Lesioni personali e lite in discoteca: la Cassazione torna sul divieto di reformatio in peius (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 30 novembre 2022, n. 45466).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela – Presidente

Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere

Dott. BIANCHI Michele – Consigliere

Dott. RUSSO Carmine – Rel. Consigliere

Dott. CAPPUCCIO Daniele – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) CARMINE nato a NOCERA INFERIORE il 04/03/20xx;

avverso la sentenza del 29/10/2021 della CORTE APPELLO di SALERNO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Carmine Russo;

udito il PG, Dott.ssa Assunta Cocomello, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore dell’imputato, avv. Vincenzo (OMISSIS), tramite il sostituto processuale, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 4 marzo 2020 il Tribunale di Nocera Inferiore, in rito abbreviato, ha condannato Carmine (OMISSIS) alla pena di 1 anno di reclusione, pena sospesa, per le lesioni personali volontarie cagionate a Gianluca (OMISSIS) e Carmine Pio (OMISSIS), così riqualificata la imputazione originaria di tentato omicidio in danno degli stessi e di altre cinque persone.

Con sentenza del 29 ottobre 2021 la Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha riqualificato il fatto in tentato omicidio, confermando per il resto, anche in punto di pena, la sentenza di primo grado.

In particolare, era stato ritenuto provato che (OMISSIS), all’uscita di una discoteca dove aveva passato una parte della notte insieme a degli amici ed in cui il suo gruppo di amici aveva avuto discussione con un altro gruppo di ragazzi, veniva colpito dai ragazzi del gruppo opposto mentre si stava allontanando in auto e, per reagire all’aggressione, aveva colpito con l’autovettura, con diverse ripetute manovre, sette dei suoi oppositori cagionando loro le lesioni descritte in imputazione.

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’imputato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di mancato riconoscimento della scriminate della legittima difesa.

Non si trattava, infatti, di una situazione in cui (OMISSIS) si era volontariamente infilato, in quanto lo stesso aveva tentato di allontanarsi dai luoghi ma non ci era riuscito perché aveva trovato uno pneumatico bucato ed aveva dovuto attendere l’arrivo del padre con altra auto.

Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, perché, in assenza di appello del pubblico ministero, il giudice di secondo grado non avrebbe potuto dare una qualificazione più grave al fatto, atteso che l’imputato non aveva appellato i capi della decisione sulla sussistenza del fatto storico.

3. La difesa dell’imputato ha chiesto la discussione orale.

Con requisitoria orale il Procuratore generale della Cassazione, dr.ssa Assunta Cocomello, ha concluso per il rigetto del ricorso.

Il difensore dell’imputato, avv. Vincenzo (OMISSIS), tramite il sostituto processuale, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo, dedicato alla legittima difesa, è infondato.

Il motivo era stato proposto anche in appello.

La Corte d’appello ha respinto il motivo sostenendo che l’azione compiuta da (OMISSIS) a bordo della Fiat 500 costituisce l’epilogo di una serie di accadimenti iniziati ancora all’interno della discoteca e proseguiti fuori quando (OMISSIS) era stato notato nell’atto di impugnare una chiave esagonale per lo smontaggio dei bulloni; la Corte richiama la deposizione del titolare del bar adiacente, che riferisce che il giovane che aveva la chiave in mano era il più facinoroso di tutti, tanto che tentava di allontanarlo a forza, e poi cita la deposizione di un amico di (OMISSIS), Moreno (OMISSIS), che riferisce della decisione comune di voler aspettare fuori la discoteca colui che aveva picchiato il loro amico e della lunga attesa (si parla di un’ora) dell’uscita del gruppo degli avversari.

La Corte d’appello ne ricava in modo non illogico la conclusione che la successiva condizione di pericolo è ascrivibile proprio alla pregressa condotta dell’imputato, che ha cercato lo scontro con il gruppo antagonista.

Nel motivo di ricorso si sostiene che, però, l’aggressione oggetto dell’imputazione si sarebbe verificata soltanto dopo un apprezzabile lasso di tempo quando (OMISSIS) si era ormai determinato a tornare a casa.

La Corte d’appello aveva già risposto a questo motivo ritenendo che la sopravvenuta decisione di (OMISSIS) di allontanarsi fu dettata soltanto dalla progressiva aggregazione di un gruppo sempre maggiore di persone del fronte opposto che si stava radunando fuori la discoteca in attesa dello scontro, il che aveva indotto (OMISSIS) ed i suoi amici a battere in ritirata.

