Legittimazione del socio all’impugnazione del sequestro preventivo dei beni della società (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 7 maggio 2025, n. 16970).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. GASTONE ANDREAZZA – Presidente –

Dott. ALESSIO SCARCELLA – Consigliere –

Dott. ANTONIO CORBO – Consigliere –

Dott. LORENZO ANTONIO BUCCA – Relatore –

Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del 05/11/2024 del TRIBUNALE di LECCE;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. LORENZO ANTONIO BUCCA;

sentite le conclusioni del PG, Dott. PIETRO MOLINO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, e dell’avv.to (omissis) (omissis), difensore di (omissis) (omissis), che ne ha chiesto l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 5 novembre 2024, il Tribunale di Lecce ha respinto l’istanza di riesame proposta dal ricorrente, nella qualità di titolare del 16% delle quote sociali della (omissis) s.r.I., avverso il decreto del G.I.P. del Tribunale di Lecce del 16/09/2024, con il quale è stato disposto il sequestro preventivo della (omissis) s.r.l. e del relativo compendio aziendale, poiché ritenuta azienda attraverso la quale soggetti indagati avrebbero commesso il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., anche attraverso il ricorso alla fittizia intestazione della società.

2. Avverso l’indicata ordinanza, (omissis), nella qualità di titolare del 16% delle quote sociali della (omissis) s.r.I., a mezzo del difensore di fiducia, avvocato (omissis) (omissis), propone ricorso per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.pen., inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, e, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., manifesta illogicità, contraddittorietà e mancanza della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, in ordine all’attualità delle esigenze cautelari, alla pertinenzialità della cosa sequestrata, al fumus e al periculum in mora.

2.1 Lamenta la difesa, richiamando il primo motivo di riesame, che il Tribunale di Lecce non aveva motivato sul nesso di pertinenzialità, non avendo esaminato i bilanci, il mutuo bancario e le garanzie ivi contenute, dal momento che era stato messo in evidenza che, delle due aree di operatività, la produzione di olio extravergine di oliva e la raccolta di olii esausti, la prima era quella principale esercitata dal 2009, mentre la seconda era subentrata solo nel 2015.

2.2 Lamenta la difesa, richiamando il secondo motivo di riesame, l’insufficiente motivazione in ordine al fumus e al periculum, in particolare sulle effettive ragioni che renderebbero necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo, considerato che i soci ricorrenti non erano né indagati, né imputati e che i due unici autisti coinvolti nelle indagini non erano più lavoratori della (omissis) s.r.l. e che era stata confermata la misura della custodia in carcere nei confronti di (omissis).

2.3 Lamenta la difesa, richiamando il terzo motivo di riesame, che l’ordinanza era gravemente contraddittoria sull’applicazione dei principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, perché, pur ammettendo che la ripartizione tra aree lecite ed aree illecite fosse possibile (produzione di olio extravergine di oliva e raccolta di olii esausti), anziché graduare la misura, la confermava, senza considerare l’applicazione di una misura meno invasiva che non sacrificasse i diritti dei terzi in buona fede, vale a dire dei soci ricorrenti che non avevano ricevuto alcuna risposta alle doglianze che li riguardavano direttamente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per difetto di legittimazione, in relazione all’oggetto della richiesta, costituito dall’annullamento del decreto che dispone il sequestro preventivo della società (omissis) s.r.l.

La legittimazione astratta alla proposizione del riesame reale è attribuita, dall’art. 322 cod. proc. pen., all’imputato, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate ed a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione.

Però, oltre alla legittimazione, deve sussistere l’interesse all’impugnazione, previsto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., quale requisito necessario per tutte le impugnazioni, anche quelle cautelari.

