Il compratore, ricevuto il televisore, non segnala nessuna anomalia. Successivamente fa presente una striscia longitudinale sullo schermo che offusca i programmi. Il rivenditore condannato al risarcimento (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 27 settembre 2021, n. 26158).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 856-2020 proposto da:

(OMISSIS) GIANFRANCO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI (OMISSIS) 46 presso lo studio dell’avvocato STEFANO (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

MEDIAMARKET SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) (OMISSIS) 15, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ENRICO (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERLUIGI (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 334/2019 del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositata il 20/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa MILENA FALASCHI.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di L’Aquila accoglieva l’appello contro la sentenza del giudice di pace di L’Aquila n. 398/2015 che nell’accogliere la domanda proposta da Gianfranco (OMISSIS) nei confronti di Mediamarket s.p.a. aveva dichiarato la risoluzione del contratto di acquisto di televisore con restituzione del prezzo corrisposto di euro 1.549,00, e in riforma della decisione di prime cure, respingeva la originaria domanda attorea per non avere l’appellato dimostrato che la rottura dello schermo denunciata dopo sette giorni dalla consegna fosse da riferire alla Mediamarket avendo lo stesso in data 22.09.2012, giorno della consegna, riscontrato che il bene non aveva alcuna anomalia in ordine allo schermo, come da documento di accettazione sottoscritto dallo stesso in pari data.

Per la cassazione della sentenza il (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato a un unico motivo, con il quale, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si censura tale specifico contenuto della decisione, cui ha resistito la Mediamarket s.p.a. con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

E’ stata depositata memoria illustrativa dal ricorrente in prossimità dell’adunanza camerale.

Atteso che:

– il Collegio non condivide la proposta di definizione della controversia notificata alle parti e ritiene che il ricorso debba essere accolto per le ragioni di seguito esposte;

– con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 e n. 4, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 132, comma 3 d.lgs. n. 206 del 2005, nonché degli artt. 2728 e 2697 c.c. per avere il Tribunale in funzione di giudice del gravame ritenuto non provato dall’acquirente che il vizio lamentato fosse da riferire al venditore posto che il vizio di rottura del display non era emerso né al momento della vendita né nei sette giorni successivi, trattandosi non già di una rottura fisica del televisore, bensì di una striscia orizzontale nella parte centrale dello schermo, alta circa 10 cm, che offuscava la regolare visione dei programmi.

L’art. 135, comma 2, del codice del consumo stabilisce che, in tema di contratto di vendita, le disposizioni del codice civile si applicano “per quanto non previsto dal presente titolo”; l’art. 1469 bis c.c., introdotto dall’art. 142 del codice del consumo, stabilisce che le disposizioni del codice civile contenute nel titolo “Dei contratti in generale” “si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore”.

Esiste, dunque, nell’attuale assetto normativo della disciplina della compravendita, una chiara preferenza del legislatore per la normativa del codice del consumo relativa alla vendita ed un conseguente ruolo “sussidiario” assegnato alla disciplina codicistica (relativa tanto al contratto in generale che alla compravendita): nel senso che si applica innanzitutto la disciplina del codice del consumo (art. 128 e segg.), potendosi applicare la disciplina del codice civile solo per quanto non previsto dalla normativa speciale (Cass. 30 maggio 2019 n.14775).

E’ necessario tuttavia che sussistano i presupposti per l’applicazione del codice del consumo, secondo le categorie da esso predeterminate.

A tal fine, va osservato che l’art. 128 del codice del consumo stabilisce che, ai fini dell’applicazione delle norme contenute nel capo I del titolo III dello stesso codice dal titolo “Della vendita dei beni di consumo”, per “bene di consumo” si intende “qualsiasi bene mobile” e per “venditore” si intende “qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1” (contratti di vendita, permuta, somministrazione, appalto etc.).

Alle disposizioni civilistiche dettate agli artt. 1490 e ss. del codice civile in tema di garanzia per i vizi dei beni oggetto di vendita si aggiungono, in una prospettiva di maggior tutela, gli strumenti predisposti dal codice del consumo.

Dal combinato disposto degli artt. 129 e ss. del summenzionato codice si desume una responsabilità del venditore nei riguardi del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene allorché tale difetto si palesi entro il termine di due anni dalla predetta consegna.

Il difetto di conformità consente al consumatore di esperire i vari rimedi contemplati all’art. 130 cit., i quali sono graduati, per volontà dello stesso legislatore, secondo un ben preciso ordine: costui potrà in primo luogo proporre al proprio dante causa la riparazione ovvero la sostituzione del bene e, solo in secondo luogo, nonché alle condizioni contemplate dal comma 7, potrà richiedere una congrua riduzione del prezzo oppure la risoluzione del contratto.

Resta fermo che, per poter usufruire dei diritti citati, il consumatore ha l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità nel termine di due mesi decorrente dalla data della scoperta di quest’ultimo.

