REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
LUIGI ALESSANDRO SCARANO -Presidente
DANILO SESTINI -Consigliere
PASQUALE GIANNITI -Consigliere – Rel.
STEFANIA TASSONE -Consigliere
ANNA MOSCARINI -Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 25161/2020 proposto da:
(OMISSIS) S.r.l. in persona dell’Amministratrice e legale rappresentante, (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in Roma Piazza Cavour 17 presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);
-ricorrenti-
contro
(OMISSIS) S.p.a.;
-intimata–
avverso la sentenza n. 1568/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/04/2023 dal Consigliere dott. Pasquale Gianniti;
FATTI DI CAUSA
1. In data 14 aprile 2005 tra la Unicredit spa e la società (OMISSIS) s.p.a. intervenne contratto di conto corrente. In data 21 marzo 2007, per i debiti contratti dalla (OMISSIS) s.a.s., la società (omissis) s.r.l., nonché (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) assunsero garanzie fideiussorie in favore di Unicredit sino alla concorrenza di euro 1.100.000,00.
Al riguardo, va rileva to fin da ora che detti contratti di fideiussione riportano clausole del tutto corrispondenti agli artt. n. 2 (clausola di reviviscenza), n. 6 (rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c.) e n. 8 (clausola di sopravvivenza) dello schema contrattuale predisposto dall’A.B.I. per la stipula di fideiussioni omnibus, che la Banca d’Italia, con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, aveva ritenuto nulle in contrasto con l’art. 2 comma 2 lettera a) della legge n. 287/1990.
Alcuni anni dopo, e precisamente il 7 gennaio 2013, la società (omissis) concluse con l’istituto bancario anche tre contratti di affidamento (di cui uno per 600 mila euro sino al 19 giugno 2013; il secondo per 40 mila euro con validità fino a revoca; ed il terzo per 39 mila euro, anch’esso con validità fino a revoca).
2. A seguito di ricorso di Unicredit s.p.a. (che faceva presente che la società debitrice aveva maturato al luglio 2013 una esposizione debitoria complessiva al di euro 2.706.000,00 e che aveva sollecitato invano (omissis) s.a.s. all’adempimento delle proprie obbligazioni contrattuali), il Tribunale di Milano con decreto n. 9593 del 2014 ingiungeva alla società (omissis) srl, nonché al (omissis) ed alla (omissis), il pagamento della somma di euro 1.100.000,00, quali fideiussori della società (omissis) s.a.s., in relazione al debito di euro 1.233.952,83, da quest’ultima maturato in esecuzione del rapporto di conto corrente affidato.
Avverso il suddetto decreto ingiuntivo proponevano opposizione gli intimati, che, -in via principale-, deducevano:
a) l’estinzione della fideiussione ai sensi dell’art. 1956 c.c. per aver esercitato la banca soltanto in data 12 giugno 2013, cioè sette giorni prima della scadenza contrattuale, il diritto di recesso dal contratto di affidamento, nonostante il dissesto della garantita fosse già emerso nel corso del 2013;
b) l’insussistenza del debito per l’importo di euro 360 mila per mancata escussione, alla data di proposizione del ricorso monitorio, di un’altra garanzia rilasciata da (omissis) Società Consortile di Garanzia Collettiva Fidi s.c.p.a.;
c) l’applicazione, nel corso del rapporto, di interessi usurari e di commissioni massimo scoperto non dovute;
– in via riconvenzionale, chiedevano:
a) decurtare dall’importo loro dovuto la somma di euro 108.349,44, versata da Unicredit alla società (omissis), in forza di una fideiussione prestata dalla Banca a favore del debitore principale, in esecuzione di una garanzia prestata per il pagamento da parte di (omissis) di canoni di locazione, deducendo che il pagamento effettuato dalla Banca fosse di importo superiore a quello massimo garantito;
b) accertare il credito vantato dalla debitrice principale in relazione ad un contrasto di interest rate swap stipulato da (omissis) con Unicredit, del quale eccepivano la nullità, con conseguente diritto di (omissis) alla ripetizione degli importi corrisposti in esecuzione di tale contratto, pari ad euro 56.226,56; ed eccepivano la compensazione di tale credito con quanto dovuto in forza di garanzia fideiussoria.
La causa veniva istruita mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti, nonché mediante consulenza tecnica contabile avente ad oggetto il conto corrente bancario, per cui è causa, e in particolare l’individuazione degli addebiti su detto conto corrente riferibili a commissioni di massimo scoperto, nonché l’eventuale superamento del tasso soglia ex l. 108/1996.