In materia, è stato ormai superato l’indirizzo giurisprudenziale più risalente, secondo il quale, valorizzando la lettera dell’art. 322 cod. proc. pen. e il principio generale espresso dall’art. 568, comma 3, dello stesso codice, la persona sottoposta alle indagini nei cui confronti sia stato adottato un decreto di sequestro preventivo è legittimata a richiedere il riesame di detto provvedimento anche se la cosa sequestrata sia di proprietà di terzi, sia perché presupposto del sequestro preventivo è che la persona sottoposta alle indagini abbia un qualche potere di disposizione sulla cosa, sia perché i provvedimenti cautelari influenzano comunque il corso del procedimento penale (Sez. 2, n. 32977 del 14/06/2011, Rv. 251091; Sez. 4, n. 21724 del 20/04/2005, Rv. 231374; Sez. 6, n. 3366 del 28/09/1992, Rv. 192089). Infatti, a partire da Sez. 1, n. 7292 del 12/12/2013, dep. 2014, Rv. 259412, è stato ripetutamente affermato il principio secondo il quale l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, astrattamente legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all’impugnazione, che deve corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale e che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (Sez. 3, n. 16352 dell’11/01/2021, Di Luca, Rv. 281098; Sez. 3, n. 3602 del 16/01/2019, Rv. 276545; Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017, Rv. 271231; Sez. 3, n. 35072 del 12/04/2016, Rv. 267672; Sez. 5, n. 20118 del 20/04/2015, Rv. 263799).

E’ stato, infatti, chiarito, in conformità al condivisibile orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento al previgente articolo 343-bis cod. proc. pen. del 1930 (Sez. 3, n. 470 del 07/03/1986, Pascucci, Rv. 172572), che, sulla base della pressoché omologa formulazione delle corrispondenti disposizioni processuali (l’articolo 343-bis cod. proc. pen. del 1930, da un lato, e l’articolo 322 cod. proc. pen. vigente, dall’altro), nell’indicazione dei soggetti legittimati, «la persona … che avrebbe diritto alla … restituzione» non si pone in posizione alternativa rispetto agli altri soggetti indicati, ma costituisce una espressione sintetica riferibile a tutti i soggetti legittimati alla restituzione, sicché l’imputato e l’indagato, in quanto tali, non possono chiedere il riesame in base ad un loro preteso interesse, ma solo in quanto provino di aver diritto alla restituzione del bene della vita che sia stato oggetto del vincolo imposto a seguito dell’emanazione di un provvedimento cautelare reale.

Affinché possa proporre l’impugnazione, pertanto, persino l’indagato o l’imputato deve rappresentare una relazione con la cosa che giustifichi la sua pretesa alla cessazione del vincolo cautelare, in quanto il gravame deve essere funzionale a un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell’impugnante (Sez. 3, n. 30008 del 08/04/2016, Conte, Rv. 267336; Sez. 1, n. 15998 del 28/02/2014, Rv. 259601).

Tale conclusione appare in linea con il principio affermato dalle Sezioni unite (n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202269) secondo cui la legge processuale non ammette l’esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto.

2. La conclusione cui si perviene è, quindi, che in tema di legittimazione al riesame reale, vengono anche in rilievo sia le norme generali in materia di impugnazione (in particolare gli artt. 568, comma 4, e 591, comma 1, lettera a), cod. proc. pen.) che quelle specifiche in materia di impugnazioni delle misure cautelari reali, che, indicando tre categorie di “legittimati” («l’imputato…, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione…»), individuano il genus di persone che avrebbero astratto interesse alla proposizione del riesame o dell’appello.

Le norme sulle impugnazioni in generale, invece, disciplinano il diverso profilo dell’ammissibilità, postulando la necessità di un concreto interesse all’impugnazione, in assenza del quale l’impugnazione va dichiarata inammissibile. In altri termini, l’art. 322 cod. proc. pen. individua le categorie astrattamente legittimate all’impugnazione “reale”, mentre gli artt. 568, comma 4, e 591, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. impongono un vaglio di ammissibilità fondato sulla verifica della concreta legittimazione in ragione della sussistenza di un interesse concreto e attuale, posto che l’impugnazione è inammissibile quando è proposta da chi non è legittimato o, pur essendolo, non ha interesse.

Ebbene, nel caso dell’impugnazione del sequestro preventivo, è proprio la morfologia delle misure cautelari reali – che impongono un vincolo giuridico sul bene – a rendere indispensabile l’effetto di restituzione quale connotato essenziale e imprescindibile dell’interesse ad impugnare (Sez. 3, n. 16352 dell’11/01/2021, cit.; Sez. 3, n. 9947 del 20/01/2016, Piances, Rv. 266713).

