La presunta pericolosità della strada non basta a ritenere grave l’assenza del guard-rail (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 23 dicembre 2021, n. 41408).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 8268 del ruolo generale dell’anno 2020, proposto da

(OMISSIS) Filomena (C.F.: M(OMISSIS)3Y) rappresentata e difesa dall’avvocato Domenico (OMISSIS) (C.F.: DMT (OMISSIS)3H)

– ricorrente –

nei confronti di

ANAS S.p.A. (C.F.: 80(OMISSIS)87), in persona del rappresentante per procura Nicola (OMISSIS) rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico (OMISSIS) (C.F.: ZM(OMISSIS)3X)

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Potenza n. 479/2019, pubblicata in data 15 luglio 2019;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in data 1° dicembre 2021 dal consigliere, Dott. Augusto Tatangelo.

Fatti di causa

Filomena (OMISSIS) ha agito in giudizio nei confronti dell’ANAS S.p.A. per ottenere il risarcimento dei danni subiti in occasione di un incidente stradale di cui era rimasta vittima in data 3 luglio 2003.

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Matera.

La Corte di Appello di Potenza ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre la (OMISSIS), sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso l’ANAS s.p.a..

È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile e/o manifestamente infondato.

È stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c..

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c.: erroneità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».

Con il secondo motivo si denunzia «Art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.: erroneità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto».

I primi due motivi del ricorso sono connessi, logicamente e giuridicamente, costituendo espressione di una censura sostanzialmente unitaria: possono essere, quindi, esaminati congiuntamente.

La ricorrente sostiene che la corte di appello avrebbe omesso di prendere in esame il fatto, decisivo ai fini del giudizio, costituito dall’esistenza di un canale naturale di deflusso delle acque meteoriche posizionato in posizione parallela a ridosso del lato destro della carreggiata della strada dove è avvenuto l’incidente che, rendendo la stessa strada particolarmente pericolosa, avrebbe imposto l’adozione di più adeguate misure di salvaguardia degli utenti, come l’installazione di un guardrail.

L’errata ricostruzione della fattispecie concreta, a causa dell’omesso esame di tale elemento di fatto, avrebbe determinato altresì un vizio di sussunzione e, quindi una violazione o falsa applicazione delle disposizioni di legge in tema di responsabilità da cose in custodia.

Si tratta di motivi in parte inammissibili ed in parte manifestamente infondati.

Come è noto «l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831 – 01; conf., ex multis: Sez. U, Sentenza n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629834 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25216 del 27/11/2014, Rv. 633425 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9253 del 11/04/2017, Rv. 643845 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018, Rv. 651028 – 01).

Nella specie, non vi è dubbio che la corte di appello abbia preso espressamente in considerazione il “fatto storico rilevante in causa” e cioè la dinamica del sinistro e le sue cause, nonché la situazione dedotta di intrinseca pericolosità della strada ove esso ha avuto luogo, oltre alla condotta della danneggiata.

Ha in proposito valutato gli elementi istruttori disponibili e, in particolare ha, tra l’altro, preso specificamente in esame proprio le condizioni oggettive del tratto di strada in cui aveva avuto luogo l’incidente, negando che potesse sussistere, in ragione della sua pretesa particolare pericolosità, un obbligo dell’ANAS di installarvi un guardrail; è infine giunta alla conclusione che il sinistro si era verificato per colpa esclusiva della stessa attrice.

Si tratta di apprezzamenti di fatto sostenuti da adeguata motivazione, non apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede.

Le censure di cui al primo motivo di ricorso in esame si risolvono, in definitiva, nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito in sede di legittimità.

Le censure di violazione di norme di diritto formulate con il secondo motivo (quale diretta conseguenza di quelle in fatto formulate con il primo motivo) risultano a loro volta, quindi, manifestamente infondate.

In proposito, è comunque opportuno osservare, ad ogni buon conto, che la decisione impugnata, in diritto, risulta pienamente conforme ai principi in materia di responsabilità da cose in custodia costantemente affermati da questa Corte, secondo i quali:

a) il criterio di imputazione della responsabilità fondato sul rapporto di custodia di cui all’art. 2051 c.c. opera in termini rigorosamente oggettivi;

b) il danneggiato ha il solo onere di provare il nesso di causa tra la cosa in custodia (a prescindere dalla sua pericolosità o dalle sue caratteristiche intrinseche) ed il danno, mentre al custode spetta l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo del fatto del terzo e della condotta incauta della vittima;

c) la deduzione di omissioni, violazione di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, e a soste- nere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso (si vedano, in proposito: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 25856 del 2017; Sez. 3, Ordinanza n. 2478 del 01/02/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 2480 del 01/02/2018, Sez. 3, Ordinanza n. 2482 del 01/02/2018; Sez. 3, Sentenza n. 8229 del 07/04/2010, Rv. 612442 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 12027 del 16/05/2017, Rv. 644285 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 25856 del 2017).

2. Con il terzo motivo si denunzia «Art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c.: nullità per motivazione del tutto carente e comunque incomprensibile».

Il motivo è inammissibile.

La ricorrente censura la motivazione della decisione impugnata nella parte in cui in essa si rileva che non risultava adeguatamente contestata, con l’appello, la riconducibilità della fatti- specie sotto l’egida della disposizione di cui all’art. 2043 c.c., ritenuta applicabile dal giudice di primo grado.

Si tratta di una parte della motivazione del tutto priva di rilievo ai fini della decisione, dal momento che i giudici di secondo grado, al di là del tenore letterale della parte introduttiva della sentenza, hanno preso in esame specificamente e unicamente la domanda formulata dall’attrice ai sensi dell’art. 2051 c.c. e tale domanda hanno ritenuto infondata, pervenendo per tale via alla decisione del rigetto del gravame, sostanzialmente operando una correzione di fatto della motivazione della sentenza di primo grado, in proposito.

Di conseguenza, deve escludersi la sussistenza di un interesse ad impugnare la decisione di secondo grado, in relazione al punto oggetto del motivo di ricorso in esame.

3. Il ricorso è rigettato.

4. Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228.

per questi motivi

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi € 4.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ri- corso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, Sottosezione 3, in data 1° dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.