In sede di scritti conclusionali si costituiva la (omissis), succeduta ad Unicredit spa nelle more del giudizio per quanto concerneva gli importi da quest’ultima azionati in via monitoria, articolando domanda di accertamento e di condanna, che veniva eccepita come tardiva dagli originari opponenti.
Il Tribunale di Milano con sentenza n. 8312/2018:
-respingeva tutti i motivi di opposizione; precisamente: respingeva l’eccezione di estinzione della fideiussione, svolta ai sensi dell’art. 1956 c.c., ritenendo che dagli estratti conto emergeva che l’esposizione debitoria della debitrice principale verso l’istituto di credito fosse sempre rimasta contenuta nell’ambito fisiologico dell’affidamento concesso e che le argomentazioni degli opponenti non avessero trovato alcun riscontro negli atti di causa;
-respingeva le doglianze inerenti l’illiceità degli addebiti compiuti a titolo di commissione di massimo scoperto, per assoluta carenza di allegazione dei motivi di diritto posti a fondamento della relativa eccezione;
-respingeva infine l’eccezione di usurarietà del tasso di interesse debitore, applicato nel corso del rapporto, in quanto, da un lato, gli attori non avevano allegato specificatamente né che tali interessi fossero frutto di eventuale diversa pattuizione, né che la pretesa del tasso di interesse concordato fosse contraria a buona fede, e, dall’altro, alla luce di quanto statuito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 24675 del 2017, era irrilevante ogni questione inerente l’usura sopravvenuta -nonostante il rigetto dell’opposizione, avendo la società consortile (omissis) versato nelle more del giudizio la somma di euro 560 mila a parziale estinzione del debito, in revoca del decreto ingiuntivo opposto, condannava gli opponenti al pagamento della minor somma di euro 673.952,83, oltre agli interessi legali dal 16 ottobre 2013 al saldo ed oltre alla rifusione delle spese processuali;
– dichiarava la carenza di legittimazione ad agire degli opponenti in relazione alle domande svolte in via riconvenzionale e, quindi: sia in relazione al contratto di IRS, non essendo gli attori parte di tale contratto; sia in relazione alla domanda riconvenzionale di restituzione di quanto versato da Unicredit in favore di (omissis) a garanzia dei debiti di (omissis) s.a.s. (p. 9) non essendo alcuno degli attori parte dei contratti sottesi a tale rapporto e non essendo, pertanto, alcuno degli attori, nemmeno nella prospettazione attorea, titolare del diritto alla ripetizione dell’indebito allegato a fondamento della relativa domanda (o meglio eccezione).
3. Avverso la sentenza del giudice di primo grado gli originari intimati proponevano appello chiedendo, in integrale riforma della sentenza di primo grado, l’accoglimento delle domande e delle eccezioni formulate in primo grado.
Si costituiva nel giudizio di appello la società (omissis) s.p.a., che concludeva chiedendo il rigetto dell’impugnazione con conferma della sentenza impugnata. In sede di comparsa conclusionale parte appellante eccepiva la nullità della fideiussione, che costituisce il fondamento della pretesa creditoria per cui è causa, per violazione del divieto di intese anticoncorrenziali, sul presupposto che il testo del contratto di fideiussione risultava conforme allo schema contrattuale predisposto dall’A.B.I. per la stipula di fideiussioni omnibus e, in particolare, risultava coincidente con il testo delle clausole nn. 2, 6, 8, che la Banca d’Italia, con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, aveva ritenuto frutto di intese restrittive della concorrenza.
La Corte territoriale con sentenza 1568/2020 respingeva l’appello e confermava integralmente la sentenza di primo grado.
4. Avverso la sentenza della corte territoriale hanno proposto ricorso gli originari opponenti.
Nessuna difesa è stata svolta da parte della società intimata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380- bis.1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente occorre dar atto che parte ricorrente ha allegato fin dalla prima pagina del ricorso che la sentenza impugnata, recante numero 1568/2020, è stata pronunciata dalla Corte di appello di Milano il 16 aprile 2020; è stata pubblicata il 26 giugno 2020 ed è stata notificata il 30 giugno 2020. Tali circostanze si ritrovano anche nella attestazione di conformità che è allegata alla sentenza.
