Lavoro di pubblica utilità non revocabile sulla base della presunta inerzia (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 23 marzo 2020, n. 10562).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano – Presidente

Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

MUSI Roberto, nato il xx/xx/xxxx;

Avverso l’ordinanza n. 302/2018 del GIP del Tribunale di Pisa in data 11/04/2019;

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Antonio Minchella;

lette le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del dott. Pietro Molino, che ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato;

RITENUTO IN FATTO

1. Con provvedimento in data 11/04/2019 il GIP del Tribunale di Pisa revocava la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità per giorni 126 nei confronti di Musi Roberto, ripristinando la pena originaria di mesi quattro di arresto ed € 1.500,00 di ammenda a lui inflitta dal medesimo GIP con sentenza di patteggiamento n. 383/2015 del 07/10/2015 per il reato di cui all’art. 186 del D.Lvo n. 285 del 1992.

Rilevava il giudice che il condannato non risultava essersi mai presentato presso la “Confraternita di Misericordia” individuata al fine di concordare l’inizio dei lavori di pubblica utilità, per cui questo atteggiamento andava considerato come un’ingiustificata e grave violazione degli obblighi, considerato anche il lungo decorso di tempo dalla pronunzia della sentenza.

2. Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore Avv. Francesco Maltinti, deducendo, ex art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod.proc.pen., erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione: sostiene che la sentenza di condanna non era mai stata notificata all’ente benefico, per cui il giudice avrebbe dovuto verificare previamente se il P.M. aveva effettuato le dovute notifiche poiché soltanto così sarebbe iniziato il procedimento; infatti, il ricorrente si era più volte recato presso la sede dell’ente, non ottenendo mai una risposta sull’inizio dei lavori di pubblica utilità (proprio a causa della mancata comunicazione al predetto ente): del resto, un condannato non aveva l’obbligo di avviare il procedimento; pertanto, il ricorrente non si era mai sottratto all’esecuzione della sanzione sostitutiva.

3. Il P.G. chiede l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

La revoca della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità e il contestuale ripristino della pena detentiva sono stati disposti dal giudice territoriale sul mero presupposto dell’inerzia del condannato nel dare avvio ai lavori di utilità sociale: ma ciò è stato disposto in assenza di prove circa la notificazione della sentenza applicativa all’Ente deputato per il servizio lavorativo.

In effetti, la mera lettura della decisione primigenia e del foglio allegato con traccia delle notifiche effettuate rende evidente che non vi era stata rituale comunicazione alla “Confraternita di Misericordia” presso la quale avrebbe dovuto svolgersi il lavoro di pubblica utilità: ciò giustificava la mancata conoscenza della decisione da parte dell’Ente e quindi la mancanza di un piano organizzativo del lavoro medesimo, senza che ciò potesse essere addebitato al ricorrente.

Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, che questo Collegio condivide “ai fini della sostituzione della pena detentiva o pecuniaria – irrogata per il reato di guida in stato di ebbrezza o di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti – con quella del lavoro di pubblica utilità, l’individuazione delle modalità attuative della predetta sanzione sostitutiva è demandata al giudice procedente, che non può imporre oneri al condannato, il quale ha la facoltà di sollecitare l’applicazione della sanzione sostitutiva ovvero può dichiarare di non opporsi ad essa, ma non è tenuto ad indicare l’ente o la struttura presso la quale svolgere il lavoro di pubblica utilità, né ad avviare il procedimento per lo svolgimento in fase esecutiva dell’attività individuata (Sez. 1, 18.6.2015, n. 35855, RV 264546).

Nella citata sentenza è stato osservato che “l’attivazione del procedimento finalizzato all’esecuzione dell’attività di pubblica utilità, così come le scelte discrezionali legate alla sua imposizione ed alle modalità di prestazione, sono rimesse all’iniziativa, non dell’obbligato, ma dell’autorità penale.

