La risarcibilità dei danni diretti e mediati scaturenti dall’evento dannoso (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 29 febbraio 2024, n. 5380).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

GIACOMO TRAVAGLINO    -Presidente

DANILO SESTINI                  -Consigliere

LINA RUBINO                      -Consigliere

EMILIO IANNELLO              -Rel. Consigliere

IRENE AMBROSI                  -Consigliere

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8276/2021R.G. proposto da

(omissis) (omissis), in proprio e quale erede di (omissis) (omissis), rappresentato e difeso dall’Avv. (omissis) (omissis) (p.e.c. indicata: ____________________________________________________________), con domicilio eletto in Roma, Via (omissis), n. 10 , presso lo studio dell’avv. (omissis) (omissis);

–ricorrente–

contro

(omissis) (omissis), rappresentato e difeso dall’Avv. (omissis) (omissis) (p.e.c. indicata: ________________________);

–controricorrente–

e nei confronti di

(omissis) (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis);

–intimati–

avverso la sentenza del la Corte d’appello di Genova n. 49 /2021 depositata in data 14 gennaio 2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 febbraio 2024 dal Consigliere dr. Emilio Iannello.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 342 del 21 marzo 2017 il Tribunale di Savona, definitivamente pronunciando nella controversia promossa da (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) (e proseguita dal primo anche in qualità di erede della seconda) contro (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) (omissis), avente per oggetto il risarcimento dei danni subiti per essere stati indotti a sottoscrivere contratto preliminare relativo ad immobile, con artifici e raggiri (consistiti nell’avere i promittenti taciuto che il bene era gravato da servitù di passaggio pedonale e carraio), accolse in parte la domanda risarcitoria, liquidando per danni patrimoniali il complessivo importo di Euro 134.619,48, mentre rigettò le domande di manleva dai convenuti formulate nei confronti dei terzi chiamati (omissis) (omissis) (precedente proprietario dell’immobile) e (omissis) (omissis) (agente immobiliare che aveva mediato la compravendita tra (omissis) ed i convenuti).

2. Con sentenza n. 49/2021, resa pubblica in data 14 gennaio 2021, la Corte d’appello di Genova, in parziale accoglimento del gravame interposto da (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) (omissis), ha limitato il danno risarcibile all’importo di € 30.986,48 (al lordo di quanto già percepito dagli attori in sede penale a titolo di provvisionale), pari alla differenza tra il prezzo dell’immobile corrisposto dagli attori/appellati ai convenuti/appellanti, (omissis) e (omissis), e quello che questi ultimi avevano corrisposto al precedente proprietario (omissis) (omissis), sul rilievo che a tale differenza poteva correttamente parametrarsi la minor convenienza dell’affare determinata dagli artifici e raggiri posti in essere dagli appellanti.

Ha, invece, escluso che potessero considerarsi danni risarcibili le spese sostenute dagli attori/appellati al fine di addivenire ad una soluzione transattiva con i vicini per l’esercizio della servitù di passaggio (la cui esistenza era stata sottaciuta dagli appellanti), ritenendo non potersi per esse ravvisarsi un collegamento consequenziale e diretto con il detto comportamento.

Ha quindi compensato per un terzo le spese di entrambi i gradi del giudizio e posto la restante parte a carico dei convenuti/appellanti.

In motivazione ha osservato che:

─ la giurisprudenza ammette la risarcibilità di danni ulteriori rispetto al minor vantaggio o al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento truffaldino, ma deve trattarsi di danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto (Cass. n. 19024 del 2005 ; n. 5965del 2012);

─ secondo quanto prospettato dagli stessi attori ed odierni appellati, le spese in questione sono state sostenute a seguito di un accordo transattivo raggiunto con i vicini, per ovviare alla sussistenza della servitù di passaggio pedonale e carraio, individuando una «soluzione alternativa agli aventi diritto della suddetta servitù di passaggio e ridurre così al minimo i disagi subiti»; si è dunque trattato di una precisa e libera scelta degli attori odierni appellati, che non è causalmente collegata al comportamento dei convenuti ed odierni appellanti.

