REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Maria Margherita – Presidente
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere
Dott. PANARIELLO Francescopaolo – Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere
Dott. BOGHETICH Elena – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2104/2020 R.G. proposto da:
(OMISSIS) DAMIANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (OMISSIS), 33, presso lo studio dell’avvocato MATTEO (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato SANDRO (OMISSIS);
-ricorrente-
contro
(OMISSIS) (OMISSIS) LOGISTICS SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE (OMISSIS) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ITALICO (OMISSIS) e GAETANO (OMISSIS);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4294/2019 pubblicata il 22/11/2019, R.G. n. 2491/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/04/2023 dal Consigliere Dott.ssa ELENA BOGHETICH.
RILEVATO CHE
1. Con sentenza n. 4294 del 22.11.2019 la Corte d’appello di Roma in sede di reclamo ex art. 1, comma 58 della legge n. 92 del 2012 e a conferma della sentenza del Tribunale di Cassino, ha dichiarato legittimo il licenziamento intimato il 12.2017 dalla (OMISSIS) Logistics s.r.l. a Damiano (OMISSIS) per lo svolgimento, durante l’assenza per malattia, di altra attività (gestore di un pub).
2. La Corte territoriale – ripercorse tutte le argomentazioni poste dal Tribunale a base della decisione nonché i motivi del reclamo del lavoratore e riassunti brevemente i fatti così come accertati in base alla documentazione prodotta ed alle convergenti allegazioni delle parti – ha ribadito la legittimità dei controlli effettuati dal datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa (profilo in merito al quale nessuna contestazione era stata, peraltro, svolta nell’atto di reclamo), ha sottolineato che la decisione si basava su una congruenza di elementi di prova (consistenti, oltre che nella relazione investigativa, altresì nelle affermazioni dello stesso (OMISSIS) in sede disciplinare, riproposte negli atti introduttivi del giudizio, nonché nel principio di non contestazione), ha rilevato che la potenzialità pregiudizievole dello svolgimento di attività lavorativa durante l’assenza per malattia (che oltrepassava il concetto di “svolgimento degli atti quotidiani”) non solo doveva essere valutata ex ante ma era stata argomentata, con pluralità di ragioni (attinenti, sinteticamente, alla particolare intensità della patologia medicalmente accertata e alla tipologia dell’attività lavorativa svolta nel pub), dal Tribunale; evidenziato che la contrattazione collettiva di settore non prevedeva sanzioni conservative per fattispecie analoghe, la Corte territoriale ha, infine, verificato il rispetto del criterio di proporzionalità della sanzione rispetto alla condotta disciplinare accertata.
3. Il lavoratore ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione affidato a sei motivi, illustrati da memoria. La società ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti (ex art. 360, primo comma, n. 5, proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale erroneamente ritenuto utilizzabili gli esiti delle indagini investigative, svolte al di fuori dell’orario osservato dal (OMISSIS) nel turno di lavoro.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 cod.civ. e 5 della legge n. 604 del 1966 (ex art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale erroneamente ritenuto che la società potesse assolvere il proprio onere probatorio unicamente con la relazione investigativa prodotta in giudizio, trattandosi di prova formata fuori dal processo e al di fuori di una prova testimoniale.
3. Con il terzo motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti (ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) e, richiamandosi gli artt. 112 e 115 cod.proc.civ. nonché l’art. 2697 cod.civ. si lamenta la mancata ammissione della prova testimoniale dedotta dal lavoratore con riguardo all’attività svolta, presso il pub, il 19.11.2017.
4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 cod.civ. e 1 della legge n. 604 del 1966 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato la brevità e la irrilevanza dell’attività svolta presso il pub (consistente in due giorni e in poche ore di lavoro intervallate da numerose pause e tempi lunghi di attesa), senza alcuna simulazione di una malattia (effettivamente sofferta dal lavoratore) che non impediva lo svolgimento degli atti quotidiani della vita, come da valutazione da svolgersi ex post.
5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti (ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto imprudente lo svolgimento di attività extralavorativa che, in realtà, si compendiava in sporadiche attività di gestione del pub, senza l’assunzione di alcun rischio elettivo.
6. Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli 2016, 2119 cod.civ. e 1 della legge n. 604 del 1966 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che l’autorizzazione rilasciata dalla società al (OMISSIS) per l’esercizio, come socio-lavoratore, di un’attività di gestione di un pub era collegata al solo divieto di svolgimento di attività in concorrenza e senza pregiudizio per l’azienda, senza previsione, dunque, di un divieto assoluto alla conduzione di un’attività commerciale; conseguentemente, il (OMISSIS) non aveva violato alcun obbligo di fedeltà o dovere di non concorrenza.
7. I motivi, che per la loro stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono per la gran parte inammissibili e per la parte residua infondati.
