Futili motivi, se il movente della gelosia è espressione di possesso e intento punitivo (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 13 novembre 2024, n. 41873).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE PENALE

Composta da:

GIUSEPPE DE MARZO – Presidente –

STEFANO APRILE – Consigliere –

MARIA GRECA ZONCU – Relatrice –

PAOLO VALIANTE – Consigliere –

CARMINE RUSSO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 20/12/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANZARO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MARIA GRECA ZONCU;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Stefano Tocci  che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Procedimento a trattazione scritta.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 20 dicembre 2023 la Corte di Assise di Appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza della Corte di Assise di Catanzaro in data 24 maggio 2022, dichiarava non doversi procedere nei confronti di (omissis) (omissis) per il reato di ricettazione in quanto estinto per prescrizione e rideterminava la pena complessivamente inflitta all’imputato – per i reati di cui agli artt. 612 bis, commi primo, secondo e quarto, cod. pen., art, 582, 585 cod. pen. in danno di (omissis) (omissis) per il delitto di cui agli artt. 575, 577 cod. pen. in danno di (omissis) (omissis) nonché per la detenzione e il porto in luogo pubblico di una pistola automatica marca Beretta con numero di matricola abraso – in anni diciassette e mesi tre di reclusione.

I fatti erano così ricostruiti nelle sentenze di merito.

La notte del 20 dicembre 2019 veniva rinvenuto un cadavere, successivamente identificato in (omissis) (omissis) all’interno di una Fiat Sedici, posta sulla via (omissis) (omissis) (omissis).

Sopraggiungevano la compagna del (omissis) (omissis) e la figlia di quest’ultima, che indirizzavano le indagini verso l’ex marito di (omissis) (omissis) (omissis) che deteneva un’arma; a casa del predetto non venivano rinvenute armi, bensì una copia delle chiavi di casa della donna e anche della cassaforte ove era custodita detta arma.

Ma l’arma non veniva trovata ave avrebbe dovuto essere custodita.

L’imputato, poi, messo alle strette dalla figlia, le avrebbe confessato di essere stato lui a commettere  l’omicidio; lo svolgimento di tale dialogo era confermato da un militare che aveva avuto modo di sentire lo scambio fra i due e l’uomo gridare «sono stato io, sono stato io».

L’imputato reiterava la propria confessione anche ai Carabinieri e faceva loro ritrovare l’arma del delitto di cui si era disfatto.

L’uomo affermava di essersi adoperato per qualche sera per cercare di scoprire l’identità del nuovo compagno della ex moglie; quindi, una volta individuatolo, lo aveva affiancato in auto e gli aveva sparato tre colpi a bruciapelo.

Anche gli ulteriori elementi di indagine corroboravano la confessione del (omissis) (omissis).

Infatti, i bossoli rinvenuti sul luogo della sparatoria risultavano compatibili con l’arma fatta rinvenire dall’imputato e le impronte papillari sulla portiera dell’auto corrispondevano al palmo della mano sinistra dell’imputato.

Anche le immagini delle videocamere confermavano che l’imputato era uscito di casa con un borsone verso le 22.23 ed era rientrato senza il borsone alle 00.46; ciò confermava quanto affermato dallo stesso che, cioè, era uscito di casa con i vestiti e l’arma e dopo il delitto si era disfatto dei vestiti bruciandoli.

Analogamente, i risultati medico legali confermavano quanto dichiarato dall’imputato circa il fatto di avere esploso tre colpi di pistola all’indirizzo della vittima che poi colpiva al volto con l’arma medesima.

Anche il contenuto delle conversazioni intercettate in carcere conferma l’astio che l’uomo nutriva nei confronti del nuovo compagno della donna, che era qualche tempo che cercava di identificare.

(omissis) (omissis) riferiva di essere separata dal marito, il quale non aveva accettato che la donna avesse un’altra relazione; la situazione era però precipitata circa aventi giorni prima dell’omicidio, perché l’uomo aveva ripreso a pedinarla, oltre che ad aggredirla; egli si era anche appostato fuori dal luogo di lavoro della figlia.