3. Avverso tale sentenza (omissis) (omissis), in proprio e quale erede di (omissis) (omissis), propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste (omissis) (omissis), depositando controricorso.

Gli altri intimati sono rimasti tali.

4. È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia «violazione o falsa applicazione degli artt. 1440, 2043 c.c. e degli artt. 185 comma 2 e 640 c.p.» per avere la Corte di merito ritenuto non risarcibile il danno ulteriore che, seppur derivante da una condotta delittuosa, non sia collegato ad essa da un rapporto «rigorosamente consequenziale e diretto».

Rileva al riguardo che, secondo indirizzo più recente e preferibile, «la responsabilità per il danno derivante da reato comprende anche i danni mediati ed indiretti che costituiscano effetti normali dell’illecito secondo il criterio della cosiddetta regolarità causale».

Deduce che la necessità di stipulare una serie di accordi stragiudiziali con i vicini e con i proprietari dei fondi limitrofi rappresenta tutt’altro che una libera scelta, ma costituisce piuttosto «un vero e proprio “passaggio obbligato” (se non imposto agli odierni ricorrenti) per poter esercitare liberamente il proprio diritto di proprietà nei confronti dell’immobile gravato da una servitù sottaciuta».

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, già affrontato in contraddittorio tra le parti», vale a dire la circostanza che «il credito vantato dagli odierni ricorrenti, suddiviso nelle due note voci di danno, è stato già valutato come pienamente risarcibile dai vari giudici che hanno preso in carico, sia in sede penale che civile, la gestione del fascicolo processuale».

Ciò in quanto:

─ le pretese risarcitorie sono state pacificamente ammesse, in ogni componente di danno allegato, come ragione fondante dell’intervenuta costituzione di parte civile;

─ le parti hanno avuto modo di interloquire diffusamente e, ancorché l’argomento sia stato affrontato nel pieno contraddittorio, non si sono rilevati vizi di sorta per ciò che attiene alla risarcibilità dei danni allegati;

─ nelle more del processo penale le costituite parti civili hanno ottenuto l’emissione di un decreto di sequestro conservativo, a titolo di misura cautelare reale, a garanzia -ai sensi e per gli effetti dell’art. 316 c.p.p.- dell’integrale credito vantato, ivi compreso il credito derivante dalle maggiori spese affrontate per edificare le opere citate.

Lamenta, il ricorrente, vizio di motivazione apparente per avere la Corte d’appello omesso di illustrare le ragioni che renderebbero errate le decisioni precedenti.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, infine, «errata allocazione delle spese di lite, stante la fallace correlata statuizione in ordine alla soccombenza parziale e reciproca».

4. Il primo motivo è infondato.

4.1. Sul piano della ricognizione della regola causale la Corte territoriale richiama l’affermazione costantemente ripetuta nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui la sussistenza di un rapporto « rigorosamente consequenziale e diretto » tra evento dannoso e conseguenza risarcibile è requisito necessario per la risarcibilità ex art. 1440 cod. civ. dei danni prodotti ad uno dei contraenti dal comportamento truffaldino dell’altro (v. Cass.14/02/2022, n. 4715; Cass. 29/09/2005 , n. 19024 , richiamata in sentenza; Cass. 29/03/1999, n. 2956).

Tale affermazione è censurata in ricorso in quanto asseritamente in contrasto con il principio secondo cui «la responsabilità per il danno derivante da reato comprende anche i danni mediati ed indiretti che costituiscano effetti normali dell’illecito secondo il criterio della cosiddetta regolarità causale» (Cass. pen. 31/01/2017, n. 4701 – ud.21/12/2016) Sebbene, come si dirà, la questione non assuma rilievo ai fini della decisione, pare nondimeno opportuno rilevare che , tra i due principi, il contrasto è solo apparente e va risolto considerando che la norma a cui entrambi fanno implicito riferimento ─ ossia quella contenuta nell’art. 1223 cod. civ. ─ esprime una regola causale a fronte della quale perde rilievo la distinzione meramente terminologia e astratta tra conseguenze immediate o mediate, dirette o indirette, dell’evento ( distinzione priva di significato euristico in assenza di un criterio sottostante di discrimine), mentre diviene decisiva la regola del giudizio causale e il criterio logico nel quale essa si identifica.

