridurne il valore, con argomentazione insindacabile in questa sede.

Infine, il terzo motivo é parimenti inammissibile, in quanto la valutazione in ordine all’ammissibilità e alla rilevanza del giuramento suppletorio ed estimativo rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e la omessa motivazione su tale discrezionale decisione non può essere invocata in sede di legittimità (Cass., n. 16157/04; n. 9542/2010). Ne il ricorrente ha dedotto il vizio di omessa pronuncia, ex art. 360, n.4, c.p.c., avendo lamentato inequivocabilmente la sola violazione di legge.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 12.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n.115/02, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.

Dispone che ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/03, in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso nella camera di consiglio in data 7 giugno 2024.

Il Presidente

Mauro Di Marzio

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.