2. Avverso detta sentenza proponeva ricorso l’imputato tramite il proprio difensore di fiducia, articolando tre motivi di doglianza.

2.1. Con il primo motivo lamentava la mancanza e illogicità della motivazione, nonché l’erronea applicazione dell’art. 612 bis pen.

Secondo il ricorrente, infatti, nella condotta tenuta dall’imputato non si potrebbero ravvisare gli estremi del delitto di atti persecutori.

Ciò in quanto, in tesi difensiva, nessuna delle condotte tenute nel ristretto arco di tempo considerato, potrebbe definirsi come atto persecutorio.

La esiguità degli episodi, ripercorsi nel ricorso, solo quattro, l’atteggiamento tenuto dalla (omissis) che affrontava in una occasione l’imputato, non avrebbero consentito il verificarsi dell’evento del reato che, dunque, non potrebbe dirsi integrato.

Infatti, nessun apprezzabile cambiamento delle abitudini di vita, ne uno stato d’ansia o di paura si sarebbe ingenerato nella vittima.

2.2. Con il secondo motivo lamentava l’erronea applicazione di legge con riferimento alla ritenuta aggravante della crudeltà.

L’aggravante in questione é stata ritenuta sussistente in quanto l’imputato, dopo avere attinto la vittima con tre colpi di pistola, lo colpiva al viso più volte con il calcio della pistola.

Secondo la consulenza autoptica tali colpi venero sferrati quando (omissis) era ancora vivo.

Ciò che il ricorrente contesta, però, é la consapevolezza in capo all’imputato dello stato vitale della vittima, poiché egli ha dichiarato che, secondo lui, la vittima era ancora viva e dunque gli aveva dato ancora qualche colpo e calcio.

Nella prospettazione difensiva tale condotta, lungi dall’integrare un comportamento che eccede la normalità causale, era funzionale a portare a termine l’azione omicidiaria, stante il dubbio dell’agente circa lo stato vitale della vittima.

Inoltre, affermava il ricorrente, che non fosse certo lo stato in vita della vittima: tale situazione di incertezza avrebbe imposto di escludere la detta aggravante.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso lamentava l’erronea applicazione dell’art. 577 cod. pen., in particolare il riconoscimento dell’aggravante della premeditazione.

Il ricorrente ritiene che la Corte di Assise d’Appello abbia errato nel ritenere che l’aggravante in oggetto si potesse ritenere integrata in ragione del fatto che l’imputato si aggirasse armato di pistola e volesse identificare ii nuovo compagno della moglie, al fine di ucciderlo e ciò in quanto alcuni aspetti rilevanti non erano stati chiariti dalla Corte territoriale.

La Corte, infatti, non aveva accertato da quanto tempo l’imputato fosse entrato in possesso della pistola, se anche le precedenti sere la avesse portata con se e se avesse la chiara intenzione di uccidere.

II fatto di aver portato con sé i vestiti o l’arma integrerebbe una mera preordinazione, non una vera e propria premeditazione.

Ciò che secondo il ricorrente sarebbe ineludibile per ritenere integrata l’aggravante in oggetto e la precisa individuazione del momento di insorgenza del proposito criminoso, che invece nel provvedimento impugnato non é indicata.

2.4. Con il quarto motivo di ricorso lamentava la violazione di legge con riferimento al riconoscimento dell’aggravante dei futili motivi.

La Corte di Assise d’Appello ha ritenuto «l’abnormità dello stimolo possessivo» manifestato dall’imputato che lo ha indotto all’azione omicidiaria.

Secondo il ricorrente il dolo d’impeto che ha indotto l’imputato ad agire una volta individuato l’amante della ex moglie sarebbe incompatibile con l’essenza dell’aggravante in questione che richiede che la gelosia che anima l’agire sia connotata non solo dall’abnormità dello stimolo possessivo, ma che sia anche espressione di uno spirito punitivo, innescato da condotte tenute dalla vittima e percepite come atti di insubordinazione.

Riteneva che la valutazione della futilità dei motivi dovesse essere valutata anche in relazione alla soggettività e alla provenienza culturale del soggetto agente.