Il Codice del Consumo prevede una presunzione a favore del consumatore, inserita nell’art. 132 terzo comma, a norma del quale si presume che i difetti di conformità, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti già a tale data, salvo che l’ipotesi in questione sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.

Si tratta di presunzione iuris tantum, superabile attraverso una prova contraria, finalizzata ad agevolare la posizione del consumatore: ne deriva che ove il difetto si manifesti entro tale termine, il consumatore gode di un’agevolazione probatoria, dovendo semplicemente allegare la sussistenza del vizio e gravando conseguentemente sulla controparte l’onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita.

Corollario di questo principio è che il consumatore deve provare l’inesatto adempimento mentre è onere del venditore provare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; solo ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore (Cass. n. 219:27 del 2017; Cass. n. 20110 del 2013).

Il quadro normativo, come illustrato, ha portato la giurisprudenza di questa Corte a ritenere che la responsabilità da prodotto difettoso abbia natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell’esistenza di un difetto del prodotto.

Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato – ai sensi dell’art. 120 del d.lgs. n. 206 del 2005 (cd. codice del consumo), come già previsto dall’8 del d.P.R. n. 224 del 1988 – la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno e, una volta fornita tale prova, incombe sul produttore – a norma dell’art. 118 dello stesso codice — la corrispondente prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto veniva posto in circolazione, o che all’epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnicoscientifiche (Cass. 20 novembre 2018 n.29828).

D’altra parte è evidente che il venditore, a differenza del consumatore, può avvalersi più facilmente di mezzi organizzativi e delle competenze tecniche che consentono di effettuare la necessaria diagnosi del problema al fine di appurare l’esistenza del vizio.

Del resto, l’art. 132 del Codice del Consumo deve essere letto in combinato disposto con la direttiva europea n. 1999/44/CE sulle garanzie dei beni di consumo, di cui il Codice del consumo costituisce la legge di trasposizione in Italia.

La prefata direttiva CE indica il nucleo essenziale dei diritti del consumatore e, rimarcando il principio di gratuità, stabilisce che “Il venditore è responsabile, a norma dell’articolo 3, quando il difetto si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene.

Se, a norma della legislazione nazionale, i diritti previsti all’articolo 3, paragrafo 2, sono soggetti a prescrizione, questa non può intervenire prima di due anni dalla data della consegna.

2. Gli Stati membri possono prevedere che grava sul consumatore, per esercitare i suoi diritti, l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla data in cui ha constatato siffatto difetto”.

Grava, quindi, sul consumatore il solo onere di denunciare il difetto di conformità, che è da considerarsi assolto nel momento in cui egli comunichi tempestivamente al venditore l’esistenza del difetto di conformità, non occorrendo che venga altresì fornita la prova di tale difetto, né che venga indicata la causa precisa di tale difetto. Infatti, risulterebbe troppo oneroso per il consumatore, in fase di presentazione della denuncia di non conformità del prodotto, assolvere l’onere probatorio mediante l’allegazione del vizio specifico da cui è affetto il prodotto, ciò che richiederebbe l’accesso a dati tecnici del prodotto nonché un’assistenza tecnica specializzata, che invece si trovano nella più agevole disponibilità del venditore (e che a questi non sarebbe eccessivamente oneroso chiedere di apprestare in occasione della diagnosi della natura del difetto di conformità denunciato) (v. in termini, Cass. n. 13148 del 2020).

Tanto premesso, nel caso di specie, il Tribunale nell’applicare la disciplina relativa ai contratti di consumo, accertata la tempestività della denuncia del vizio denunciato entro due mesi dalla scoperta del vizio e, trattandosi di vizio che si era manifestato entro sei mesi dalla consegna, avrebbe dovuto applicare la presunzione di responsabilità a carico del venditore, a meno che tale ipotesi fosse incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.

A tal fine, non era sufficiente affermare che la televisione era stata controllata prima della vendita e al momento della consegna; era, invece, necessario verificare al momento della denuncia del vizio, la causa che lo aveva generato, facendo ricorso all’assistenza tecnica di cui disponeva la venditrice.

Solo all’esito di tale accertamento, il giudice del gravame avrebbe potuto fare riferimento all’uso anomalo del bene, anche facendo ricorso alle presunzioni.

Il ricorso va, pertanto, accolto e la sentenza cassata e rinviata, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi al Tribunale di L’Aquila, in persona di diverso magistrato, che nel riesaminare la controversia si atterrà ai principi sopra affermati.

P. Q. M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza del Tribunale di L’Aquila e rinvia allo stesso Tribunale, in persona di diverso magistrato, per la regolazione anche delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6^ Sezione civile della Corte di cassazione, il 3 febbraio 2021.

Depositata in Cancelleria il 27 settembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.