Valgano in tal senso le seguenti considerazioni:

─ l’art. 1440 cod. civ. si limita a stabilire che «Se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni», senza dunque nulla stabilire quanto al criterio di selezione delle conseguenze dannose risarcibili;

─ a tal fine non può che farsi rimando alla norma di cui all’art.1223 cod. civ., applicabile anche alle ipotesi di responsabilità extracontrattuale per il richiamo che ne fa l’art. 2056 cod. civ., a mente del quale «Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta»;

─ per pacifica opinione detta norma pone la regola causale che presiede alla identificazione dei danni risarcibili, indicando il nesso che deve intercorrere tra l’ evento lesivo (o danno – evento ingiusto, ossia la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, in relazione eziologica con la condotta dell’agente) e le sue conseguenze pregiudizievoli;

─ secondo ormai pacifica acquisizione, invero, nel sistema della responsabilità civile, la causalità assolve alla duplice finalità di fungere da criterio di imputazione del fatto illecito (artt. 1218 e 2043 cod. civ.) e di regola operativa per il successivo accertamento dell’entità delle conseguenze pregiudizievoli del fatto che si traducono in danno risarcibile; essa va pertanto scomposta nelle due fasi corrispondenti al giudizio sull’illecito (nesso condotta/evento) e al giudizio sul danno da risarcire (nesso evento/danno);

─ è quest’ultimo, come è stato detto, un «giudizio ipotetico» che assume il valore di criterio idoneo a valutare compiutamente l’ammontare del danno patrimoniale, criterio dunque di «causalità ipotetica, necessario onde non tramutare in (indebito) arricchimento il (debito) risarcimento spettante al danneggiato»; in tale prospettiva, la disposizione dell’art. 1223 c.c. si pone in termini di vero e proprio ius singulare, poiché con essa l’ordinamento limita il risarcimento alla perdita subita ed al mancato guadagno (che conseguono tipicamente, in base all’id quod plerumque accidit, al fatto dannoso del tipo di quello verificatosi) in quanto conseguenze immediate e dirette dell’inadempimento o di altro fatto dannoso, così allocando presso il danneggiante non una qualsiasi ripercussione patrimoniale, ma ciò che costituisce il danno vero e proprio (id est, il “danno ingiusto”); a ciò si giunge attraverso un giudizio ipotetico/differenziale tra condizione (dannosa) attuale e condizione del danneggiato quale sarebbe risultata in assenza del fatto dannoso (Cass. 16/10/2007, n. 21619);

─ si tratta, però, di un giudizio causale distinto da quello che riguarda il nesso che deve sussistere tra comportamento ed evento perché possa configurarsi, a monte, una responsabilità “strutturale” (c.d. causalità materiale: Haftungsbegrundende Kausalitat), retto dal principio di equivalenza causale (artt. 40 – 41 c.p.), essendo invece deputato, come detto, all’individuazione delle singole conseguenze dannose, con la precipua funzione di delimitare, a valle, i confini di una (già accertata) responsabilità risarcitoria, secondo giudizio ipotetico, controfattuale, fondato sul raffronto con le condizioni che si sarebbero verificate se non ci fosse stato il fatto lesivo (c.d. causalità giuridica: Haftungsausfullende Kausalitat);

─ ed è proprio il fondamento causale anche di tale secondo giudizio (di tipo ipotetico, controfattuale) che spiega e giustifica l’opinione ─ consolidata in giurisprudenza, sebbene in apparenza dissonante rispetto alle indicazioni testuali della norma ─ secondo cui il nesso che ne costituisce oggetto è da intendersi in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come conseguenza normale dell’evento lesivo , secondo la teoria della cd. regolarità causale (tra le tante, Cass. 17/12/1963, n. 3184; Cass. Sez. U. 26/01/ 1998, n. 762; Cass. 04/07/ 2006, n. 15274; 22/11/2016, n. 23719; Cass. Sez. U. 22/05/ 2018, da n. 12564 a n. 12567; Cass. 06/12/2018, n. 31546);

─ la selezione del danno risarcibile è, dunque, governata da un rapporto di “causa ed effetto”, il quale, come detto, dovrà intercettare, secondo un principio di “regolarità causale”, tutte le conseguenze pregiudizievoli che ordinariamente l’evento lesivo è tale da produrre (Cass. n. 31546 del 2018, cit.).