8. Il primo, il terzo ed il quinto motivo sono inammissibili in quanto trascurano di considerare che il n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod.proc.civ., che viene invocato a sostegno delle doglianze, per i giudizi di appello (e di reclamo) instaurati dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134, di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non può essere invocato, rispetto ad un appello/reclamo promosso nella specie dopo la data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012), con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in base al quale il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014).
8.1. In questi casi il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello/reclamo, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. n. 26774 del 2016, conf. Cass. n. 20944 del 2019), mentre nulla di ciò viene specificato nella censura.
9. Il primo, il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili perché, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.” (v. Cass. n. 20652 del 2009): il dissenso che la parte intende marcare nei riguardi della decisione impugnata è formulato in termini generici, senza specifico riferimento alle puntuali ragioni adottate dalla sentenza della Corte territoriale, che ha precisato come «nessuna specifica contestazione è stata mossa sul punto [relativo alla utilizzabilità delle indagini investigative] dal reclamo che invece, introduce una tematica [quella della invasività delle indagini, fra l’altro «difficilmente ipotizzabile» visto il contesto di «pubblico esercizio» del pub] del tutto nuova e pertanto inammissibile, così come eccepito dalla società reclamata»; la sentenza impugnata ha, inoltre, precisato che – diversamente da quanto sostenuto dal reclamante circa la esclusività della relazione investigativa quale fonte di prova – il Tribunale «dopo un articolato argomentare in ordine alla qualificazione processuale di detta relazione quale “prova atipica”, ha tratto elementi di prova da una combinata lettura degli esiti di quest’ultima e delle affermazioni dello stesso (OMISSIS) in sede disciplinare, giustificazioni riproposte negli atti introduttivi del giudizio nonché dal principio di non contestazione (art. 115 c.p.c.) giungendo così alla formazione del proprio convincimento con quella libertà di valutazione delle risultanze istruttorie riconosciuta dal codice di rito (art. 116 c.p.c.)», argomenti del tutto trascurati dal secondo motivo di ricorso.
10. I restanti motivi di ricorso sono inammissibili in quanto si sostanziano, anche laddove denunciano la violazione di norme di diritto, in un vizio di motivazione formulato in modo non coerente allo schema legale del nuovo art. 360, primo comma, 5, cod.proc.civ. applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.
10.1. Come più volte precisato da questa Corte, il vizio di violazione di legge coincide con l’errore interpretativo, cioè con l’erronea individuazione della norma regolatrice della fattispecie o con la comprensione errata della sua portata precettiva; la falsa applicazione di norme di diritto ricorre quando la disposizione normativa, interpretata correttamente, sia applicata ad una fattispecie concreta in essa erroneamente sussunta.
Al contrario, l’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 26272 del 2017; n. 9217 del 2016; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; n. 26307 del 2014). Solo quest’ultima censura è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa.
10.2. Nel caso di specie, le censure investono tutte la valutazione delle prove come operata dalla Corte di merito, e si sostanziano, attraverso il richiamo al contenuto dei documenti prodotti e delle allegazioni delle parti, in una richiesta di rivisitazione del materiale istruttorio (quanto all’attività svolta durante il periodo di assenza per malattia) non consentita in questa sede di legittimità, a maggior ragione in virtù del nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.
11. Infine, i principi che informano la materia sono consolidati: lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia è idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolente simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l’attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore (v., ex plurimis, n. 17625 del 2014, Cass., n. 24812 del 2016, Cass., n. 21667 del 2017, Cass. n. 6047 del 2018).
11.1. L’espletamento di attività extralavorativa durante il periodo di assenza per malattia costituisce illecito disciplinare non solo se da tale comportamento deriva un’effettiva impossibilità temporanea della ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa è solo messa in pericolo dalla condotta imprudente (v. n. 16465 del 2015), con una valutazione di idoneità che deve essere svolta necessariamente ex ante, rapportata al momento in cui il comportamento viene realizzato (v. Cass. n. 6047 del 2018, Cass. n. 21667 del 2017, Cass. n. 10416 del 2017, Cass. n. 24812 del 2016, n. 17625 del 2014).
11.2. La Corte territoriale ha correttamente richiamato i suddetti principi di diritto e cioè che il lavoratore assente per malattia – che quindi legittimamente non effettua la prestazione lavorativa – non per questo deve astenersi da ogni altra attività, quale in ipotesi un’attività ludica o di intrattenimento, anche espressione dei diritti della persona, ma la stessa non solo deve essere compatibile con lo stato di malattia, ma deve essere altresì conforme all’obbligo di correttezza e buona fede, gravante sul lavoratore, di adottare ogni cautela idonea perché cessi lo stato di malattia, con conseguente recupero dell’idoneità al lavoro, e ne ha fatto corretta applicazione.
12. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio di legittimità sono definite come in dispositivo, in applicazione dell’art. 91 cod.proc.civ.
13. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato – se dovuto – previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 aprile 2023.
Depositato in cancelleria il 29 maggio 2023.