3. In definitiva, quindi, la sussistenza dell’interesse a impugnare non può presumersi dalla legittimazione ad impugnare: è, infatti, onere di chi impugna dedurre la sussistenza dell’interesse ad impugnare, ai sensi degli artt. 568, comma 4, e 581 comma 1, lettera d), cod. proc. pen.

Nei procedimenti cautelari reali la sussistenza dell’interesse è strettamente collegata alla richiesta di restituzione del bene, sicché è onere di chi impugna indicare, a pena di inammissibilità, oltre all’avvenuta esecuzione del sequestro, le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sostengono la sua relazione con la cosa sottoposta a sequestro, relazione che consentirebbe la restituzione del bene a chi impugna.

4. Nel caso di specie, il ricorrente non è il legale rappresentante dell’azienda in sequestro, della quale non potrebbe essere mai disposta la restituzione in suo favore, ricoprendo il ruolo di socio titolare del 16% delle quote sociali della (omissis) s.r.l. ed avendo agito in detta qualità.

Nelle società di capitali, la legale rappresentanza spetta all’amministratore che la esercita in modo conforme alla legge e allo statuto (art. 2745-bis cod. civ.), il singolo socio non ha poteri di rilevanza esterna e può unicamente sollecitare gli organi sociali ad agire nell’interesse di quest’ultima, salva la possibilità di agire, nel caso di inerzia, nei confronti degli amministratori stessi e di chiedere la liquidazione della quota sociale (art. 2289 cod. civ.)

L’insieme dei beni aziendali di una società di capitali, qual è la società a responsabilità limitata, appartiene alla società che è soggetto munito di autonomia giuridica distinta dalle persone fisiche e/o giuridiche dei soci che compongono la compagine sociale. Dunque, non il socio, ma la società, rappresentata dal suo organo amministrativo, è titolare del patrimonio sociale e dei beni che ne fanno parte.

E’ stato al riguardo coerentemente precisato che il singolo socio non è legittimato ad impugnare i provvedimenti in materia di sequestro preventivo di beni di proprietà di una società, attesa la carenza di un interesse concreto ed attuale, non vantando egli un diritto alla restituzione della cosa o di parte della somma equivalente al valore delle quote di sua proprietà, quale effetto immediato e diretto del dissequestro (Sez. 2, n. 29663 del 04/04/2019, Tufo, Rv. 276735, secondo cui, nel caso in cui il legale rappresentante sia rimasto inerte e la società possa subire un danno dal mancato dissequestro, il socio ha il potere di sollecitare gli organi sociali ad agire nell’interesse di quest’ultima; nello stesso senso Sez. 6, n. 16860 del 19/03/2019, Cuppari, Rv. 275934; Sez. 6, n. 271 del 05/11/2013, dep. 2014, Immobiliare Mondopesca s.r.I., Rv. 257768; Sez. 3, n. 34996 del 15/05/2024, D’angelo, Rv. 286910 ha affermato che, anche nel caso delle società di persone, l’autonomia patrimoniale di dette società esclude che il socio possa, in quanto tale, agire in giudizio per la restituzione dei beni che appartengono alla società della quale non abbia la legale rappresentanza).

Deve, quindi, concludersi nel senso che il ricorrente, avendo agito in proprio quale socio e non essendo comunque l’attuale legale rappresentante della (omissis) s.r.I., è carente di interesse in ordine all’annullamento del decreto di sequestro preventivo nei confronti della (omissis) s.r.I., essendo l’interesse tutelato dall’ordinamento, in materia di impugnazioni reali, volto alla reintegrazione patrimoniale di chi abbia subito l’imposizione del vincolo: anche in caso di accoglimento delle prospettazioni difensive, infatti, il compendio aziendale andrebbe restituito alla società (omissis) s.r.l. e non già al ricorrente, con la conseguenza che manca l’interesse al gravame (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 16352 dell’11/01/2021, Di Luca, Rv. 281098; Sez. 3, n. 3602 del 16/01/2019, Rv. 276545; Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017, Rv. 271231; Sez. 3, n. 35072 del 12/04/2016, Rv. 267672; Sez. 5, n. 20118 del 20/04/2015, Rv. 263799).

5. In conclusione, il ricorso proposto nell’interesse del ricorrente deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente stesso, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Roma, 2 aprile 2025

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2025.

SENTENZA – copia non ufficiale -.