In particolare, come riconosciuto da questa Corte, “attraverso il richiamo operato dall’art. 186 cit. alla disposizione dettata nell’ambito della disciplina della competenza penale del Giudice di pace, la determinazione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità è in ogni caso affidata ad un decreto del Ministro della giustizia da adottare d’intesa con la Conferenza unificata di cui al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, art. 8. Decreto che ha visto la luce il 26 marzo 2001 (“Norme per la determinazione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità applicato in base al d.igs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 54, comma 6”).

Tale provvedimento, dopo aver individuato il tipo di prestazioni dovute e richiamato le convenzioni da stipulare con il Ministro della giustizia o, su delega di quest’ultimo, con il Presidente del Tribunale, dispone all’art. 3 che “con la sentenza di condanna con la quale viene applicata la pena del lavoro di pubblica utilità, il giudice individua il tipo di attività, nonché l’amministrazione, l’ente o l’organizzazione convenzionati presso il quale questa deve essere svolta. A tal fine il giudice si avvale dell’elenco degli enti convenzionati” (Sez. 4, n. 27987 del 3/07/2012 , Cirina, rv. 253589, nonché nei termini Rv. 255523 e Rv 255524).

La configurazione normativa dell’istituto demanda quindi al giudice della cognizione sul reato commesso in violazione dell’art. 186 C.d.S. il potere di comminare la sanzione sostitutiva e di individuarne modalità attuative senza imporre oneri in capo al condannato, il quale può soltanto sollecitare il potere del giudice all’assunzione di tale decisione o dichiarare di non opporsi, ma non è tenuto ad attivarsi per indicare l’ente o la struttura presso la quale svolgere il lavoro di pubblica utilità.

Parimenti, deve ritenersi che sull’obbligato non gravi l’onere di avviare il procedimento per lo svolgimento in fase esecutiva dell’attività che è tenuto a svolgere.

In primo luogo, il sistema processuale stabilisce all’art. 661 cod. proc. pen, che per l’esecuzione delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della liberà controllata sia il pubblico ministero a trasmettere l’estratto della sentenza di condanna al magistrato di sorveglianza territorialmente competente che provvede in osservanza delle disposizioni di legge vigenti.

Più in generale è il p.m. l’organo che, a norma dell’art. 655 cod. proc. pen., cura l’esecuzione dei provvedimenti di condanna; si tratta dello stesso organo giudiziario che, per effetto dell’art. 5 del decreto del Ministero della Giustizia 26 marzo 2001, ha il compito di eseguire la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità e di formulare, ai sensi dell’art. 44 d.lgs. nr . 274 del 2000, al giudice le proprie richieste di modifica delle modalità di esecuzione in caso in cui l’amministrazione, l’organizzazione o l’ente presso il quale si debba svolgere l’attività non sia più convenzionato o abbia cessato operatività, nonché di incaricare l’autorità di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza di verificare la regolare prestazione del lavoro”.

In applicazione del superiore principio, spetta all’ufficio di Procura competente avviare la fase di esecuzione della sanzione sostitutiva mediante comunicazione della sentenza di condanna all’Ente individuato nella sentenza; e ciò anche in considerazione del disposto dell’art. 73, comma 10 , dell’ordinamento giudiziario che, tra le attribuzioni del pubblico ministero, prevede quella di fare “eseguire i giudicati e ogni altro provvedimento del giudice, nei casi stabiliti dalla legge”.

Ne consegue che non risponde alla disciplina specifica dell’istituto e nemmeno ai principi generali in materia di esecuzione del giudicato penale sanzionare il ricorrente con la revoca della misura sostitutiva per la mancata prestazione del lavoro di pubblica utilità a fronte della sua presunta inerzia (Sez. 1, n. 7172 del 13/01/2016, Rv 266618).

Eventuali ritardi imputabili esclusivamente alle pubbliche istituzioni, qualora effettivamente ricorrenti, non possono ricadere sul condannato, che solo per questi altrui inadempimenti si vedrebbe negato il beneficio in questione (Sez. 1, n. 53684 del 04/05/2016, Rv. 268551).

2. Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al GIP del Tribunale di Pisa per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al G.I.P. del Tribunale di Pisa per nuovo esame.

Così deciso il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.