Orbene, come constatato dal Collegio riunito in camera di consiglio, nel fascicolo processuale non risulta la copia della sentenza con la relata della suddetta notificazione.
Tuttavia, questa Corte ha già avuto modo di precisare in più occasioni (cfr. Cass. n. 11386 del 2019, n. 18645 del 2015 e n. 17066 del 2013, Rv. 628539 – 01) che: pur in difetto di produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima (adempimento prescritto dall’art. 369, secondo comma, numero 2, cod. proc. civ.), il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poiché il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325, secondo comma, cod. proc. civ.
Orbene, dando applicazione del suddetto principio, nel caso di specie, è possibile procedere alla c.d. prova di resistenza, cioè al calcolo dei sessanta giorni del termine breve dalla pubblicazione della sentenza, avvenuta il 26 giugno 2020, nonostante il fatto che la parte intimata non abbia svolto difese.
Tale prova comporta che la notifica del ricorso, per essere tempestiva, avrebbe dovuto farsi nei sessanta giorni dalla pubblicazione, ossia entro il 25 settembre 2020. Ed il ricorso è stato notificato via pec per l’appunto venerdì 25 settembre 2020. Donde la procedibilità del ricorso.
2. Giova preliminarmente ripercorrere l’articolato iter argomentativo, ad esito del quale la corte territoriale ha integralmente confermato la sentenza di primo grado.
2.1. Quanto all’eccezione formulata dalla difesa in sede di comparsa conclusionale, la Corte:
-ha ritenuto l’eccezione ammissibile, spettando il potere di rilievo officioso di una nullità contrattuale (per violazione delle norme sulla concorrenza) anche al giudice investito del gravame;
-ha ritenuto accertata la nullità parziale della fideiussione, in quanto:
a) questa Corte di legittimità con sentenza n. 13846 del 2019, nell’affrontare la questione degli effetti della nullità dell’intesa anticoncorrenziale sui contratti di fideiussione, stipulati dai consumatori “a valle” dell’intesa vietata, aveva chiarito che ciò che rileva (non è la diffusione del modulo ABI, da cui non siano state espunte le clausole in questione, ma) la coincidenza delle clausole col testo di uno schema contrattuale espressivo della vietata intesa restrittiva;
b) nel caso di specie, gli articoli 2 (clausola di reviviscenza), 6 (rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c.) e 8 (clausola di sopravvivenza) del contratto di fideiussione, sul quale si fondava la pretesa creditoria, coincidevano pacificamente con il modello predisposto dall’ABI, risultato frutto delle intese restrittive della concorrenza;
-ha tuttavia ritenuto che dalla accertata nullità parziale della fideiussione non poteva derivare la liberazione degli appellanti dal vincolo assunto sulla base delle seguenti considerazioni:
a) l’accertamento da parte della Banca d’Italia della illiceità di alcune specifiche clausole delle Norme Bancarie Uniformi, trasfuse nei contratti di fideiussione, stipulati in attuazione di dette intese, non esclude che il giudice debba valutare la nullità contrattuale alla luce degli artt. 1418 e ss. c.c., con la conseguenza che può trovare applicazione l’art. 1419 c.c. ogniqualvolta l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite;
b) parte appellante si era limitata a dedurre genericamente che la presenza nella fideiussione delle suddette clausole avrebbe determinato la nullità dell’intero contratto, ma non aveva allegato circostanze idonee a dimostrare che la fideiussione, senza la parte colpita da nullità, non avrebbe potuto avere una esistenza autonoma e neppure avrebbe potuto perseguire un risultato utile (nel senso che, secondo la previsione dell’art. 1419 c.c., la parte non avrebbe stipulato il contratto senza la parte colpita da nullità).
