Il marito, in sede di divorzio, non accenna che la moglie aveva una relazione stabile da più di vent’anni. Ora, a distanza di tutti quegli anni, non può chiedere la revoca dell’assegno (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 7 settembre 2020, n. 18528).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4532-2018 proposto da:

MORLUPI PONZIANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO 57, presso lo studio dell’avvocato LUCILLA ANASTASIO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA CRISTINA PUCCI;

– ricorrente –

contro

ALESSANDRINI PATRIZIA, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANLUCA GATTARI;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositato il 25/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 01/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato nell’aprile 2016, Ponziano Morlupi chiedeva la revisione delle condizioni di divorzio nei confronti della ex coniuge Patrizia Alessandrini, deducendo la sussistenza di fatti sopravvenuti tali da legittimare la modifica delle precedenti statuizioni di cui alla sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra le parti, pronunciata dal Tribunale di Macerata in data 4-28 dicembre 2002, oggetto di successivo accordo modificativo.

Il Tribunale, nella contumacia della Alessandrini, revocava sia l’assegno di mantenimento a carico del Morlupi ed in favore del figlio Matteo, per aver quest’ultimo acquisito autonomia economica, sia l’assegnazione della casa familiare alla madre (in quanto non più convivente con il figlio), mentre veniva rigettata la domanda di revoca dell’assegno divorzile, stante l’insussistenza di «alcuna rilevante circostanza sopravvenuta tale da incidere sul giudicato formatosi».

La Corte d’appello di Ancona, con decreto n. 1509/2016, ha respinto il reclamo, ex art. 739 c.p.c., proposto dal Morlupi, rilevando che l’unico motivo addotto quale elemento nuovo idoneo a modificare la situazione esistente era la presunta convivenza dell’ex moglie con tale Francioni, elemento questo che non poteva in alcun modo considerarsi un fatto nuovo sopravvenuto, in quanto, come asserito anche dallo stesso ricorrente, la relazione della Alessandrini con il Francioni era «nota a tutti» ed andava avanti da «più di 20 anni…», dal 1984, ancor prima della sentenza di divorzio del 2002;

– ad avviso della Corte di merito, tale situazione quindi era già assodata e considerata alla data della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio ed anche a quella successiva dell’accordo di modifica delle condizioni di divorzio;

– le istanze istruttorie formulate dal reclamante venivano ritenute inammissibili perché ininfluenti ai fini del decidere.

Avverso il suddetto decreto, Ponziano Morlupi propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;

resiste con controricorso Patrizia Alessandrini.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta:

1) con il primo motivo, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 9 L. 898/1970 per non aver la Corte d’Appello ritenuto sussistente la stabile convivenza more uxorio della ex coniuge e non averla ritenuta alla stregua di fatto sopravvenuto, pur essendo essa intervenuta solo nel 2012 (allorchè l’ex coniuge aveva lasciato la casa coniugale, per andare ad abitare con il nuovo compagno), confondendo tale sopravvenuta circostanza con il diverso fatto della pregressa relazione e frequentazione della Alessandrini, in essere dagli anni ’80;

2) con il secondo motivo, ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio rappresentato sempre della convivenza stabile della Alessandrini con altro uomo, idonea a far venir meno il diritto all’assegno divorzile;

3) con il terzo motivo, ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., la nullità del provvedimento impugnato per non aver la Corte d’Appello motivato sulle istanze istruttorie formulate sia in primo grado che in sede di reclamo.

2. Il primo ed il secondo motivo possono essere trattati assieme, in quanto connessi, e sono infondati.

Il ricorrente ha delineato la differenza tra una semplice frequentazione ed una stabile convivenza, affermando che solo la seconda è rilevante ai fini della modifica delle condizioni economiche divorzili (cfr. Cass. n. 17195/2011, conf. a Cass. n. 17643/2007).

Tuttavia, la Corte d’Appello ha ritenuto la questione come non nuova. Difatti, il Morlupi aveva dedotto in sede di ricorso che «la convenuta…intrattiene una stabile convivenza che dura da molti anni…».

La Corte ha ritenuto quindi, interpretando la domanda, che la asserita relazione tra la Alessandrini ed il Francioni quale stabile convivenza fosse elemento già noto al Morlupi in sede di proposizione del ricorso e non fosse quindi idonea a provocare una modifica delle condizioni di divorzio.

Infine, nemmeno avrebbe pregio l’eventuale rilievo in ordine alla qualificazione dei fatti come sopravvenuti per essersi gli stessi materialmente verificati in una certa epoca ma conosciuti dal Morlupi, solo all’epoca della la richiesta di revisione dell’assegno.

Invero, l’ignoranza dei fatti non rende questi fatti sopravvenuti, una volta che se ne abbia la conoscenza.

Tale assunto è confermato da questa Corte che ha chiarito come « ai sensi dell’art. 9 legge n. 898 del 1970 (così come modificato dall’art. 2 legge n. 436 del 1978 e dall’art. 13 legge n. 74 del 1987), le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata “rebus sic stantibus”, rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all’affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane viceversa esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile.

Ne consegue che l’attribuzione in favore di un ex coniuge dell’assegno divorzile non può essere rimessa in discussione in altro processo sulla base di fatti anteriori all’emissione della sentenza, ancorché ignorati da una parte, se non attraverso il rimedio della revocazione, nei casi eccezionali e tassativi di cui all’art. 395 cod. proc. civ.» (Cass. n. 21049/2004; v. anche Cass.25 agosto 2005, n. 17320).

In sostanza, in forza della particolare natura del giudicato delle sentenze di divorzio, e delle successive modifiche, deve comunque ritenersi che le stesse passano in cosa giudicata «rebus sic stantibus», rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all’affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile.

Le censure risultano peraltro anche inammissibili per carenza di autosufficienza.

3. Il terzo motivo è anch’esso infondato.

Non ricorre il vizio di omessa pronuncia o omessa motivazione sulle richieste istruttorie, avendo la Corte di merito giudicato ininfluenti ai fini del decidere, perché finalizzati alla prova di un fatto che non avrebbe potuto avere avere alcuna incidenza sul giudizio in quanto non idoneo a causare la revisione della situazione divorzile.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi C 3.500,00, a titolo di compensi, oltre C 100,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 1° luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.