Disposta la trattazione scritta del procedimento, il Sostituto Procuratore Generale, Dott. Stefano Tocci  concludeva per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. II ricorso é manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

1.1. II primo motivo é manifestamente infondato.

II provvedimento impugnato, richiamando sul punto anche le argomentazioni del giudice di primo grado, ritiene che le condotte paste in essere dall’imputato avessero le caratteristiche della molestia e della minaccia e, in ragione di quanto affermato dalla persona offesa, avessero ingenerato nella stessa un fondato timore per l’incolumità propria e altrui che l’aveva indotta a cambiare le abitudini di vita, segnatamente a diradare gli incontri con il nuovo compagno e le uscite di casa.

Sulla sussistenza dell’evento del reato entrambi i giudici di merito hanno ampiamente motivato e le censure mosse a tale motivazione sono del tutto aspecifiche perché non si confrontano con tali argomentazioni.

Ne, come noto, il fatto che le condotte persecutorie siano limitate di numero, ovvero si collochino in un ristretto arco di tempo ha alcuna rilevanza sotto il profilo della integrazione del reato in esame.

Infatti, é principio riaffermato da questa Corte che «E configurabile il delitto di atti persecutori anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi, pur concentrata in un brevissimo arco temporale, sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice» (Sez. 5, n. 38306 del 13/06/2016, Rv. 267954)

2.2. Anche il secondo motivo é manifestamente infondato.

II ricorrente dubita della sussistenza dell’aggravante della crudeltà, in ragione del dubbio in capo al soggetto agente circa la perdurante vitalità della vittima nel momento in cui gli vennero sferrati i colpi al volto.

I giudici di merito hanno sul punto motivato, richiamando le stesse dichiarazioni dell’imputato che, nella convinzione che l’uomo fosse ancora vivo, «secondo me era vivo» vista che lo guardava, gli aveva sferrato dei colpi al volto con la pistola.

In tema di omicidio, il giudice, per ritenere la sussistenza dell’aggravante di aver agito con sevizie e crudeltà, deve preliminarmente procedere all’esame delle modalità complessive dell’azione e del correlato elemento psicologico, poiché, essendo il fondamento della circostanza costituito dall’esigenza di irrogare una maggior pena correlata alla volontà dell’agente di infliggere sofferenze “aggiuntive” rispetto a quelle ordinariamente implicate dalla produzione dell’evento, ai fini della sua configurabilità non possono assumere rilievo elementi di disvalore di per se insiti nel finalismo omicidiario o in diversa e autonoma circostanza. (Sez. 1, n. 8163 del 10/02/2015, Rv. 262595).

La circostanza aggravante di aver adoperato sevizie o di aver agito con crudeltà verso la persona ricorre quando le modalità della condotta esecutiva di un delitto rendono evidente la volontà di infliggere alla vittima un patimento ulteriore rispetto al mezzo che sarebbe nel caso concreto sufficiente ad eseguire il reato, rivelando in tal modo, per la loro superfluità rispetto al processo causale, una particolare malvagità del soggetto agente (Sez. 1, n. 32006 del 06/07/2006 Rv. 234785).

Nel caso in esame i colpi inferti con la pistola al viso, dopo avere sparato tre colpi a distanza ravvicinata al tronco, erano del tutto eccentrici rispetto all’azione omicidiaria e sono stati sferrati per pura crudeltà per infierire su una vittima che tardava a morire e guardava in faccia il suo aggressore.

2.3. Anche il terzo motivo di ricorso é manifestamente infondato.

In tesi difensiva non sarebbe ravvisabile nella condotta tenuta dall’imputato alcuna premeditazione, ma solo una generica preordinazione.

I giudici di merito hanno ritenuto, al contrario, ravvisabile tale aggravante in ragione del fatto che l’imputato avesse dedicato le settimane precedenti l’omicidio a cercare di identificare il compagno della moglie; a ciò erano finalizzati i pedinamenti della donna e della figlia, e gli appostamenti; in tale ricerca egli, per sua stessa ammissione, portava seco la pistola.