2.2. Quanto poi al merito dei singoli motivi di appello, la corte territoriale:
-ha respinto il primo motivo (con il quale gli appellanti si erano lamentati del fatto che nel giudizio di primo grado Unicredit, poi (omissis), si era limitata a chiedere la conferma integrale del decreto, senza proporre alcuna domanda di accertamento e condanna degli opponenti al pagamento di somme di denaro inferiori, rispetto a quanto richiesto nel ricorso per decreto ingiuntivo; ed avevano pertanto eccepito che il giudice di primo grado fosse incorso in un vizio di extrapetizione), in quanto, secondo consolidato orientamento di questa Corte (peraltro puntualmente richiamato: Cass. n. 1954 del 2009 e n. 28660 del 2013), nella originaria domanda di pagamento di un credito, contenuta nel ricorso per ingiunzione e nella domanda di rigetto dell’opposizione, è senz’altro ricompresa quella subordinata di accoglimento della pretesa per un importo inferiore, con la conseguenza che non incorre in vizio di ultra petizione il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo che revochi il decreto ingiuntivo ed emetta sentenza di condanna per un importo inferiore rispetto a quello ingiunto;
-ha respinto il secondo motivo (con il quale gli appellanti avevano censurato la pronuncia di primo grado nella parte in cui il Tribunale aveva dichiarato il loro difetto di legittimazione ad agire con riferimento alle contestazioni proposte in via riconvenzionale; avevano sostenuto che il fideiussore è legittimato a formulare in corso di causa eccezione di compensazione giudiziale, derivante da rapporti intercorsi tra debitore principale e creditore, non dedotti da quest’ultimo nella propria azione giudiziale), in quanto l’art. 1246 c.c. consente la possibilità di compensare debiti che non abbiano il medesimo titolo; avevano rilevato che l’opponibilità della compensazione da parte di un condebitore in solido, di un credito di altro condebitore solidale, è espressamente prevista dall’art. 1302 c.c.), in quanto:
a) fermi restando i principi affermati nella giurisprudenza di questa Corte (e, in particolare, di Cass. n. 12225 del 2003 e n. 31653 del 2019), nel caso di specie gli appellanti avevano proposto (non una mera eccezione, ma) una domanda riconvenzionale, volta al previo accertamento sia della nullità della garanzia fideiussoria prestata da Unicredit a favore del debitore principale sia della nullità del contratto di interest rate swap, stipulato dallo stesso debitore principale;
b) conseguentemente il giudice di primo grado aveva correttamente dichiarato il difetto di legittimazione degli attori a domandare o ad eccepire in compensazione il credito, derivante da una eventuale nullità dei suddetti contratti, in quanto per l’appunto tali azioni competono esclusivamente al debitore principale;
-ha respinto il terzo ed ultimo motivo (con il quale gli appellanti avevano censurato la sentenza nella parte in cui il giudice di primo grado aveva respinto le doglianze, da essi proposte, inerenti l’applicazione di interessi usurari nel corso del rapporto contrattuale, richiamando le risultanze della consulenza tecnica espletata nel giudizio di primo grado), in quanto gli appellanti non avevano dedotto che gli interessi non avessero natura usuraria al momento della conclusione del contratto, con la conseguenza che correttamente il Tribunale aveva respinto le doglianze difensive richiamando i principi posti dalle Sezioni Unite con sentenza n. 24675 del 2017 in tema di usura sopravvenuta;
2.3. Infine, nella impugnata sentenza, la corte territoriale (pp. 14 e 15):
– ha ritenuto generiche le ulteriori doglianze inerenti la dedotta nullità delle commissioni di massimo scoperto e degli oneri applicati dalla Banca nel corso del rapporto di conto corrente, in quanto, come già osservato dal Tribunale, gli opponenti non avevano chiaramente indicato i motivi di nullità posti a fondamento dell’eccezione e, d’altra parte, dette questioni non erano state adeguatamente illustrate ed argomentate nel giudizio di appello;
– ha rigettato l’eccezione di estinzione della fideiussione ex art. 1956 (riproposta sul duplice presupposto che:
a) (omissis) nel 2013 versava già da tempo in uno stato di sostanziale dissesto che, in ragione delle pattuizioni sopra menzionate, avrebbe giustificato il recesso anticipato dell’affidamento di euro 600 mila, scadente il 19 giugno 2013;
b) ciò non dimeno, Unicredit aveva esercitato la propria facoltà di recesso con missiva 12 giugno 2013 e, dunque, appena sette giorni prima della naturale scadenza dell’affidamento), in quanto, come già osservato dal Tribunale, non risultava dagli atti che la Banca fosse consapevole del detrimento della situazione patrimoniale della debitrice garantita e, ciò nonostante, avesse concesso nuovo credito (sotto forma di concessione di nuovo credito o di tardivo esercizio del diritto di credito) alla debitrice garantita in presenza di una situazione tale da rendere notevolmente più difficile il recupero del credito da parte dei fideiussori, odierni ricorrenti, con la conseguenza che non ricorrevano i presupposti per giustificare la liberazione di questi ultimi ex art. 1956 c.c.
