REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIANI Vincenzo – Presidente –
Dott. RENOLDI Carlo – Rel. Consigliere –
Dott. BINENTI Roberto – Consigliere –
Dott. MAGI Raffaello – Consigliere –
Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Scerra Filippo, nato a xxxx il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 13/5/2019 della Corte di appello di Caltanissetta;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Carlo Renoldi;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Maria Francesca Loy, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del Tribunale di Gela in data 31/10/2017, emessa in esito a giudizio abbreviato, Filippo Scerra fu condannato alla pena di sei mesi di arresto in quanto riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 73, d.lgs. n. 159 del 2011, perché, nonostante fosse privo della patente di guida, mai conseguita, e benché fosse sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, applicata in data 30/5/2013 e fino al 29/5/2018, si era posto alla guida di un veicolo elettrico che presentava le caratteristiche specifiche non di un «velocipede con pedalata assistita», ma di un «ciclomotore» (e segnatamente di un «motorino elettrico»): fatti accertati in Gela il 29/5/2015.
2. Con sentenza in data 13/5/2019, la Corte di appello di Caltanissetta, in parziale riforma di quella di primo grado, dichiarò applicabile la modifica apportata all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. dalla legge n. 103 del 2017, per l’effetto apportando la riduzione per il rito nella misura della metà e rideterminando la pena finale in tre mesi di arresto.
Secondo il Giudice di appello, infatti, doveva ritenersi infondato il motivo di gravame con il quale era stata prospettata la riconducibilità del veicolo condotto dall’imputato alla categoria delle «biciclette a pedalata assistita» che il codice della strada, all’art. 50, classifica come «velocipede».
Ciò in quanto secondo il decreto del Ministero dei Trasporti del 31/1/2003, emesso in conformità della direttiva europea 2002/24/CE, una bicicletta, per essere considerata a pedalata assistita, dovrebbe essere dotata di un motore ausiliario elettrico di potenza massima 0,25 kw, entrante in azione soltanto in presenza di un movimento dei pedali, per poi progressivamente ridurre e, infine, interrompere l’alimentazione quando il veicolo raggiunga i 25 km/h.
Per contro, la «bicicletta elettrica» non a pedalata assistita, secondo la Corte territoriale, sarebbe un veicolo dotato di motore elettrico, azionabile attraverso l’utilizzo di un acceleratore, anche ove il conducente non stia pedalando; veicolo che, non previsto dal codice della strada, dovrebbe rientrare nella categoria dei «ciclomotori», con conseguente obbligo di omologazione e immatricolazione.
In tale prospettiva, dal momento che dalla annotazione di polizia giudiziaria del 29/5/2015 era emerso che l’imputato, quantunque privo di patente e sottoposto a misura di prevenzione personale, stava percorrendo, al momento del controllo, la Via Butera di Gela alla guida di un veicolo a due ruote in pianura facendo uso dell’acceleratore posto nella manopola destra del manubrio e senza azionare al contempo i pedali, i Giudici di merito conclusero che Scerra fosse stato rinvenuto alla guida di una «bicicletta elettrica» assimilabile a un «ciclomotore» e non a bordo di una biciletta «a pedalata assistita».
E ciò benché la scheda tecnica del veicolo rilasciata dalla casa produttrice lo indicasse come un veicolo che poteva essere condotto, a qualsiasi età, senza bisogno di patente di guida, né di assicurazione, targhino e bollo (ciò che aveva indotto il Giudice di Pace ad accogliere il ricorso proposto avverso le sanzioni amministrative contestualmente irrogate dall’imputato).
Circostanza, questa, ritenuta inidonea a escludere che Scerra potesse non avere contezza della necessità della patente di guida, essendo possibile per chiunque avvedersi che il mezzo era un ciclomotore, quantunque alimentato da una batteria elettrica.
Né la condotta poteva essere qualificata in termini di particolare tenuità, tenuto conto degli innumerevoli precedenti penali dell’imputato, reiteratamente condannato, in precedenza, per gravissimi reati sia contro il patrimonio che in materia di sostanze stupefacenti, oltre che, nel 2000, per quello di omicidio.