Dunque, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, é certo che l’imputato avesse da qualche tempo con se la pistola e che se la portasse quando usciva in caccia del compagno della moglie, con delle finalità che son fin troppo evidenti; la reiterazione delle ricerche é sintomatica di un progressivo rafforzamento del proposito omicidiario nei confronti del rivale.

Tanto dimostra il radicamento e la persistenza costante, per un apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, del quale sono sintomi ii previo studio delle occasioni e dell’opportunità per l’attuazione, un’adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalità esecutive (Sez. 1 n. 37825 del 29/04/2022 Rv. 283512).

2.4 Parimenti manifestamente infondato é il quarto motivo di ricorso.

I giudici di merito hanno motivato la sussistenza dei futili motivi in ragione della frustrazione presente nell’imputato per il fatto che (omissis) fosse già stato oggetto di attenzioni da parte della (omissis) e che fosse stata proprio quest’ultima ad andarlo a cercare.

Ciò nella logica dell’imputato poteva solo significare che i due avessero avuto una relazione anche prima, quando cioè egli stava ancora con la moglie e tale fatto per lo stesso era inaccettabile.

É evidente, come hanno motivato i giudici sul punto, che ciò che ha fatto scattare la molla omicida é stato questo senso di possesso dell’imputato, la frustrazione perché gli era stato sottratto qualcosa che egli riteneva suo e con cui la vittima si sarebbe divertita, viste le parole pronunciate subito prima di ucciderlo.

In particolare, tale condotta era vissuta come un attentato alla propria autostima che aveva provocato nell’imputato un profondo senso di frustrazione.

Non da ultimo viene sottolineato anche l’intento punitivo icasticamente contenuto nell’esclamazione «bastardo ti sei divertito»

Ora, in tema di omicidio, sussiste l’aggravante dei motivi abietti o futili, caratterizzata dalla sproporzione tra movente e delitto, nel caso in cui la gelosia si manifesti nell’autore quale ingiustificata espressione di possesso e intento punitivo avverso la libertà di autodeterminazione della persona con la quale ha intrattenuto una relazione sentimentale (Sez. 1, n. 5514 del 19/10/2023, Rv. 285721).

In tema di circostanze, la gelosia può integrare l’aggravante dei motivi abietti o futili, quando sia connotata non solo dall’abnormità dello stimolo possessivo verso la vittima od un terzo che appaia ad essa legata, ma anche nei casi in cui sia espressione di spirito punitivo, innescato da reazioni emotive aberranti a comportamenti della vittima percepiti dall’agente come atti di insubordinazione (Sez. 1, n. 49673 del 01/10/2019, Rv. 278082).

Del tutto correttamente, dunque, alla luce della connotazione data da questa Corte ai motivi abbietti e futili, ha concluso l’impugnato provvedimento laddove ha ritenuto che nella condotta tenuta dall’imputato si dovesse ravvisare la contestata aggravante, stante il percepito senso di attentato alla propria autostima percepito come posto in essere dalla moglie e dal rivale.

3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, nonché della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.

Il ricorrente é altresì condannato alla rifusione delle pese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio da (omissis) (omissis) ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise d’Appello di Catanzaro con separato decreto di pagamento, ex artt. 82 e 83 DPR 115/2002, disponendone il pagamento in favore dello Stato.

Il ricorrente é condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili rappresentate dall’avv. (omissis) (omissis) che liquida in complessivi euro 5.500, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile ii ricorso e condanna ii ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (omissis) (omissis) ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise d’Appello di Catanzaro con separato decreto di pagamento, ai sensi degli artt. 82 e 83 DPR 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

Condanna altresì l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili difese dall’avv. (omissis) (omissis) che liquida in complessivi euro 5.500 oltre accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

Cosi deciso il 4 ottobre 2024

Il Consigliere estensore                                                                                                   Il Presidente

Maria Greca Zoncu                                                                                                     Giuseppe De Marzio

Depositato in Cancelleria, oggi 13 novembre 2024.

SENTENZA