4.2. Ciò precisato, è tuttavia irrilevante che, nella specie, nell’enunciare la regola di giudizio applicata, la Corte territoriale abbia indicato come necessaria l’esistenza di un rapporto «rigorosamente consequenziale e diretto» tra evento dannoso (conclusione del contratto “incisa” dalla condotta truffaldina dell’altro contraente) e danno risarcibile, atteso che non è a tale severa (quanto ingiustificata e comunque priva di effettivo significato scriminante, nei sensi sopra detti) graduazione del giudizio causale che la Corte poi correla l’esclusione tra i danni risarcibili delle spese sostenute dagli odierni ricorrenti per ovviare alla sussistenza della servitù di passaggio pedonale e carraio taciuta dalle controparti , quanto piuttosto al rilievo, a monte, della mancanza di alcun collegamento causale, nemmeno mediato o indiretto, essendosi trattato, secondo la Corte, di «una precisa e libera scelta degli attori odierni appellati, che non è causalmente collegata al comportamento dei convenuti ed odierni appellanti».

È dunque su tale valutazione che occorre concentrare lo scrutinio del motivo.

4.3. Al riguardo occorre muovere dalla affermazione di principio, pure ricordata in premessa dai giudici d’appello, secondo cui, in conformità a indirizzo da tempo affermatosi nella giurisprudenza, in ipotesi di dolo incidente ex art. 1440 cod. civ. , va riconosciuta la risarcibilità di danni ulteriori rispetto al minor vantaggio o al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento truffaldino e segnatamente dei danni correlati alla lesione dell’interesse positivo sottostante al contratto.

Come efficacemente evidenziato dalla citata Cass. n. 19024 del 2005, «quando, come nell’ipotesi prefigurata dall’art. 1440 c.c., il danno derivi da un contratto valido ed efficace ma “sconveniente”, il risarcimento, pur non potendo essere commisurato al pregiudizio derivante dalla mancata esecuzione del contratto posto in essere …, non può neppure essere determinato … avendo riguardo all’interesse della parte vittima del comportamento doloso (o, comunque, non conforme a buona fede) a non essere coinvolta nelle trattative, per la decisiva ragione che, in questo caso, il contratto è stato validamente concluso, sia pure a condizioni diverse da quelle alle quali esso sarebbe stato stipulato senza l’interferenza del comportamento scorretto».

Nel rispetto, dunque, della regola causale predetta, non v’è motivo di non riconoscere il risarcimento dell’interesse positivo del deceptus, ove con ciò, però, si intenda il «diritto ad essere collocato nel complesso delle condizioni nelle quali si sarebbe trovato qualora non fosse stato indotto in errore dall’altrui comportamento doloso».

Il danno risarcibile, in altre parole, deve essere commisurato al «minor vantaggio o al maggior aggravio economico rispetto alle condizioni diverse a cui sarebbe stato stipulato il contratto, senza l’interferenza del comportamento scorretto di una delle parti e comunque avendo riguardo a tutti i danni collegati a tale comportamento da un rapporto conseguenziale e diretto» (v. Cass.14/02/2022, n. 4715).

4.4. Orbene, pur in rapporto a tale più ampio schema concettuale di riferimento, la valutazione di merito operata dal giudice d’appello deve ritenersi corretta.

Non pare invero dubitabile che le spese sostenute per ovviare alla sussistenza della servitù di passaggio pedonale e carraio, individuando una «soluzione alternativa agli aventi diritti della suddetta servitù di passaggio e ridurre così al minimo i disagi subiti», non possano in alcun modo considerarsi esborsi «causalmente dipendenti» dalla condotta truffaldina.