Nondimeno, stanti le peculiarità della vicenda e, segnatamente, le caratteristiche proprie del veicolo condotto in difetto della patente di guida, la Corte di appello determinò la pena inflitta all’imputato nel minimo edittale.
3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso Scerra a mezzo del difensore di fiducia, avv. Cristina Alfieri, deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 73, d.lgs. n. 159 del 2011 e 125, comma 3, cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta configurabilità dell’elemento soggettivo, non avendo avuto l’agente la consapevolezza di condurre un mezzo che necessitava della patente di guida, essendo stato lo stesso acquistato come «bicicletta a pedalata assistita», la quale, come tale, non avrebbe necessitato del titolo abilitativo alla guida, come da scheda tecnica allegata alla fattura di acquisto e come ritenuto dal Giudice di pace di Gela, che avrebbe annullato le contestazioni amministrative.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 131-bis cod. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità.
In particolare, l’esclusione di tale fattispecie a cagione degli innumerevoli precedenti penali dell’imputato, reiteratamente condannato, in passato, per gravissimi reati sia contro il patrimonio che in materia di sostanze stupefacenti, oltre che – nell’anno 2000 – per quello di omicidio, sarebbe in contraddizione con la fissazione della pena base nel minimo edittale, stante le peculiarità della vicenda e, segnatamente, le caratteristiche del veicolo condotto; e non avrebbe tenuto conto del fatto che a carico dell’imputato, successivamente ai reati per i quali aveva già espiato la pena, non risultavano altri procedimenti penali, anche alla luce del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, secondo cui il giudizio di tenuità richiede una valutazione globale di tutte le peculiarità della fattispecie sottoposta a scrutinio, con riferimento, in particolare, alle modalità della condotta, al grado di colpevolezza da esse desumibile e all’entità del danno o del pericolo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La sentenza deve essere annullata, senza rinvio, perché il fatto non sussiste.
2. I Giudici di merito hanno puntualmente esplicitato le ragioni per le quali il mezzo a bordo del quale Filippo Scerra era stato controllato non poteva essere ricondotto alla categoria delle «biciclette a pedalata assistita» che il codice della strada, all’art. 50, classifica come «velocipede», non ravvisandosi i requisiti richiesti dal decreto del Ministero dei Trasporti in data 31/1/2003, che ha recepito le indicazioni della direttiva europea 2002/24/CE; e per le quali doveva essere, invece, classificato come una «bicicletta elettrica», rientrante nella categoria dei «ciclomotori», trattandosi di un veicolo dotato di motore elettrico azionabile attraverso l’utilizzo di un acceleratore di cui il veicolo era dotato.
2.1. Tuttavia, le sentenze di primo e di secondo grado non hanno considerato che, in ogni caso, la categoria dei «ciclomotori» non rientra in quella dei «motoveicoli», per l’uso dei quali è necessario il possesso della patente, in mancanza della quale il soggetto, sottoposto a misura di prevenzione personale, che sia stato rinvenuto alla guida del mezzo, incorre nella contravvenzione prevista dall’art. 73, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il «Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136», a mente del quale «nel caso di guida di un autoveicolo o motoveicolo, senza patente, o dopo che la patente sia stata negata, sospesa o revocata, la pena è dell’arresto da sei mesi a tre anni, qualora si tratti di persona già sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale».
Dunque, tale disposizione – da considerarsi speciale rispetto all’art. 116, comma 13, C.d.S., (Sez. 1, n. 27828 del 13/6/2013, Magliuolo, Rv. 255992), che a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 1, d.lgs. n. 8 del 2016 configura la guida senza patente unicamente come illecito amministrativo – sanziona la conduzione, da parte di un soggetto sottoposto a misura di prevenzione personale, di un mezzo di locomozione classificato come «autoveicolo» o «motoveicolo», per il quale sia obbligatorio il conseguimento della patente di guida, non sospesa né revocata.