3. Il ricorso della società (omissis) s.r.l. e di (omissis) (omissis) è affidato a sei motivi.
3.1. Con il primo motivo parte ricorrente denuncia (pp.9-13) la violazione o falsa applicazione degli artt. 101, 112 e 183 c.p.c, nonché degli artt. 24 e 111 Cost. (in relazione all’art. 360 primo 12 comma n. 3 c.p.c.) nella parte in cui la corte territoriale, confermando la sentenza del giudice di primo grado (che, in tesi difensiva, era incorso in vizio di extra petizione, pronunciandosi su domande volte all’accertamento ed alla condanna, che non erano state formulate dall’istituto bancario attoreo), ha affermato che il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ha facoltà di revocare il decreto ed emettere sentenza di condanna per un importo inferiore rispetto a quello ingiunto, anche se nella specie l’istituto bancario nella comparsa di costituzione e risposta depositata in data 19 novembre 2014 aveva chiesto esclusivamente la conferma del decreto ingiuntivo opposto, senza la formulazione di alcuna domanda di accertamento e condanna ed anche se tale domanda aveva ribadito nella prima memoria ex art. 183, comma sesto, cod. proc. civ., nonché in sede di precisazione delle conclusioni.
3.2. Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia (pp.13-15) la violazione o falsa applicazione dell’art. 2 secondo comma lettera a) della L. n. 287/1990, dell’art. 41 Cost., dell’art. 101 TFUE, dell’art.101 c.p.c., e degli artt. 1418, 1419, 2697 e 2727 cc, (in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.) nella parte in cui la corte territoriale, rigettando il relativo motivo di appello, non ha rilevato la nullità del contratto di fideiussione 21 marzo 2007, considerato nella sua interezza, nonostante la sussistenza di clausole frutto di intese restrittive della concorrenza, ed ha affermato che gli odierni ricorrenti non avevano allegato circostanze idonee a dimostrare che la fideiussione non avrebbe potuto avere un’esistenza autonoma, senza la parte colpita da nullità.
Parte ricorrente sostiene che, tanto decidendo, la corte territoriale non ha fatto buon governo dei principi affermati da Cass. n. 13846 del 2019.
3.3. Con il motivo terzo, strettamente connesso al motivo che precede, denuncia (pp. 15 e 16) la violazione dell’art. 1419 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.) nella parte in cui la corte territoriale non si è pronunciata sulla nullità parziale del contratto di fideiussione 21 marzo 2007 (e quindi limitatamente alle clausole coincidenti con quelle contrassegnate con i nn. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la stipula di fideiussioni omnibus, ritenute frutto di intese restrittive della concorrenza con provvedimento 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia) nonostante fosse stato richiesto.
3.4. Con il quarto motivo denuncia (pp. 16-19) la violazione o falsa applicazione degli artt. 1246, 1302, 1945 e 2097 cc, dell’art. 24 Cost. e dell’art. 81 c.p.c. (in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.) nella parte in cui la corte territoriale ha confermato la statuizione del giudice di primo grado (che aveva affermato il loro difetto di legittimazione ad agire relativamente alle doglianze, con riferimento al contratto stipulato da (omissis) s.a.s. con Unicredit S.p.A. denominato ‘(omissis) Variabile Protetto 496746UB’ del 30 giugno 2006, nonché con riferimento all’allegato indebito pagamento eseguito da parte della medesima Unicredit S.p.A. in favore di (omissis) s.p.a. a garanzia di debiti di (omissis) s.a.s.).
Sostiene parte ricorrente che: nei due giudizi di merito (non aveva svolto domande dirette a conseguire una condanna di pagamento nei confronti dell’Istituto bancario, ma) aveva proposto eccezioni riconvenzionali dirette a paralizzare le pretese creditorie della banca.
3.5. Con il quinto motivo parte ricorrente denuncia (pp.19-22) la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360, c.1, n. 3 c.p.c.) nella parte in cui la corte territoriale, rigettando il relativo motivo di appello, ha omesso di pronunciarsi sull’eccezione di non specifica contestazione ai sensi dell’art. 115 cpc relativamente ai dedotti saggi di interessi usurari, commissioni di massimo scoperto ed oneri applicati da Unicredit nei rapporti bancari con (omissis) s.a.s. dedotti in giudizio.
