Nessuna responsabilità del notaio che sbaglia il conteggio dell’imposta comunque dovuta dal contraente (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 13 maggio 2020, n. 8871).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9600/2018 R.G. proposto da:

B&B Invest s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Lucio Cavallone, con domicilio eletto in Roma, viale Città dell’Europa, n. 623, presso lo studio dell’Avv. Giorgio La Russa;

– ricorrente –

contro

Calvi Vittoria, rappresentato e difeso dall’Avv. Carlo Tagariello, con domicilio eletto in Roma, viale G. Mazzini, n. 55, presso lo studio dell’Avv. Paola Petrella Tirone;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8 della Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, depositata il 4 gennaio 2018.

Lette le conclusioni scritte rassegnate dal Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Alberto Cardino, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere Cosimo D’Arrigo.

RITENUTO

La B&B Invest s.r.l. (già Protur s.r.I.) conveniva in giudizio il notaio Vittoria Calvi, esponendo di aver acquistato due immobili, l’uno ad Imola e l’altro Manduria, con atti rogati dal notaio convenuto, il quale, entrambe le volte, non aveva informato la società del regime fiscale cui erano soggetti gli atti ed aveva errato nel calcolo delle imposte; in guisa che, in epoca successiva, la società aveva ricevuto dall’Agenzia delle Entrate due avvisi contenenti la riliquidazione dell’imposta dovuta (per il primo atto da euro 3.528,30 ad euro 24.864,00; per il secondo da euro 520,50 ad euro 4.529,04), ai sensi dell’art. 35, comma 10-bis, del d.l. 4 luglio 2006, n. 233.

La Calvi si costituiva, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale di Taranto, sez. dist. di Manduria, ritenuta la responsabilità professionale della convenuta, la condannava al pagamento di euro 30.000,00 oltre accessori e spese di lite.

La professionista appellava la sentenza.

La società appellata si costituiva per resistere al gravame.

La Corte d’appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, accoglieva l’impugnazione, rilevando che nessun danno si era verificato nella sfera giuridica della società attrice, che non aveva dovuto pagare alcuna maggiorazione per interessi moratori o penali.

Contro questa decisione la B&B Invest s.r.l. ha proposto ricorso, affidandosi ad un unico motivo di ricorso.

Il notaio Vittoria Calvi ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.

Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione «ed omessa ovvero erronea applicazione» degli artt. 1218, 1223 e 1226 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

La società ricorrente censura la sentenza impugnata sostenendo l’erroneità dell’accertamento del nesso di causalità esistente tra l’inadempimento del professionista e il danno, dovendosi ritenere che quest’ultimo era consistito nel maggior esborso richiesto dall’Agenzia delle Entrate e nel fatto che, se fosse stata adeguatamente informata della consistenza degli oneri fiscali, non avrebbe acquistato l’immobile «ovvero si sarebbe del pari determinata all’acquisto, se il notaio avesse informato e applicato il c.d. reverse charge».

Il motivo è inammissibile.

Il giudice d’appello, per avendo ritenuto che il notaio era venuto meno alla diligenza professionale con cui avrebbe dovuto adempiere all’incarico ricevuto, ha escluso che tale inadempimento fosse derivato un danno alla sfera giuridica della cliente, in quanto le somme richieste dall’Agenzia delle Entrate alla società non erano maggiori rispetto a quelle che la società avrebbe comunque pagato ove il professionista avesse sin dall’inizio conteggiato correttamente l’imposta dovuta.

In particolare, nella sentenza si legge che «anche opportunamente osservandosi, ove necessario, non esistere dimostrazione che la Soc. B & B, come solo allegato, non avrebbe stipulato i contratti de quibus ove posta tempestivamente a conoscenza delle imposte dovute, ovvero raggiunto i risultati comunque prefissi tramite altri, non mai identificati, negozi giuridici» (pag. 8).

Dunque, il rigetto della domanda è dipeso dal difetto di prova in ordine:

a) ad un esborso maggiore di quello cui la B&B Invest s.r.l. sarebbe stata comunque tenuta se il notaio avesse correttamente conteggiato le imposte fin dal principio;

b) ad un’effettiva turbativa della libertà negoziale dell’attrice, non risultando dimostrato che la società, se debitamente informata, avrebbe desistito dall’acquisto o avrebbe adottato altre soluzioni negoziali fiscalmente più vantaggiose.

Pertanto, la censura mossa dalla ricorrente è inammissibile, poiché si limita esclusivamente a ribadire che, ove informata, essa si sarebbe orientata diversamente, senza nulla argomentare in relazione a quel vuoto di prova che, invece, ha costituito la ratio decidendi della sentenza impugnata.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma primo, cod. proc. civ., nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sicché va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.