3. Nel caso di specie, tuttavia, deve escludersi che la «bicicletta elettrica» a bordo della quale si trovava Filippo Scerra, pur qualificata come «ciclomotore», potesse correttamente ricondursi alla nozione di «motoveicolo», nella quale non rientra, secondo la giurisprudenza di legittimità, la cennata nozione di «ciclomotore» (Sez. 1, n. 6752 del 19/11/2018, dep. 2019, Miceli, Rv. 274803; Sez. 1, n. 49473 del 16/7/2018, Grillo, non massimata).
L’art. 47, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, come modificato dalla legge 29 luglio 2010, n. 120 (codice della strada), individua, nella classificazione dei veicoli, i seguenti:
a) veicoli a braccia;
b) veicoli a trazione animale;
c) velocipedi;
d) slitte;
e) ciclomotori;
f) motoveicoli;
g) autoveicoli;
h) filoveicoli;
i) rimorchi;
I) macchine agricole;
m) macchine operatrici;
n) veicoli con caratteristiche atipiche.
Dunque, i «ciclomotori» e i «motoveicoli» appartengono, già in sede di prima classificazione, a categorie distinte, venendo i primi definiti come «veicoli a motore a due o tre ruote», contraddistinti da:
a) motore di cilindrata non superiore a 50 cc, se termico;
b) capacità di sviluppare su strada orizzontale una velocità fino a 45 km/h; e i secondi come «veicoli a motore, a due, tre o quattro ruote», distinti in varie sottocategorie, tra le quali quella, più prossima ai «ciclomotori», dei «motocicli», a loro volta definiti come «veicoli a due ruote destinati al trasporto di persone, in numero non superiore a due, compreso il conducente» (lett. a).
Questa distinzione, presente nell’attuale normativa, era già contemplata dalle disposizioni previgenti, contenute nel «Testo unico sulla circolazione stradale», che, agli artt. 21 e 24, già distingueva il concetto giuridico di «ciclomotore» da quello di «motoveicolo», prevedendo solo per quest’ultimo il possesso della patente quale documento necessario della guida.
Di tal che l’art. 6, legge n. 575 del 1965, nel prevedere la fattispecie poi rifluita nell’art. 73, d.lgs. n. 159 del 2011, già consentiva di escludere la punibilità della condotta di guida di un «ciclomotore» del conducente sottoposto a misura di prevenzione personale (coerentemente con l’orientamento giurisprudenziale che escludeva il reato di guida senza patente per chi fosse stato colto alla guida di un ciclomotore con cilindrata fino a 50 cc. senza aver conseguito il prescritto certificato di idoneità: cfr. Sez. 4, n. 23631 del 19/4/2012, Geanta, Rv. 253129).
E che l’attuale assetto regolativo sia il frutto di una scelta legislativa appare indirettamente dimostrato dal fatto che il decreto legislativo n. 159 del 2011 reca la data del 6/9/2011 e che esso è entrato in vigore, per la parte qui in considerazione, il 13/10/2011, mentre il d.lgs. n. 59 del 2011, che ha previsto, a partire dal 19/1/2013, il conseguimento della «patente di guida» della categoria “AM” per i conducenti dei «ciclomotori», è stato adottato il 18/4/2011; sicché ove il legislatore delegato avesse voluto fare propria tale novità normativa, avrebbe espressamente esteso la punibilità della condotta prevista dall’art. 73 al conducente del «ciclomotore».
Al contrario, in mancanza di un siffatto intervento legislativo, restando immutata la distinzione normativa tra i «motoveicoli» e i «ciclomotori», deve escludersi, alla luce del principio di tassatività delle fattispecie incriminatrici, la possibilità di un ampliamento per via interpretativa della dimensione tipica dell’art. 73, comprendendo in essa anche la diversa categoria dei «ciclomotori».
3.1. Pertanto, nel caso di specie, essendo il conducente alla guida di un «ciclomotore», egli, pur trovandosi nelle condizioni descritte nell’art. 73 d.lgs. n. 159 del 2011, non poteva rispondere del reato contestato, proprio perché il veicolo non era, comunque, riconducibile alla nozione di «motoveicolo».
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché la sentenza impugnata deve annullata, senza rinvio, perché il fatto non sussiste.
PER QUESTI MOTIVI
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso il 7 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020.