Rileva parte ricorrente che, a fronte degli analitici e dettagliati conteggi contenuti in una perizia di parte, allegata all’atto di citazione in opposizione, l’istituto bancario non aveva sollevato alcuna specifica contestazione. E che entrambi i giudici di merito, nonostante la specifica eccezione sollevata ex art. 115 c.p.c., avevano omesso ogni valutazione sul punto.
3.6. Con il sesto motivo parte ricorrente denuncia (pp. 22-25) violazione o falsa applicazione degli artt. 1375 e 2043 c.c., art. 112 c.p.c., art. 2 Cost. (in relazione all’art. 360, c.1, n. 3 c.p.c.) nella parte in cui la corte territoriale, tenendo conto delle risultanze della relazione peritale, non ha accertato e dichiarato che Unicredit, nei rapporti con (omissis) s.a.s. dedotti in giudizio, aveva applicato saggi di interesse illegittimi e/o usurari, anche se successivi alla conclusione dei relativi contratti bancari; e non ha considerato l’exceptio doli generalis (sollevata in corso di causa per far valere l’inefficacia della clausola contrattuale relativamente alla percentuale di interessi eccedenti la soglia consentita).
Dà atto che nella relazione peritale i saggi di interessi qualificati come usurari risultano individuati non già al momento dell’instaurarsi del rapporto tra banca e correntista, ma nel corso di detto rapporto.
Tuttavia, rileva che anche i saggi di interesse usurari sopraggiunti in corso di rapporto costituiscono importi che l’ordinamento ritiene indebiti.
4. I motivi dal primo al quarto sono infondati.
4.1. Infondato è il primo motivo.
Al riguardo è jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., di recente, Cass. n. 27479 del 2022) il principio per cui nella domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di danaro deve ritenersi sempre implicita la richiesta della condanna al pagamento di una somma minore, con la conseguenza che la pronuncia del giudice del merito di condanna ad una somma minore di quella richiesta non è viziata da extrapetizione.
Di tale principio di diritto ha fatto buon governo la corte territoriale là dove (p. 12) ha ritenuto che nella originaria domanda di pagamento, contenuta nel ricorso per ingiunzione e nella domanda di rigetto dell’opposizione era senz’altro ricompresa quella subordinata di accoglimento della pretesa per un importo minore.
4.2. Infondati sono i motivi secondo e terzo – che in quanto connessi sono trattati congiuntamente.
I motivi sottendono la questione della validità/invalidità di un contratto stipulato in attuazione di una intesa restrittiva della concorrenza, con particolare riguardo alla sorte del contratto di fideiussione concluso tra garante e banca in attuazione dello schema negoziale tipo predisposto unilateralmente dall’ABI e dichiarato nullo dalla Banca d’Italia.
Occorre premettere che la Banca d’Italia con provvedimento n. 55/2005 ha dichiarato nulle, per contrarietà rispetto alla normativa italiana in materia di tutela della concorrenza (c.d. normativa antitrust), alcune clausole (nn. 2, 6 e 8) appartenenti ad uno schema di fideiussione omnibus predisposto anni prima da parte dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI).
Le clausole, che sono interessate dal provvedimento della Banca d’Italia, sono state le seguenti:
-la c.d. “clausola di reviviscenza”, in forza della quale il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che quest’ultima incassi, in pagamento di obbligazioni garantite, e successivamente restituisca per motivi diversi, quali annullamento, inefficacia, revoca dei pagamenti stessi o per qualsiasi altro motivo;
-la “clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 cod. civ.”, secondo cui i diritti che la banca vanta sulla scorta della fideiussione restano integri finché non sia estinto ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore, il fideiussore o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti dall’art. 1957 c.c.;
-la c.d. “clausola di sopravvivenza”, alla cui stregua il debitore è tenuto a rimborsare alla banca gli importi percepiti anche nel caso in cui l’obbligazione garantita dovesse risultare invalida.
Occorre aggiungere che nel caso di specie, la banca, nel fissare il contenuto delle fideiussioni, ha trasposto nelle medesime proprio le suddette tre clausole (nn. 2, 6 e 8), che appartengono allo schema di fideiussione omnibus predisposto dall’Associazione Bancaria Italiana e che sono state dichiarate nulle dal citato provvedimento della Banca d’Italia.
Al riguardo le Sezioni Unite di questa Corte, con la recente sentenza n. 41994/2021, dopo aver illustrato il panorama giurisprudenziale e dottrinale di riferimento, hanno risolto la questione della sorte dei contratti che si collocano a valle di un’intesa anticoncorrenziale, qualificandoli come affetti da nullità parziale ed in particolare hanno affermato il seguente principio di diritto: «i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti».
