La vendita di beni provento di furto è idonea ad integrare la condotta di autoriciclaggio (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 5 ottobre 2021, n. 36180).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente –

Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere –

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere –

Dott. RECCHIONE Sandra – Rel. Consigliere –

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BRESCIA

nel procedimento a carico di:

(OMISSIS) Lorna, nata a BERGAMO il 04/01/19xx;

avverso l’ordinanza del 11/05/2021 del TRIB. LIBERTA di BRESCIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa SANDRA RECCHIONE;

sentite le conclusioni del PG, Dott. FULVIO BALDI che chiedeva il rigetto del ricorso;

sentito l’avv. Eleonora (OMISSIS) che insisteva per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale per il riesame delle misure cautelari di Brescia confermava l’ordinanza che aveva applicato alla ricorrente la misura cautelare della custodia in carcere, escludendo, tuttavia, la gravità indiziaria per il delitto di autoriciclaggio.

Si contestava all’indagata di avere venduto ad un “compro oro” gioielli rubati (che venivano successivamente fusi), ricavandone il prezzo.

Secondo il Tribunale la vendita dei gioielli trafugati non costituiva «impiego in attività economiche, finanziarie e speculative» e non poteva integrare la condotta di “autoriciclaggio”.

2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il pubblico ministero presso il Tribunale di Bergamo che deduceva:

2.1. violazione di legge: contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale l’attività di vendita di gioielli rubati costituirebbe una condotta di «impiego in attività economiche» pacificamente riconducibile alla fattispecie astratta prevista dall’art. 648 ter.1.cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del pubblico ministero è fondato, oltre che sorretto da un concreto interesse processuale (identificabile in quello del riconoscimento della gravità indiziaria anche in relazione al delitto di autoriciclaggio per il quale l’ordinanza applicativa della misura cautelare era stata annullata).

1.1. Si premette che non è in contestazione la “idoneità dissimulatoria” della condotta, tenuto conto del fatto il Tribunale ha ritenuto che la condotta – se non fosse stata consumata dall’autrice del reato presupposto – sarebbe stata ascrivibile alla fattispecie del riciclaggio, che quella idoneità richiede, ma solo l’inquadramento della attività di “vendita” dei beni provento di un precedente reato come attività di «impiego in attività economiche, finanziarie e speculative», ovvero nella condotta descritta nella fattispecie astratta prevista dall’art. 648 ter. 1 cod. pen.

In materia il collegio ribadisce:

(a) che la condotta dissimulatoria deve essere successiva al perfezionamento del delitto presupposto e, pertanto, non può coincidere con quella costituente elemento materiale di tale reato, in quanto ciò determinerebbe una sua duplice rilevanza (Sez. 2, Sentenza n. 7074 del 27/01/2021, Pmt C/ De Campo Marcello Rv. 280619 – 01);

(b) che l’ipotesi di non punibilità di cui all’art. 648-ter. 1, comma quarto, cod. pen. è integrata soltanto nel caso in cui l’agente utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza compiere su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa (Sez. 2, Sentenza n. 13795 del 07/03/2019, Sanna, Rv. 275528).

1.2. Tanto premesso si ritiene che la vendita di beni provento di furto debba essere sicuramente considerata una “attività economica” idonea ad integrare la condotta di autoriciclaggio.

In fatti tale attività (a) è successiva alla condotta illecita furtiva, (b) è funzionale alla dissimulazione della provenienza illecita dei beni in quanto l’immissione nel mercato degli stessi, attraverso la compravendita, ostacola concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa (c), la vendita trasforma i beni in denaro integrando sicuramente una attività “economica” produttrice di reddito.

1.3. Si ritiene pertanto che l’immissione nel mercato di beni provento di furto attraverso la vendita a terzi integri una “attività economica” e, dunque, ove posta in essere dall’autore del furto, la stessa è idonea a configurare la condotta di autoriciclaggio prevista dall’archetipo normativo descritto dall’art. 648 ter.1 cod, pen.

1.4. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata relativamente alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di riciclaggio con rinvio per nuovo esame al Tribunale del riesame di Brescia.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata relativamente al reato di autoriciclaggio con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale del riesame di Brescia.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.