Per rendersi conto di ciò è sufficiente mentalmente portarsi, alla stregua di un giudizio controfattuale, alla situazione in cui si sarebbero trovati i contraenti se la condotta truffaldina non fosse stata posta in essere: la condizione fattuale e giuridica dell’immobile non sarebbe stata diversa, si sarebbe sempre trattato di un bene gravato da servitù di passaggio pedonale e carraio; ciò che sarebbe mutato è (solo) la posizione, più consapevole e attinente alla realtà, da cui essi potevano muovere nella trattativa e nella determinazione del contenuto del contratto.

Non è, dunque, l’esigenza di trovare soluzioni alternative per rimediare al peso imposto dal diritto reale limitato ad essere sorta in conseguenza del dolo: questa ci sarebbe comunque stata.

Il danno piuttosto è rappresentato dalla diversa ponderazione del valore del bene ai fini dell’incontro tra offerta e domanda e, dunque, in definitiva, della determinazione del prezzo.

È del tutto verosimile che, a tali fini, gli acquirenti avrebbero posto sul tavolo delle trattative le spese preventivabili per approntare sui luoghi le dette soluzioni alternative, ma non è detto che, in tale sede, quelle spese avrebbero potuto essere di comune accordo portate per intero in riduzione del prezzo richiesto dagli alienanti: non si dimentichi al riguardo che si verte in ipotesi di dolo incidente, non determinante dunque della conclusione del contratto.

Ebbene, un tale pregiudizio è esattamente quello al cui risarcimento è diretto l’importo già riconosciuto in sentenza di Euro 30.986,48, in quanto sostanzialmente commisurato al minor valore di scambio che al bene sarebbe stato attribuito ove non fosse stato taciuta la servitù su di esso gravante.

Liquidando quell’importo la Corte d’appello ha dunque, da un lato, in realtà identificato esattamente il solo pregiudizio causalmente riferibile alla condotta dolosa, sul punto pertanto la sentenza sottraendosi alla censura di error in iudicando; dall’altro, espresso una valutazione di merito circa il più adatto parametro di liquidazione, come tale insindacabile in Cassazione.

5. Il secondo motivo è inammissibile.

5.1. Ne è infatti evidente l’estraneità al paradigma censorio di cui all’evocato num. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ..

Varrà in proposito rammentare che l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella vigente formulazione [introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012], applicabile ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 07/04/204, nn. 8053 e 8054).

Nella specie, la censura omette di evidenziare un «fatto storico» e decisivo, il cui esame sia stato omesso, ma si limita a denunciare una supposta insufficienza motivazionale sulle ragioni per le quali non ha dato peso a precedenti eventi processuali, privi però con ogni evidenza di alcun rilievo vincolante.

5.2. Quanto poi al pure accennato vizio di motivazione apparente è appena il caso di rammentare che, secondo insegnamento da tempo acquisito, «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass., Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 –8054).

Intanto, dunque, un vizio di motivazione mancante o apparente è configurabile, in quanto, per ragioni redazionali o sintattiche o lessicali (e cioè per ragioni grafiche o legate alla obiettiva incomprensibilità o irriducibile reciproca contraddittorietà delle affermazioni delle quali la motivazione si componga), risulti di fatto mancante e non possa dirsi assolto il dovere del giudice di palesare le ragioni della propria decisione: ipotesi certamente non ricorrenti nella specie.

6. Il terzo motivo non è tale, ossia è un «non motivo», limitandosi a postulare la caducazione della statuizione sulle spese come conseguenza dell’accoglimento di alcuno dei due motivi precedenti e, dunque, un effetto disposto dalla norma dell’art. 336, primo comma, c.p.c., posto che la statuizione sulle spese dipende da quelle della decisione sul “merito” della lite.

7. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti , delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bisdello stesso art. 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.300 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile in data 12/2/2024.

Depositato in Cancelleria il 29 febbraio 2024. 

SENTENZA – copia non ufficiale -.