Di tale principio di diritto ha fatto buon governo la corte territoriale che (p. 11) ha accertato la nullità parziale della fideiussione, per poi affermare – con giudizio di fatto non sindacabile nella presente sede processuale – che dall’accertata nullità parziale non possa derivare la liberazione degli appellanti dal vincolo assunto.
4.3. Infondato è il quarto motivo.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui l’eccezione riconvenzionale consiste in una prospettazione difensiva che, pur ampliando il tema della controversia, è finalizzata, a differenza della domanda riconvenzionale, esclusivamente alla reiezione della domanda attrice, attraverso l’opposizione al diritto fatto valere dall’attore di un altro diritto idoneo a paralizzarlo.
La Corte territoriale, richiamando le pronunce nn. 12225/2003 e 31653/2019 di questa Corte, ha testualmente rilevato che: Nel caso in esame gli appellanti non hanno proposto una mera eccezione di compensazione, ma hanno svolto una domanda riconvenzionale (…).
Pertanto, correttamente il Giudice di prime cure ha dichiarato il difetto di legittimazione degli attori a domandare o ad eccepire in compensazione il credito, derivante da una eventuale pronuncia di nullità dei suddetti contratti, in quanto tali azioni competono esclusivamente al debitore principale.
Gli odierni ricorrenti – dopo aver dedotto nel giudizio di primo grado in ordine ai rapporti di debito/credito opponibili ad Unicredit, in ragione dei quali ridurre le pretese creditorie dell’Istituto (con riferimento sia al contratto denominato (omissis) che ai versamenti effettuati in favore di (omissis), cioè rapporti riferibili alla garantita (omissis)) e dopo aver appellato il capo della sentenza del giudice di primo grado (che al riguardo aveva rilevato il loro difetto di legittimazione attiva) – in sede di conclusioni riportate nel corso del secondo grado di giudizio concludevano sul punto chiedendo testualmente:
in via subordinata e riconvenzionale, (…) accertare e dichiarare, (…), il debito in capo alla Unicredit s.p.a. in persona del suo legale rappresentante pro tempore, (…), nei confronti della (omissis) di (omissis) (omissis) C. in liquidazione, e/o di (omissis) (omissis), nata a (omissis) (omissis) (AL) il x luglio 19xx, provvedendo contestualmente ad ogni meglio pronuncia funzionale ad eventuale compensazione, nella misura pari ad almeno euro 292.474,08, (…) e, per l’effetto, accertare e dichiarare infondata e/o non provata e, comunque illegittima, la pretesa di pagamento azionata da Unicredit s.p.a. con il proprio ricorso per decreto ingiuntivo del 24 settembre 2013 per l’importo di almeno euro 292.474,08 (…) conseguentemente accertando e dichiarando insussistente in capo a (omissis) s.r.l. con sede in Milano via (omissis) n. 15, (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) alcuna obbligazione di pagamento in favore di Unicredit s.p.a. (…) per tale importo.
In definitiva, contrariamente a quanto ritenuto dagli odierni ricorrenti, le conclusioni formulate dagli allora appellanti integravano non delle mere eccezioni riconvenzionali, dirette a paralizzare le pretese creditorie di Unicredit, con la conseguenza che erroneamente la corte territoriale ha affermato il loro difetto di legittimazione passiva, ma una vera e propria domanda riconvenzionale, tanto è vero che è stata chiesta la compensazione.
5. Fondati sono invece gli ultimi due motivi di ricorso.
5.1 Le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 19597 2020 hanno affermato il seguente principio: Nelle controversie relative alla spettanza e alla misura degli interessi moratori, l’onere della prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., si atteggia nel senso che il debitore che intenda dimostrare l’entità usuraria degli stessi è tenuto a dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale relativa agli interessi moratori e quelli applicati in concreto, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato e gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento, mentre la controparte dovrà allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto.