In ricorso si sostiene che, invece, l’allontanamento sarebbe stato spontaneo ed antecedente al formarsi del capannello dei propri avversari, e si cita a sostegno dichiarazioni di amici di (OMISSIS), che con lui erano in attesa fuori la discoteca.

In realtà, non è corretto sul piano logico frazionare gli eventi di quella notte per soffermarsi solo sul tentativo di fuga dell’imputato, perché la valutazione della evitabilità o meno della situazione di pericolo deve essere effettuata in modo complessivo, e, nel complesso degli accadimenti avvenuti quella notte, non è illogico che i giudici del merito abbiano ritenuto nel comportamento del ricorrente l’esistenza della situazione di chi ha innescato o accettato un duello o una sfida, o ha programmato una spedizione punitiva nei confronti dei propri avversari, in cui la giurisprudenza ritiene non ipotizzabile la esistenza della scriminante (Sez. 5, Sentenza n. 36143 del 11/04/2019, Lepre, Rv. 277030; Sez. 1, Sentenza n. 37289 del 21/06/2018, Fantini„ Rv. 273861).

2. E’ fondato, invece, il secondo motivo, dedicato alla qualificazione giuridica del fatto.

Si ricorda preliminarmente che la imputazione di cui il ricorrente era stato chiamato a rispondere in giudizio era quella di tentato omicidio plurimo.

Nel condannarlo, all’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Nocera Inferiore aveva riqualificato il fatto in quello di lesioni volontarie aggravate plurime, non ritenendo sussistente il dolo omicidiario.

La sentenza era stata appellata dalla sola difesa dell’imputato, con tre motivi di appello, il primo teso ad ottenere la esclusione della responsabilità per il riconoscimento della legittima difesa, il secondo finalizzato ad ottenere il riconoscimento dell’eccesso colposo nella legittima difesa, il terzo dedicato alla quantificazione in concreto della pena. Il pubblico ministero non aveva presentato appello.

Nel respingere in toto l’appello dell’imputato, e nel confermare quindi il giudizio di responsabilità a suo carico, la Corte d’appello di Salerno aveva riqualificato il fatto in quello di tentato omicidio plurimo, originariamente contestato, ferma restando la pena inflitta in concreto dal giudice di primo grado.

Con l’odierno motivo di ricorso per cassazione la difesa dell’imputato sostiene che la Corte d’appello abbia effettuato una indebita reformatio in peius in punto di qualificazione giuridica del fatto, in assenza di appello del pubblico ministero, su un punto della decisione non devoluto al giudice di secondo grado.

Il motivo, in effetti, è fondato.

La norma di riferimento è l’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., che dispone espressamente che: “quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado”.

Pertanto, quando appellante è il solo imputato, il giudice di appello può “dare al fatto una definizione giuridica più grave”, purché, però, “entro i limiti indicati nel comma 1”.

Ed il comma 1, richiamato dall’art. 597, comma 3, citato, dispone che “l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti”.

Ne consegue che “i limiti indicati nel comma 1” di cui parla la norma del comma 3 sono i limiti generali della cognizione del giudice d’appello, davanti a cui il rapporto processuale di secondo grado è incardinato soltanto “limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti”.

Nel caso in esame l’appello dell’imputato aveva incardinato il rapporto processuale di secondo grado limitatamente al punto della decisione relativo all’esistenza della causa di giustificazione della legittima difesa ed al punto della decisione relativo all’eccesso colposo nella stessa (il punto della decisione sulla quantificazione della pena è evidentemente troppo a valle del percorso logico del giudice di primo grado per poter assumere rilievo nel caso in esame); il punto della decisione sulla qualificazione giuridica del fatto era, pertanto, estraneo alla cognizione del giudice di secondo grado.

Nelle sue conclusioni il Procuratore generale ha ritenuto che il devolvere al giudice di secondo grado il punto della decisione sulla legittima difesa consentisse di ritenere devoluto tutto il giudizio sulla ricostruzione del fatto, e quindi anche la sua qualificazione giuridica.

Si tratta di prospettazione non condivisibile.

I concetti di “capi” e “punti” della decisione, non definiti dal codice di procedura ma fondamentali nel sistema del diritto delle impugnazioni, sono ormai individuati in modo univoco dalla stratificazione della giurisprudenza di legittimità.