Nel caso di specie:
a) gli odierni ricorrenti, nell’introdurre il giudizio di merito, hanno allegato all’atto di citazione perizia di parte nella quale il tecnico incaricato aveva indicato i saggi di interesse – che erano stati applicati dall’Istituto nel corso del rapporto di c/c n. (omissis) (nel quale era confluito il c/c n. (omissis) tra le stesse parti) per ogni trimestre a far data dal giugno 2005 – ed aveva concluso per l’usurarietà di detti rapporti; e, nel formulare le loro conclusioni, hanno contestato la debenza dell’importo degli interessi ai sensi dell’art. 1945 c.c. da parte di (omissis) (e di riflesso nei loro confronti quali fideiussori);
b) la banca nel costituirsi ha sì contestato la perizia di parte allegata al ricorso, ma nulla ha dedotto in relazione ai saggi ed oneri applicati ai rapporti bancari per cui era causa e, in particolare, non ha indicato quale saggio di interesse sarebbe stato effettivamente applicato;
c) gli odierni ricorrenti, già in sede di prima memoria ex art. 183 c.p.c., hanno eccepito la mancata specifica contestazione del computo dei saggi di interessi ed oneri da parte dell’Istituto ai sensi dell’art. 115 c.p.c. ed hanno reiterato detta eccezione quale motivo di appello n. 2.4 (trattato alle pp. 19-22);
d) nelle sentenze di entrambi i giudici di merito non vi è traccia della doglianza relativa all’applicabilità dell’art. 115 c.p.c.
In conclusione, deve qui affermarsi che: in caso di azione giudiziaria con la quale si contesta mediante dettagliata relazione peritale l’applicazione di saggi di interesse illegittimi nel corso di rapporti bancari, per l’istituto bancario convenuto, che intenda contestare il computo dei saggi, non è sufficiente una contestazione generica, che faccia riferimento all’art.115 c.p.c., ma è necessaria l’indicazione dei saggi che, in tesi difensiva, sarebbero stati effettivamente applicati.
5.3. Fondato è anche il motivo sesto.
Vero è che le Sezioni Unite con sentenza n. 7294/17 hanno statuito che: Nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto.
Tuttavia, nella stessa richiamata sentenza le Sezioni Unite hanno ritenuto opportuno precisare in motivazione che:
È evidente, infatti, che far salva la validità ed efficacia della clausola contrattuale non significa negare la praticabilità di altri strumenti di tutela del mutuatario previsti dalla legge, ove ne ricorrano gli specifici presupposti; significa soltanto negare che uno di tali strumenti sia costituito dalla invalidità o inefficacia della clausola in questione.
Più di recente, le Sezioni Unite, tornando sull’argomento con sentenza n. 19597 del 2020, sopra già citata, oltre ad affermare che:
La disciplina antiusura, essendo volta a sanzionare la promessa di qualsivoglia somma usuraria dovuta in relazione al contratto, si applica anche agli interessi moratori e che nei contratti conclusi con i consumatori è altresì applicabile la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del d.lgs. n. 206 del 2005 (codice del consumo), essendo rimessa all’interessato la scelta di far valere l’uno o l’altro rimedio – hanno precisato che: In tema di contratti di finanziamento, l’interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori sussiste anche nel corso dello svolgimento del rapporto, e non solo ove i presupposti della mora si siano già verificati; tuttavia, mentre nel primo caso si deve avere riguardo al tasso-soglia applicabile al momento dell’accordo, nel secondo la valutazione di usurarietà riguarderà l’interesse concretamente praticato dopo l’inadempimento.
Dando seguito al dictum delle Sezioni Unite, occorre qui affermare che: i saggi di interesse usurari – che non siano stati pattuiti originariamente, ma siano sopraggiunti in corso di causa – costituiscono in ogni caso importi indebiti.
Il creditore che voglia interessi divenuti nel corso del rapporto in misura ultra legale pretenderebbe per ciò stesso l’esecuzione di una prestazione oggettivamente sproporzionata: il suo comportamento sarebbe contrario al generale principio di buona fede contrattuale, che impone alle parti comportamenti collaborativi, anche in sede di esecuzione del contratto.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata nella parte in cui la corte territoriale ha rigettato le conclusioni degli attori in opposizione, che erano dirette a portare in compensazione gli importi eccedenti la soglia di usura: invero, è illegittima la pretesa della banca in relazione all’importo (individuato dal ctu) eccedente la soglia di usura, anche se i saggi di interesse usurario sono sopraggiunti in corso di rapporto.
6. Per le ragioni che precedono, rigettati i primi quattro motivi di ricorso ed accolti gli ultimi due, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Milano, in diversa Sezione e comunque in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto ed il sesto motivo di ricorso, rigetta gli altri. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2023, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, il giorno 3 aprile 2023.
Il Presidente
Dott. Luigi Alessandro SCARANO
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2023.