Già Sez. U, Sentenza n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216239 rilevò che la nozione di capo della sentenza «è riferita soprattutto alla sentenza plurima o cumulativa, caratterizzata dalla confluenza nell’unico processo dell’esercizio di più azioni penali e dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerisce ad una singola imputazione, sicché per capo deve intendersi ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all’imputato».

Nel precisare questo concetto Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823 aggiunse che si tratta dl “un atto giuridico completo, tale da poter costituire anche da solo, separatamente, il contenuto di una sentenza”.

Sui punti della decisione la pronuncia Tuzzolino affermò che “ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della decisione, ognuno dei quali segna un passaggio obbligato per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti, che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato, quali l’accertamento del fatto; l’attribuzione di esso all’imputato, la qualificazione giuridica, l’inesistenza di cause di giustificazione, la colpevolezza, e – nel caso di condanna – l’accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale di essa, e le altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili di ufficio”.

Il concetto è stato ribadito dalla pronuncia Galtelli, secondo cui il punto della decisione ha una portata più ristretta di quella di capo, in quanto riguarda “tutte le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo, tenendo presente, però, che non costituiscono punti del provvedimento impugnato le argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna statuizione”.

Una recente messa a fuoco degli stessi concetti in termini sovrapponibili è stata effettuata da Sez. U, Sentenza n. 3423 del 29/10/2020, dep. 2021, Gialluisi, rv. 280261, che ha ulteriormente precisato che il giudicato progressivo si forma sui capi, laddove l’effetto preclusivo dell’impugnazione opera, invece, sui punti della decisione (“in caso di condanna, dunque, la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell’imputato fa sorgere la preclusione su tale punto, ma non basta a far acquistare alla relativa statuizione l’autorità di cosa giudicata, quando per quello stesso capo l’impugnante abbia devoluto al giudice l’indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena”).

Pertanto, se il punto della decisione è costituito da “ogni singolo tema affrontato all’interno di un capo di decisione, relativamente all’accertamento del fatto storico, all’attribuzione di questo all’imputato, alla sua qualificazione giuridica, all’eventuale inesistenza di cause di giustificazione, all’elemento soggettivo”, ciò vuol dire che, all’interno del capo della sentenza relativo alla responsabilità dell’imputato per il tentato omicidio plurimo contestatogli, era stato devoluto alla cognizione del giudice di secondo grado soltanto il punto della decisione sulla “eventuale inesistenza di cause di giustificazione”, ma non quello sullo “accertamento del fatto storico” (che è incontestato, l’imputato ha tentato di colpire con l’auto le vittime indicate nell’imputazione a suo carico), né quello sulla “attribuzione di esso all’imputato” (che non nega di essere l’autore del comportamento contestato), né quello sulla “qualificazione giuridica dello stesso” (che nessuna parte ha appellato).

In definitiva, nel sistema del diritto delle impugnazioni, quale stratificatosi per effetto delle citate decisioni delle Sezioni Unite, non è possibile individuare un punto della decisione unico sulla ricostruzione del fatto che consenta di ridiscutere sia l’accertamento del fatto storico, che l’attribuzione all’imputato, che la qualificazione giuridica, che l’accertamento di cause di giustificazione, che l’elemento soggettivo.

Il sistema delle preclusioni processuali è molto più stringente e rigido, ed impone alle parti oneri di impugnazione di ciascuno dei singoli passaggi logici necessari per pervenire ad una decisione sul giudizio di responsabilità.

La mancata incardinazione del rapporto processuale di secondo grado su taluno di questi passaggi logici della decisione comporta la preclusione processuale a ridiscuterlo.

In definitiva, la “qualificazione giuridica del fatto” è, per citare ancora la pronuncia Tuzzolino, un “passaggio obbligato per la definizione di una imputazione” diverso da quello sulla “eventuale inesistenza di cause di giustificazione”, e conseguentemente la decisione della Corte d’appello sulla qualificazione giuridica del fatto è stata assunta oltre i limiti del giudizio a lei devoluto.

L’annullamento viene pronunciato senza rinvio, in quanto questa decisione comporta il ripristino della qualificazione giuridica del fatto per cui vi è stata condanna in primo grado, senza la necessità di intermediazione di un ulteriore provvedimento del giudice del merito.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto come tentato omicidio plurimo, ex artt. 81, 56 e 575 cod. pen.

Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.